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29 Giugno 2007

Insidioso per il governo un anti Walter prodiano

Autore: Massimo Franco
Fonte: Corriere della Sera

Il problema viene posto con garbo veltroniano, a bassa voce, ufficiosamente. Ma
accompagnato da un aggettivo, «oggettivo», che lo rende spinoso per Palazzo
Chigi. Il problema è la possibile candidatura del sottosegretario alla
presidenza del Consiglio, Enrico Letta, alla leadership del Pd. Una scelta
che gli cucirebbe addosso, di fatto, i panni dell’anti- Veltroni; e che, per
un’associazione di idee inevitabile, potrebbe fare apparire il capo del
governo come regista occulto dell’operazione. Anche perché il tamtam su Letta si
affianca alle critiche pesanti che uno spirito libero, ma prodiano doc, come
il ministro Arturo Parisi sta esprimendo da giorni per il modo in cui si sta
imponendo la figura del sindaco di Roma.

Non è chiaro come andrà a finire.
L’unica cosa certa è che sul piano numerico difficilmente sia Letta che
Parisi potrebbero contrastare la vittoria di Veltroni. Ma su quello politico,
ne scalfirebbero l’immagine di unificatore del centrosinistra: in primo
luogo di Ds e Margherita. Sarebbero costretti a insistere fino alla
forzatura sul carattere oligarchico, quasi monarchico della segreteria.
Parisi parla di «una scelta affidata ai vecchi partiti». E arriva a dire che
considera Veltroni «il peggiore candidato, se proposto come candidato unico».
Aggiunge che ha «già deluso»; e che proseguendo così «la frittata è fatta».
È la conferma di un serbatoio di malumori, se non di una guerra
strisciante.Si spiega anche così l’avvertimento lanciato dal sindaco
capitolino mercoledì dal palco di Torino: sfidatemi, ma se avete idee
diverse. Era un messaggio ai potenziali avversari, e forse allo stesso Prodi
che insiste sull’esigenza di una «competizione plurale».

L’idea che il suo
braccio destro a Palazzo Chigi o l’ideologo dell’ulivismo e ministro della
Difesa possano guidare il fronte opposto al futuro segretario del Pd, può
sovraesporre il governo. Si evocherebbe plasticamente quel dualismo che sia
il premier sia Veltroni giurano di volere evitare per non destabilizzare la
coalizione: forse proprio perché è vistoso, palpabile e insidioso.Il risultato
sarebbe quello di intrecciare per forza di inerzia il percorso governativo
con quello del Pd, alimentando le tentazioni di chi ritiene sia necessario
archiviare Prodi e il suo esecutivo al più presto. L’obiezione è che senza
primarie vere, con nomi alternativi, si accentua l’immagine di un vertice
creato a tavolino; e di una gara falsata, perché vinta in partenza grazie
all’appoggio determinante degli apparati di partito. La tesi non è solo
prodiana, ma anche di diessini come il sindaco di Bologna, Sergio Cofferati.
Si tratta di una critica che però i veltroniani respingono al mittente,
ricordando che Prodi nel 1996 emerse con la benedizione dei partiti: solo
successivamente arrivò l’«unzione» dell’elettorato. Con un’obiezione di
fondo ancora più radicale. Riguarda l’opportunità che membri del governo, tanto
più se vicinissimi a Prodi, chiedano il voto contro il sindaco di Roma, che
anche il premier non può non sostenere.

Per questo, molti scommettono che se
alla fine Letta si candiderà e lo scontro si inasprirà, sarà inevitabile che
le tensioni si scarichino su Palazzo Chigi. È una polemica sotterranea,
fatta di segnali in codice, eppure indicativa. Il consenso su Veltroni non
ha cancellato le manovre e le incognite nel Pd. Non si sa come si voterà
all’assemblea del 14 ottobre; né se avrà avversari e quanti. Ma la finzione
di un tandem premier-sindaco in sintonia va avanti. Ieri, Veltroni ha
ripetuto che non danneggerà Prodi: «Semmai è il contrario». E il capo del
governo fa di tutto per mostrare che che le cose funzionano meglio rispetto
agli ultimi mesi: l’accordo sul Dpf ha segnato «una svolta», ha detto ieri.
Almeno apparentemente, la coabitazione regge.