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21 Agosto 2005

Il valore dei valori

Autore: Ilvo Diamanti
Fonte: la Repubblica

Crea disagio la scalata dell´Unipol a Bnl. Più dell´Opa lanciata dalla Popolare di Lodi ad Antonveneta. Perché banca e finanza sono percepite come cupola dell´economia. Lontane dalla società. Territorio di caccia della “razza padrona” (definita trent´anni fa da Eugenio Scalfari e Giuseppe Turani). Dove competono, con ogni mezzo, guerrieri e avventurieri.

Dove gli unici valori che contano sono quelli che si possono stimare in borsa oppure misurare in euro (o in dollari…). Ma la Bnl evoca il ricordo del legame con lo Stato e con l´interesse pubblico.


L´Unipol è l´assicurazione di sinistra, che alle spalle ha le cooperative (anzi: le Coop rosse). Le telefonate fra i manager assicurativi e i leader di sinistra, Fassino in testa, rammentano antiche affinità politiche.


Nell´insieme, uno scenario eretico. Perché i valori e il valore, la cooperazione e il mercato – peggio: la finanza – coabitano a fatica, nella concezione dominante. Secondo cui la “missione” delle cooperative non prevede di fare affari (tanto più nell´empireo della finanza).

Poi: la presenza dei dirigenti di sinistra, degli ex-comunisti, richiama la dipendenza delle associazioni “amiche” dal Partito. Insomma: il legame fra banca e cooperazione appare peccaminoso. E svantaggioso per entrambi. Perché il contatto diretto e prolungato con il sistema bancario, la finanza, il capitalismo – altomedioebasso – svaluta i “valori” del sistema cooperativo.


E, in generale, del mondo della solidarietà, dell´economia sociale. Mentre la “scalata” dei cooperatori “svaluta il valore di mercato” della banca stessa. Che, per definizione (o per convenzione), non può venire afferrata, né tanto meno gestita, in nome della solidarietà, tanto più se ispirata dalla politica e dai partiti (ex comunisti). L´accostamento fra Bnl e Unipol evoca, quindi, una relazione pericolosa e peccaminosa.

Per ragioni etiche ed estetiche, oltre che – prima che – tecniche e giuridiche. In quanto la cooperazione viene percepita come una anomalia. “Un incidente della storia che non rientra nei canoni classici del funzionamento dell´impresa”, come ha lamentato un influente leader cooperativo (Pierluigi Stefanini, presidente della finanziaria delle Coop, intervistato da Gigi Riva sull´Espresso).

Da ciò il richiamo – da molte e diverse parti – a tenere distinti: mercato, politica e società. I Valori e il Valore. Una distinzione, peraltro, di cui è difficile scorgere, chiari e netti, i confini. Nel contesto italiano, in particolare (ma non solo), le connessioni fra mercato e organizzazioni solidali sono forti, strette e di lungo periodo. E ciò riguarda le Coop, ma anche molte altre associazioni volontarie. Di matrice laica e cattolica.


Sorte per rispondere ai problemi dei settori più esposti e vulnerabili, di fronte alle tensioni del mercato, queste realtà si sono inserite, presto, nel gioco del mercato. E hanno avviato, sviluppato e gestito imprese che operano in diversi settori. Negli ultimi dieci anni, soprattutto, questo “mondo” ha assunto proporzioni molto ampie e difficili da stimare, dal punto di vista del lavoro e del mercato.

Nel settore del consumo, delle costruzioni, del turismo, dei servizi finanziari, la cooperazione è diventata un attore economico di primo piano (come ha ben rammentato Massimo Mucchetti, su Sette). Tanto che il termine stesso rischia di essere deviante, perché evoca le piccole esperienze del quartiere operaio di un tempo, invece delle macroimprese della fase attuale.


Peraltro, questa realtà si è estesa a settori nuovi, collegati ai servizi sociali, alla cultura, al loisir, all´integrazione e al “soccorso” internazionale. Pochi esempi. Le “imprese sociali” che gestiscono l´assistenza agli anziani, le comunità per persone disagiate, per minori, immigrati. Ma anche istituzioni sociosanitarie importanti. Le organizzazioni che seguono progetti di cooperazione internazionale.


Si tratta di “imprese” di dimensione diversa, talora media e grande, che impiegano personale qualificato e hanno manager di alta professionalità.

Realizzano fatturati di entità spesso significativa. Producono “valore”, anche perché monetizzano i “valori”. In due modi, principalmente.

