Nonostante l’età me lo avrebbe consentito a causa della mia tardiva partecipazione all`impegno politico, tutto iscritto nella nuova stagione della Repubblica, credo di essere l’unico tra i presenti che non ha avuto la fortuna di conoscere Riccardo Lombardi se non come osservatore marginale,
Colgo quindi l’occasione offertami dai compagni dello SDI di parlare oggi con voi di lui, non per riportare assieme al nostro cuore, per ricordare appunto, passioni con lui condivise, né per riportare assieme alla memoria, per commemorare eventi e battagli politiche che lo hanno visto protagonista e nemmeno per sottoporre a valutazione storica il suo operato. Per il rispetto che sento di dovergli, dico subito che approfitto di questa occasione per interrogare la lezione della sua vita alla ricerca di risposte che riguardano il nostro presente senza sottovalutare la distanza che ci separa da quella che è stata la sua stagione.
Cominciando dalla considerazione complessiva della sua biografia politica, come non riconoscere innanzitutto Riccardo Lombardi come “uno di noi”, come un anticipatore della stagione che ci è dato di condividere che vede finalmente fianco a fianco riformisti di diversa provenienza e ispirazione, certamente segnati, ma non più trattenuti dalle diverse storie politiche e appartenenze di partito?
La sua biografia politica riassume infatti tutte le diverse sfaccettature che nell’ Italia del novecento ha assunto la tensione morale e ideale e la lotta quotidiana per la liberazione degli oppressi, la realizzazione della giustizia sociale nella libertà e nella democrazia, il progresso materiale e morale del Paese.
Il giovanissimo siciliano che appena diciottenne sbarca a Milano dal lontano e profondo Sud di Italia si caratterizza immediatamente per due grandi scelte di fondo. Si iscrive al Politecnico, manifestando in tal modo una inusuale vocazione per lo studio delle tecniche e si impegna nella politica del suo tempo, militando per un periodo breve se commisurato alla sua lunga vita ma importante e formativo, se misurato all’esperienza di un giovane all’inizio della sua vita di adulto, con Miglioli e il gruppo popolare del Domani d’Italia.
La scelta dei popolari di cercare in qualche modo un compromesso politico col fascismo lo allontanerà da quell’esperienza ma resterà comunque in lui un attenzione verso i movimenti cattolici di ispirazione sociale che lo accompagnerà tutta la vita e farà di lui, soprattutto nei suoi ultimi anni, una delle personalità laiche più attente e capaci di comprendere i cambiamenti in atto nel mondo cattolico italiano degli anni sessanta e settanta. Lasciata l’esperienza popolare si avvicina a Giustizia e Libertà di Carlo Rosselli, un’altra esperienza politica e di vita che lo segnerà profondamente e che più volte gli sarà rimproverata o comunque sarà fonte di una qualche diffidenza nei suoi confronti da parte delle correnti marxiste della sinistra italiana. La lotta antifascista costituisce in quegli anni un tratto essenziale della sua esperienza di vita e lo conduce, ben prima della guerra e della resistenza, a compiere scelte e azioni che lo collocano indiscutibilmente sul fronte dei non molti italiani che anche negli anni del trionfo fascista testimoniarono la loro irriducibile opposizione anche con rischio personale e pagando sulla loro carne il prezzo della loro audacia e della loro integrità ideale.
Uomo di punta della resistenza vide nel partito d’azione, di cui fu segretario, lo strumento politico più capace di disegnare un progetto di trasformazione del Paese che, senza cadere nell’ideologismo o nelle tentazioni potenzialmente autoritarie del marxismo rivoluzionario, potesse comunque operare quella crescita morale e civile dell’Italia e degli italiani che già i grandi spiriti dell’ottocento avevano sognato e solo in piccola parte realizzato.
La sua esperienza di uomo di punta del CLN Alta Italia e il suo rovello negli anni brevi e difficili che videro consumarsi le speranze e le attese di quel riformismo rivoluzionario che segnò, al medesimo tempo, la non fortunata esperienza del Partito di Azione e la fine del sogno e del progetto della resistenza, lo condussero ad approdare nel Partito socialista. E in questo Partito egli portò con sé il sogno indomito del grande progetto politico che aveva caratterizzato il Partito di Azione e che continuò per tutta la sua ancora lunga vita a segnare la sue esperienza politica.
Un progetto politico caratterizzato da una fortissima tensione riformista e portatore di un’idea così alta di riformismo da giustificare l’espressione, apparentemente contraddittoria, ma invece così significativa, di “riformismo rivoluzionario”. Un’espressione questa che, non a caso diventerà poi la “cifra” stessa della di tutta l’esperienza politica del Lombardi socialista.
Lombardi è stato infatti per tutta la sua lunga vita politica un riformista nel senso più alto del termine.
