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10 Marzo 2005

“In Italia c´è uno sfascio etico cambieremo le leggi ad personam”

Autore: Marco Marozzi
Fonte: la Repubblica

Le elezioni regionali che «se finisce sette a sette è un buon pareggio? anzi già una vittoria. E otto a sei una bella vittoria, anzi un trionfo». I radicali con cui «non ci sono programmi comuni». Il cardinal Ruini a cui sulla procreazione assistita ripete: «Mi sento figlio della Chiesa e andrò a votare al referendum». L´Iraq e gli Usa dopo l´uccisione di Nicola Calipari. «Non è certo il primo episodio sanguinoso. Ma non è questo che cambia il nostro atteggiamento tenuto verso gli Usa negli ultimi giorni». Il riscatto per Giuliana Sgrena: «Quando si tratta di una vita umana diventa politicamente impossibile non prenderlo in esame. E l´Italia debole nelle sue industrie, nelle sue banche, persino nel suo turismo. Cercando soluzioni generali, nazionali e idee zona per zona».
Romano Prodi racconta i suoi progetti a coloro che ogni giorno si confrontano con l´Italia delle mille città e delle mille storie: i 15 direttori dei giornali locali del Gruppo L´espresso. Intervista collettiva, alla Fabbrica del Progetto, capannone-atelier alle porte di Bologna scelto dal Professore come laboratorio di idee.
Cesare Previti quando andò al governo annunciò: non facciamo prigionieri. Lei se andrà a Palazzo Chigi che farà?
«Ho tanto biasimato questa espressione che non la adotterò certamente. Siamo prigionieri di un´etica diversa e della maestà della legge. C´è uno sfascio etico nel paese. Il problema non è non far prigionieri, ma ripristinare il senso della legge».
Significa abolire le leggi ad personam?
«Sono per definizione da modificare. Io non dico di cambiare tutte le leggi di questo governo, ma dico anche: bisogna fare un´analisi seria di cosa va fatto e cosa no».
Con Bertinotti a dettare le sue condizioni?
«Bertinotti ha affrontato un congresso con chiarezza, è quello che avevo chiesto e in cui avevo sperato. Adesso si tratta di stendere un programma coordinato e condiviso. So benissimo che Bertinotti sarà il mantra continuo di tutto l´anno che mi aspetta. Prima c´era la maschera di D´Alema, adesso si è andati un po´ più a sinistra. Ma Bertinotti fa un discorso serio sulla fiscalità del lavoro e sulla rendita finanziaria».
Non è sano un paese con le tasse sul lavoro più alte di quelle sulle rendite. Pensa ad una patrimoniale?
«No, la patrimoniale è la tassa sul patrimonio. E c´è già: hanno stretto i soldi agli enti locali e li hanno costretti alla patrimoniale. Cosa è la tassazione sulle case? Il problema di una politica fiscale complessiva per cui la rendita finanziaria non abbia un rapporto troppo stridente con la tassazione sul lavoro. E´ la Confindustria a fare questo discorso. Non Bertinotti».
Viva Bertinotti, abbasso i radicali? Non vi siete accordati con loro per il referendum sulla fecondazione?
«No. E´ stato uno dei problemi. Anche altri hanno pesato moltissimo, dal discorso sul sindacato a quello sul liberismo assoluto in economia. Negli ultimi giorni poi ha pesato un senso di indifferenza per un Polo o per l´altro. Per me la politica va fatta come scelta e io mi sono sempre assunto i miei rischi».
Il cardinal Ruini ha comunque di nuovo invitato i cattolici a non votare al referendum. Lei che farà?
«Non ho cambiato risposta. Personalmente mi sento figlio della Chiesa, figlio adulto e andrò a votare».
Considera interferenze le prese di posizioni della Cei?
«Dal punto di vista del diritto no di certo, però nei referendum il voto ha un suo grande valore».
Nel Lazio e in Piemonte i radicali possono essere decisivi: non era meglio un po´ di cinismo?
«Alcune volte il cinismo ci ha rovinato. Sul lungo periodo l´Italia ha bisogno di chiarezza. Non ci sono programmi comuni con i radicali. Io faccio politica in modo non eroico. Dimesso. Sono stato rimproverato, ma poi la gente capisce, la Federazione dell´Ulivo e l´Unione alla fine sono nate. Non sono mai stato un politico per tutte le stagioni. Credo nel bipolarismo, in una coalizione riformista. Se ci riesco bene, se no lo farà un altro».