1. Sono divenuti naturale riferimento degli enti locali e dello Stato. Gran parte del “terzo settore”, negli ultimi vent´anni, è cresciuto in seguito al deficit di bilancio e di consenso del sistema pubblico. Il che lo ha fatto divenire, almeno in parte, istituzione parallela. Impresa “protetta”. E lo ha esposto al condizionamento della politica.

2. Tuttavia, la crescita di questi soggetti economici è stata agevolata anche da un altro motivo. La fiducia che suscitano fra i cittadini. Fattore determinante, per il mercato. Quando la fiducia latita, come ai nostri giorni, i consumi, gli investimenti, le iniziative di impresa stagnano. E declinano.


Per questo, negli ultimi vent´anni, sul mercato, è aumentato sensibilmente il peso di attori che hanno tradizioni cattoliche, ma anche di sinistra. Basta pensare, oltre che alle Coop, alla Compagnia delle Opere (il cui presidente, Cesana, non ha caso, sul Corriere della Sera di ieri, ha definito ipocrite le critiche rivolte alle Coop). Mentre le imprese private e del credito hanno adottato linguaggi e forme organizzative che echeggiano il mondo dei valori. Insistono sulla loro “missione”, avviano “fondazioni”,

promuovono bilanci di responsabilità sociale.


Anche i rapporti fra le imprese di ispirazione solidale e la politica sono cambiati profondamente. Perché i partiti sono divenuti meno ideologici, ma, soprattutto, più deboli, dal punto di vista organizzativo e delle risorse.


Per cui è difficile riproporre, senza qualche disagio, la tradizionale definizione del collateralismo. Oggi le associazioni, le imprese sociali, le grandi cooperative (le Coop e la Compagnia delle Opere, per tutte) sono più forti dei partiti. Non hanno interesse a intrattenere vincoli a senso unico.


Tanto più perché le persone che si avvicinano ai loro servizi e ai loro prodotti agiscono in base a valutazioni di “mercato”. E di fiducia. E sono diventati, quindi, politicamente “trasversali”.

Da ciò due osservazioni (per nulla conclusive).

a. La prima riguarda la difficoltà di pensare, in Italia (e non solo), al mercato come un´entità separabile dalla società. E dalla politica. Di rivendicarne l´autonomia. Si tratta di ambienti saldamente intrecciati. Il che rende particolarmente importante il principio della trasparenza. Chiarire e istituzionalizzare, dove sia utile e possibile, i rapporti fra economia e politica, in particolare. Sottrarli all´opacità. Formalizzare gli

scambi fra associazioni, imprese e partiti, ove questi esistano, invece di affidarli (e affidarsi) alla rete delle comunicazioni per telefono (cellulare).

b. La seconda, più direttamente collegata alla vicenda Unipol-Bnl, riguarda i criteri per valutarne la liceità morale e sociale. (Su quella tecnica e legale non abbiamo titolo per esprimerci). Oggi le banche sono fra i soggetti più squalificati e svalutati (hanno fiducia in esse poco più del 15% dei cittadini; indagine su ” Gli italiani e lo Stato, Demos-Repubblica, dicembre 2004). Le Coop (oltre 50%) e ancor più le organizzazioni di volontariato sociale (80% circa), al contrario, sono fra i più stimati. Il giudizio sulle banche è dettato dagli scandali degli ultimi anni.

I casi Cirio e Parmalat. E, soprattutto, dall´esperienza quotidiana delle persone: il costo dei conti correnti e delle operazioni bancarie, la gestione del risparmio delle famiglie. L´operazione avviata da Unipol, ove si concludesse positivamente, verrà, in seguito, giudicata dai cittadini in base agli stessi parametri. Costo, qualità, efficienza, servizi, attenzione ai clienti.

Ciò sottolinea il rischio, cui vanno incontro, insieme a Unipol, le sue cooperative di riferimento. In grado, fino ad oggi, di tradurre i valori in valore; la fiducia in profitto. Nel caso non riuscissero a garantire prestazioni all´altezza delle attese, potrebbero imboccare la spirale inversa. Ridimensionando i valori e l´azione della cooperazione insieme al valore e alle azioni della banca.

La fiducia. La risorsa, ma anche il potenziale punto debole delle imprese sociali e delle cooperative. Ciò che rende l´operazione Bnl, forse più rischiosa delle altre, per chi l´ha promossa. Il mondo della cooperazione. Guai se, per conquistare un istituto di credito, perdesse credito.