Per un Paese come l’Italia, che non può far crescere il proprio deficit e deve ridurre il proprio debito pubblico, l’aritmetica fiscale è molto chiara: a ogni riduzione di imposta deve corrispondere un pari aumento di altre imposte, oppure un uguale taglio delle spese, oppure una combinazione di queste due manovre.
In altre parole, come amano ripetere gli economisti, nessun pasto, neppure quello fiscale, è gratis e il conto dei tagli fiscali alla fine qualcuno lo deve pagare; in caso contrario, non solo l’Italia violerebbe un trattato internazionale ma soprattutto la sua credibilità sul mercato finanziario mondiale subirebbe un colpo durissimo si dovrebbero sopportare tassi di interesse più elevati sul denaro preso a prestito, il che manderebbe in fumo anni di sforzi per il risanamento fiscale.
Sembra tutto chiarissimo. Eppure, all’interno del governo, questa chiarezza appare largamente carente; come chi al ristorante ordina senza badare a spese, molti si sono sbizzarriti a prospettare un menù di riduzioni fiscali – in particolare la riduzione dell’Irap, correttamente identificata come la via più efficace per sbloccare il motore inceppato dell’economia italiana – senza preoccuparsi del conto e di chi lo avrebbe pagato; e al momento in cui hanno tirato le somme, sono emersi i contrasti.
Il presidente del Consiglio, per motivi di scelta politica, ha bocciato l’idea di finanziare il taglio dell’Irap con l’aumento della tassazione sulle rendite finanziarie; una parte della maggioranza ha bocciato l’idea di finanziarlo mediante un aumento dell’Iva, timorosa che in questo modo a soffrirne sarebbero state le piccole imprese.
Venuti meno questi due pilastri di una possibile manovra, è cominciata la litania della riduzione degli sprechi e dell’inefficienza, dei tagli alle «macchine blu», del recupero all’evasione fiscale che produce risultati incerti in tempi lunghi, Il ministro dell’Economia è rimasto pressoché solo a difendere le ragioni della coerenza contabile contro quelle di una politica miope.
Morale di questa triste storia: la riduzione dell’Irap, per la quale si erano convocate con una certa solennità le parti sociali, è rinviata ancora una volta. Come già per il contratto agli statali, il governo sembra paralizzato dai veti incrociati, o forse dall’incapacità di concepire una manovra finanziaria in tutte le sue parti invece che in singoli pezzi. Sembra di cogliere una doppia carenza: di aritmetica e di visione politica.
Questo slittamento è avvenuto nello stesso giorno in cui è slittata ancora una volta la nomina del presidente della Rai e il Parlamento è riuscito a nominare solo uno invece di due giudici della Corte Costituzionale, una vicenda che si trascina vergognosamente da troppo tempo. Un Paese in cui la politica perde la capacità di decidere ben difficilmente potrà avviarsi sulla strada del rilancio economico.