24 Ottobre 2005
Il video in condominio
Autore: Mario Pirani
Fonte: la Repubblica
Riemergo stordito dalla lettura dei giornali di questi giorni. La trasmissione di Celentano tiene banco ben più di ogni altro evento. Tsunami televisivo, lo show del “molleggiato” travalica per pagine intere, titoli a nove colonne, dichiarazioni di biasimo o plauso di leader di destra e di sinistra. Da ultimo è intervenuto anche il premier, nonché proprietario di Mediaset. Per lamentarsi non solo di Rockpolitik ma di «tutto il sistema della comunicazione, tv e anche stampa, che dal 2001 sistematicamente attacca l´operato del governo e del presidente del Consiglio».
È tutto un vaneggiare che, una volta ancora, marchia l´Italia come un paese virtuale, dove lo «spettacolo» prevale sul reale significato degli eventi, mentre la loro proiezione immaginifica li dilata a simbolo mediatico, destinato, peraltro, a tramontare, più o meno rapidamente, se subentrano all´attenzione nuove sorprese. A scanso, peraltro, di equivoci dico subito che la capacità del «ragazzo della via Gluck» di imporre per una sera (e speriamo anche per le altre puntate) un programma non soggetto né alla censura e neppure agli ammorbidenti del «politicamente corretto» è un fatto straordinario, encomiabile e, per noi ascoltatori, fonte di un raro sentimento liberatorio, pur se fruibile solo per un paio d´ore.
Sempre che resti, presenta al popolo plaudente che si è trattato, come ha scritto acutamente Curzio Maltese, di «una piccola passeggiata nella libertà» e non la si prenda per una svolta epocale, una presa della Bastiglia che apre l´Ottantanove di viale Mazzini con, per sovrappiù, il ritorno dell´Esule dal confino di Strasburgo.
Forse l´effetto-apoteosi (corrispettivo alla damnatio destrorsa) finirà per non spiacere affatto ai non occulti registi della pubblica opinione, ben lieti, come scrive Edmondo Berselli in un commento condivisibile dalla prima all´ultima parola, di constatare che, mentre «nel buco finisce mezza Costituzione, il Paese discute solo ed esclusivamente di Rockpolitik». Anzi, rettifica giustamente il nostro editorialista, «si fa per dire, il Paese. La politica, più che altro. Cioè un nucleo sociale, un ceto professionale concentrato su se stesso, e sul riflesso di sé che ne dà la televisione».
E qui tocchiamo il centro del problema alla base del mio sconcerto. Se, infatti, viene anche a me l´empito di esclamare «viva Celentano» e di ringraziarlo per aver riportato e sbeffeggiato in diretta davanti a milioni di spettatori una delle pagine più indecorose del prepotere berlusconiano, purtuttavia temo grandemente che si confondano i termini della libertà d´informazione televisiva.
Questa ha subìto le onte più devastanti da quando, agli antichi mali, si è sovrapposto il conflitto d´interessi impersonato dal presidente del Consiglio. Ma anche se, come spero, arrivassimo a disfarcene dopo le prossime elezioni, ciononostante la struttura censoria rimarrebbe sostanzialmente immutata. Essa, infatti, non riguarda, se non in parte secondaria, la libertà di satira, la vocazione dissacrante e salutare di certi show che non dovrebbero conoscere zone protette, se non quelle del buon gusto, i commenti critici di Enzo Biagi o di Sergio Romano.
No, essa investe in primissimo piano la piena libertà di cronaca, giorno per giorno, sera per sera, di ogni telegiornale, di ogni «primo piano», di ogni Tg7, di qualsivoglia canale. Se tutto restasse così com´è, anche se, sulla scia di Celentano, venissero inaugurati due «spazi liberi» contrapposti per Santoro e Ferrara, credo che l´Italia nella classifica internazionale della buona informazione risalirebbe di pochi posti.
Il servaggio dell´informazione scaturisce, infatti, dal dominio sulla tv di un ceto politico che, dal primo giorno, ne ha teorizzato e attuato l´asservimento. Un ceto del tutto sprovvisto di cultura liberale e che ha tramutato la proprietà pubblica della tv in proprietà condominiale dei partiti, con quote diverse a seconda dell´andamento elettorale.
Un ceto che ha imposto una facitura ultracontrollata delle notizie, che ha ottenuto la presenza quotidiana di un ventaglio squallido di propri rappresentanti, chiamati, con secondi di presenza bilanciati, ad affliggere gli utenti su qualsivoglia argomento, un ceto che ha imposto la lottizzazione di ogni incarico, che occhiuto vigila su ogni trasmissione e se qualcosa spiace a destra, subito si provvede a riequilibrare il malfatto a scapito della sinistra.
Per non parlare del potentissimo suggeritore ecclesiastico. Chiamano tutto ciò «pluralismo», «controllo parlamentare», «obblighi del servizio pubblico» ma si tratta di etichette ingannevoli. Ecco perché la facoltà di satira, il via libera al satirico sberleffo, anche il più intelligente e azzeccato, del più incisivo showman, e, da ultimo, la felice incursione dell´altra sera, non basta.
L´affare Celentano rischia di stare alla libertà di informazione come l´una tantum sta a una equa politica fiscale.
Il centrosinistra non fu in grado nella legislatura in cui era maggioranza di realizzare una riforma liberale della tv. Conforta che proprio ieri Romano Prodi abbia dichiarato guerra alla lottizzazione delle reti, «un vizietto che riguarda da sempre destra, sinistra e centro», richiamandosi ad un principio elementare, quanto disatteso, «la professionalità e autonomia nella scelta dei vertici».
Sappia che, anche vincendo le elezioni, tutti gli alleati dell´Unione a parole, su questo argomento, gli daranno ragione, ma nei fatti avrà contro tutti i partiti e gli interessi consolidatisi in questi anni dentro e fuori della Rai. Riuscirà a farcela se saprà proporre, apertamente e duramente, la difesa del diritto primario dei cittadini alla libertà d´informazione e non si lascerà imbrigliare dalla resistenza strenua di un ceto politico attaccato al tubo catodico come l´infante al poppatoio che quotidianamente lo nutre.