Il suo riformismo si è caratterizzato sempre, lungo tutto l’arco della sua esperienza, per due aspetti di fondo: la profonda e irrinunciabile volontà di cambiare a fondo il Paese e la società italiana per far approdare l’Italia a una democrazia più autentica perché fondata al medesimo tempo sulla libertà di tutti e sulla giustizia sociale; la altrettanto profonda consapevolezza che non c’è trasformazione autentica e duratura se non è fondata su una reale ed effettiva crescita democratica, e non c’è crescita democratica se non fondata su una crescita di partecipazione civile e morale degli uomini e delle donne che renda tutto il popolo capace di progettare e difendere il proprio presente e il proprio futuro.
Per questo non è mai stato un rivoluzionario, né nel senso del socialismo massimalista né nel senso marxista-leninista, ma per questo il suo riformismo, così come quello che aveva caratterizzato le due grandi esperienze della prima parte della sua vita, Giustizia e Libertà e il Partito di Azione, è stato sempre un riformismo rivoluzionario.
Un riformismo, cioè, fondato sulla volontà di cambiare il Paese e proprio per questo attento non all’ideologia ma alla progettualità, estraneo sia alla logica della contrapposizione che a quella del compromesso ma esigente e intransigente sul progetto di governo.
Un riformismo fondato su una tensione morale forte e su un altrettanto forte e deciso progetto di cambiamento della società.
Un riformismo rivoluzionario, appunto, che lo condurrà per tutta la vita a confrontarsi, spesso a scontrarsi, e sempre a misurarsi, sia con il massimalismo sia con il pragmatismo che a fasi alterne ha caratterizzato il movimento socialista del suo tempo così come, e più ancora, con la forza dell’inossidabile ideologia e della spesso cinica prassi del partito comunista della sua epoca, in un rapporto segnato sempre da una grande indipendenza intellettuale e da un’altrettanto lucida coerenza di posizioni. .
Collocata in questo contesto, anche tutta l’esperienza politica del Lombardi socialista, che altrimenti potrebbe apparire e a molti è apparsa un poco “erratica” e spesso contraddittoria, diventa un lucido e coerente itinerario di vita.
Il tormento, e in qualche momento, la disperazione con la quale Lombardi assiste al rapido consumarsi del sogno resistenziale e azionista; la sua fiera opposizione all’unità fra socialisti e comunista nelle elezioni del 48; la sua spinta costante alla costruzione della specificità socialista per non consentire che tutta la sinistra italiana venisse egemonizzata dal comunismo togliattiano; la sua partecipazione convinta a un centrosinistra da lui concepito come fortemente riformatore e basato su quella “strategia delle riforme” che per lui avrebbe dovuto avere un effetto rivoluzionario sull’Italia degli anni sessanta; la sua delusione di fronte all’arrestarsi della spinta riformatrice del centro-sinistra e il suo passaggio all’opposizione rispetto a quell’esperienza; il suo ricercare con forte anticipo sui tempi nell’alternativa di sinistra la sola via di uscita per opporsi a un processo di involuzione del Paese che lui vedeva altrimenti inevitabile e che avrebbe, nella sua visione, condotto a una altrettanto inevitabile crisi della stessa vita democratica; la sua fiera opposizione sia al compromesso storico che al pragmatismo craxiano, considerato non solo pericoloso nella sua prassi ma anche politicamente distruttivo nella sua lotta pregiudiziale all’interno della sinistra italiana; la sua attenzione ai movimenti che hanno caratterizzato nel bene e nel male l’Italia degli anni settanta e ottanta; il rapporto da lui sempre coltivato con le parti più politicamente e socialmente attente del mondo cattolico italiano; tutto questo, che apparentemente potrebbe apparire contraddittorio fino a fare della sua vita una sorta di labirinto dei destini incrociati del novecento italiano è invece, se collocato nella sua giusta luce, la testimonianza più lucida e più appassionante di quel “riformismo rivoluzionario” che ha caratterizzato il sogno, le speranze e l’impegno di tutta la lunga vita politica di Riccardo Lombardi.
L’impegno di un uomo che ha sempre avuto un’idea altissima della democrazia, da lui sempre intesa come liberatrice degli uomini e produttrice di giustizia.
L’impegno di chi è stato sempre uomo di programmi di governo senza mai cadere nel pragmatismo e nel compromesso del governo a tutti i costi.
L’impegno di chi ha sempre creduto con convinzione e fermezza che l’azione politica dovesse proporsi due scopi: allargare la democrazia attraverso il più ampio coinvolgimento degli uomini e delle donne e trasformare profondamente la società italiana, rompendo gli schemi conservatori propri della realtà del paese e mettendo in crisi in modo irreversibile, attraverso la costruzione di una democrazia segnata da schieramenti programmaticamente alternativi, l’omertà e il conservatorismo che dall’Unità in poi, con la sola felice parentesi della resistenza e, in parte, dell’Assemblea Costituente, ha segnato la vita politica italiana.
Riccardo Lombardi è morto nel 1984, quando l’esperienza craxiana fondata sul Preambolo era pressoché agli inizi.