Intanto a Venezia vi dividete.
«Noi abbiamo due candidati, nel Polo sono arrivati a cinque e nessuno lo sapeva. Fra Casson e Cacciari non è un problema di scontro politico, di linee alternative, ma di personalità. Città troppo piccola per personalità troppo grandi. Io ho solo chiesto un candidato unitario, il problema è scoppiato all´interno dei singoli partiti, se vi fosse stata unità nella Margherita e nei Ds non si sarebbe arrivati a questo punto. Ma è un episodio sgradevole, non politico».
Con quali risultati si potrà parlare di vittoria alle regionali?
«Sette a sette è un buon pareggio. Otto a sei vittoria, anzi trionfo. Noi partiamo da una netta inferiorità, sette a sette è già vittoria, otto a sei è una bella vittoria».
Dopo insisterà con le primarie?
«Vediamo. Le primarie sono fra gli strumenti che ho molto cari. Non le ho lanciate per caso. Un paese con partiti forti non ha bisogno di primarie, un paese come gli Usa dove i partiti sono deboli sì».
E l´Italia?
«In Italia sistema partito si è indebolito, serve una nuova forma di selezione della classe dirigente. Dove le primarie sono state possibili sono state un bel cambiamento. E a Chieti, 1800 voti contro 1600, c´era il vincitore con il perdente che gli alzava la mano».
Voi alzate le mani, Berlusconi abbassa le tasse.
«Una riduzione di 12 miliardi di euro non è matematicamente possibile, pur con tutti i condoni, le vendite, quel che si vuole. L´economia non cresce, siamo gli ultimi dei 25 paesi della Ue. Non c´è nessuno spazio per una riduzione di imposte. E se c´è una cosa che va ridotta sono le imposte sul lavoro, non certo sui redditi. Servono una ristrutturazione produttiva e una politica fiscale coerente».
Tremonti e altri insistono sui dazi a difesa delle nostre imprese.
«Sono impossibili, non siamo più gli arbitri del nostro futuro, introdurli significa ritirarci della Ue. Ciò non toglie che dobbiamo essere molto più severi sulle condizioni delle dogane degli altri paesi, sul rispetto delle regole».
In ballo c´è anche il discorso sull´italianità delle banche, il governatore Fazio, gli olandesi e l´Antonveneta?
«Il problema non è la difesa delle banche italiane, che nessuno discute. Ma il come. Con regole, permettendo alle nostre banche di essere forti. Si difendono non con norme amministrative, che poi un giorno scoppia tutto e vanno tutti all´estero, ma operando nella stessa direzione in cui bisogna muoversi con le industrie. Dappertutto il problema è quello delle dimensioni. Ed è immenso. Si tratta di ridisegnare un sistema».
Il governo punta sul piano delle infrastrutture.
«C´è una valanga enorme di inaugurazioni e una lentezza enorme nel ritmo di esecuzione. E´ impressionante. Opere finite non ce ne sono. La strategia per le infrastrutture è velocizzarle al massimo. Poi c´è il discorso sulle privatizzazioni che mi pare abbiano portato a un grado di profitto molto alto, ma a un grado di investimenti molto basso. Va concepita una strategia per cui si rompa il monopolio in modo effettivo, se al monopolio pubblico si sostituisce il monopolio privati non mi sembra si sia concluso granché».
Resiste almeno secondo lei l´Italia del terziario avanzato?
«In termini relativi il nostro terziario è messo peggio del sistema delle imprese. Il nostro turismo in termini relativi è più arretrato dell´industria manifatturiera. Non è vero che ci sia un grande terziario. Non ha la lingua inglese, non i servizi, non le professioni».
Un´Italia da reinventare?
«Non possiamo più reggere se nelle facoltà di comunicazione ci sono dieci volte più studenti che in ingegneria. Così un paese è finito. Anche a livello aziendale chi fa la finanza è pagato il doppio di un ingegnere. Queste sono scelte di governo molto più importanti che le infrastrutture. La nostra risorsa critica possono essere i giovani».
Ma il mito è quello delle veline, della tv.
«Si possono benissimo aiutare gli ingegneri e non le veline. Che per altro si aiutano da sole».