Lui in vita, le sue intuizioni, le sue proposte, le sue appassionate battaglie lo condussero quasi sempre alla sconfitta. Lui stesso sembrò talvolta collocarsi su posizioni troppo eccentriche ed estremiste, sia quando sottovalutò il peso del compromesso storico così come quello di chi a quel progetto si contrappose anche con l’assassinio, sia quando valutò con troppo ottimismo e un qualche velleitarismo dovuto al suo essere sempre in anticipo sui tempi gli effetti del movimentismo e quelli del travaglio in corso nel mondo cattolico. Soprattutto non seppe contrapporsi efficacemente e tempestivamente alla deriva craxiana che, trasformando il suo stesso partito in senso diametralmente opposto a quello da lui voluto, lo rese inevitabilmente un sconfitto sul campo.
Guardato oggi però, in un momento come questo in cui tutti ci sentiamo orgogliosi del cammino compiuto in questo difficile decennio di transizione e tutti ci misuriamo, preoccupati e consapevoli, con le difficoltà e le incertezze del presente, Riccardo Lombardi campeggia come un grande del novecento e si colloca senza dubbio fra i pochi uomini politici del nostro passato che noi possiamo e dobbiamo interrogare per avere aiuto e consiglio per il nostro futuro.
Con tutta la sua vita e con il suo lungo insegnamento politico, fatto tanto di idee e di discorsi quanto di comportamenti coerenti e di una indomita testimonianza di vita che affonda le sue radici nelle migliori tradizioni del riformismo italiano, Riccardo Lombardi ci dice oggi, come ci ha sempre detto nei suoi lunghi anni di attività: che il riformismo vero, quello sano e utile al Paese, non può non essere anche rivoluzionario, nel senso che non può non avere un proprio progetto di società, di giustizia e di libertà.
Ci dice poi anche che il riformismo, quello vero, quello che serve a un Paese, non può non essere programma di governo, proprio perché è nella cifra più profonda della spinta riformatrice quella di cambiare la realtà e quindi di promuovere e governare il cambiamento.
Ci dice che il riformismo non è migliore del conservatorismo solo perché ha un programma migliore, più efficiente, meglio costruito, ma perché ha un diverso progetto di società, di giustizia e di libertà.
Ci dice che il Centrosinistra, sul quale anche lui ha più volte e in forme diverse scommesso nel corso della sua vita, o è progetto o non è; o è volontà di cambiamento o non è; o è consapevolezza comune di un governo che non si limita a voler attuare un programma di “buon governo” ma ha l’ambizione di costruire il nuovo in una visione più alta e compiuta di democrazia e di società o non è.
Ci dice infine che il riformismo vero, così come il Centrosinistra vero di cui il Paese ha bisogno, non è ideologia ma non è neppure soltanto un semplice “programma di buon governo”: esso è “un progetto di società comune e condiviso”, che proprio per questo accomuna tutte le forze che vi partecipano a uno sforzo di governo che non ha come scopo quello di limitarsi a governare ma ha l’ambizione di cambiare, attraverso il governare, la società e le condizioni di vita civile, sociale e morale delle donne e degli uomini di questo Paese.
Ci dice infine che il vero riformismo, l’unico che ha titolo a chiamarsi con questo nome, non può che essere profondamente alternativo e contrapposto al conservatorismo proprio perché la sua unica ragione di essere è quella di cambiare le condizioni profonde del vivere comune, esattamente come per il conservatorismo, tutt’al contrario, è di perpetuarle e consolidarle.
Ci dice dunque, e infine, che essere riformatori non significa essere più bravi, più capaci, magari anche un poco più intelligenti, dei conservatori ma significa avere un cuore caldo e un impegno senza riserve al servizio di tutti, per costruire una società migliore e più giusta per tutti.
Noi oggi ci sentiamo in sintonia profonda con Riccardo Lombardi, lo sentiamo nostro proprio perché ci riconosciamo nella sua lezione di vita e nella sua appassionata testimonianza.
Ci sentiamo impegnati a continuare su questa strada, convinti anche noi che il riformismo o è capace di essere rivoluzionario o non è.
Ed è per questo che nella nostra visione, esattamente come in quella che tante volte Lombardi testimoniò, il riformismo non può esser soltanto la debole malta che lega insieme una coalizione che mette a punto un comune programma di governo chiamato a durare cinque anni ma deve essere, ed è, il forte cemento che lega insieme forze accomunate da un unico e condiviso grande progetto di società, capace di dare speranza, prospettive e futuro al nostro popolo e al nostro Paese in un tempo così difficile e tormentato per tutti.
Proprio quel progetto che Lombardi, così come pochi ma grandi italiani prima di lui, coltivarono nei loro cuori e nelle loro azioni senza riuscire a trovare nel loro tempo forze e consensi sufficienti per trasformarlo in un cambiamento reale ed effettivo del Paese.
Noi oggi siano convinti che quelle forze ci sono, che il consenso che a loro mancò a noi può essere dato e per questo ci sentiamo oggi impegnati più che mai nella costruzione di una coalizione forte, coesa, motivata, capace di rendere giustizia al passato e di costruire al medesimo tempo e finalmente un futuro migliore per l’Italia.
Estratti del discorso tenuto al convegno su Riccardo Lombardi, organizzato sabato 18 settembre dallo SDI.