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15 Settembre 2005

Il trucco finale contro la democrazia

Autore: Andrea Manzella
Fonte: la Repubblica

La legge elettorale attuale fu scritta “sotto la dettatura” del referendum
popolare con cui 29 milioni di cittadini avevano chiesto, il 18 aprile 1993,
l´abbandono del sistema proporzionale. Il progetto di maggioranza che ora ne
vuole la modifica è invece scritto “sotto la dettatura” degli ultimi sondaggi
elettorali. Sondaggi, come sempre, da prendere con cautela: ma complessivamente
sfavorevoli al governo e alla sua maggioranza. A pochissimo tempo dalla fine
prevista della legislatura è ormai strappato, dunque, quel “velo di ignoranza”
che da sempre i classici della democrazia prescrivono perché si possano varare
nuove leggi elettorali “neutre”, e perciò accettabili da ogni parte politica. È
utilizzando quello strappo che la maggioranza cerca l´autoconservazione con uno
strumento elettorale congiunturale.

In Germania, contro i sondaggi sfavorevoli, il Cancelliere anticipa le
elezioni e si getta nella mischia per rimontare, come sta facendo, con argomenti
politici. In Italia il governo in carica tenta invece di rovesciare i sondaggi
manipolando il sistema elettorale. Una scelta di rimonta “artificiale” che ci
allontana dalla Germania (e da tutto quello che la Germania rappresenta nella
civiltà costituzionale dell´Unione europea) e ci avvicina a certe repubbliche
ex-sovietiche dove i tentativi dell´autocrate del momento di perpetuarsi con
colpi di mano last minute contro le regole elettorali sono abbastanza frequenti.

Che il progetto sia confezionato su misura, continuando la serie di leggi a
“scopo privato” iscritte nel libro nero di questa legislatura, risulta da
elementi già rilevati a prima lettura. Innanzitutto, naturalmente, la
cancellazione dei collegi uninominali, statisticamente meglio appropriati al più
sentito “spirito di coalizione” del centrosinistra, a favore di un sistema
proporzionale di partito dove è invece più forte la tradizione partigiana del
centrodestra. In secondo luogo, il tentativo di annullare, sterilizzandoli, i
voti dei partiti minori della coalizione di centrosinistra. Amputata di questi
voti, la coalizione dell´Unione, sempre in base ai sondaggi, diverrebbe, da
vincente, perdente: e viceversa. Vince chi perde, insomma. E sarebbe questo il
bel risultato di questo bizzarro ritorno al proporzionale: non più prova regina
della corrispondenza tra geografia parlamentare e geografia elettorale (ma
l´enormità della cosa, più scritta che pensata, sembra che dia già luogo a
ravvedimento operoso). In terzo luogo, il tentativo di porre un tetto alla
maggioranza. I sondaggi dicono che il centrosinistra potrebbe arrivare al 60 per
cento dei voti? Bene, intanto vediamo di non farlo andare al di là del 54 per
cento: non più di 340 seggi alla Camera e 170 al Senato…

Deformata da questi scopi partigiani, la scelta del proporzionale perde
ogni sua intrinseca e pur degna ragione. Siamo in presenza di una strumentazione
che non propone una discussione ma cerca di bloccare o rallentare il corso
previsto (dai sondaggi) delle cose politiche. Una legge-provvedimento che per il
tempo prescelto è di per sé irricevibile. Specie ora che la scienza sempre più
esatta dei sondaggi avvalora, sino a renderla insuperabile, la vecchia norma per
cui alla vigilia delle elezioni non se ne possono cambiare le regole. I sondaggi
non sono più esercizi di mercato elettorale. Entrati da tempo nella legislazione
sulle regole del giuoco, la loro influenza deve essere dunque tenuta presente in
ogni valutazione giuridica.

Senonché i progetti elettorali hanno una invasività che va ben oltre la
loro specificità tecnica. Essi toccano in realtà il cuore delle Costituzioni. I
congegni della rappresentanza politica, il modo con cui i voti si trasformano in
seggi, il rapporto tra elezione e dimensione territoriale incidono
immediatamente sulla vita costituzionale, sul rapporto parlamento-governo.

Anche da questo più ampio angolo virtuale, il progetto risulta concepito in
una gabbia di indifferenza verso l´esperienza politica degli ultimi anni e verso
le abitudini e le percezioni dei cittadini elettori.

Il falò degli attuali collegi elettorali di Camera e Senato significa fare
terra bruciata di rapporti tra eletti ed elettori, imperniati anche sulle
identità locali, in stretta connessione con le nuove forme dei governi diretti
territoriali. Le grandi dimensioni regionali che si vogliono introdurre
cancellano questa relazione identitaria, tolgono ai parlamentari la freschezza e
gli stimoli della prossimità al territorio. Impoveriscono la politica e, insieme
e soprattutto, i cittadini.
Il ritorno ai partiti, decisori assoluti su liste bloccate e su liste a
«preferenza», è cosa perfettamente contraria di quella rinascita di partiti
capaci di nuova cultura politica, rinascita che deve essere alla base della
rivitalizzazione del nostro sistema politico. Di più: in questo rinvigorimento
elettoralistico dei partiti, arretrano sia l´idea di coalizione, sia quel
primato del primo ministro, che sono acquisizioni cittadine di questi anni
trascorsi.

Ancora: il progetto proporzionalizza il Senato in maniera che viene ad un
certo punto smarrita la stessa nozione costituzionale della sua elezione “su
base regionale” (art. 57 Cost.): sia per quanto riguarda le liste che superano
lo sbarramento sia per quanto riguarda l´attribuzione del premio di maggioranza
(l´uno e l´altro calcolati su base nazionale). Qui la precisa percezione di un
vizio di legittimità va di pari passo con quella dell´arretramento rispetto ai
progetti di Camera territoriale che pure la maggioranza dice di volere in un
futuro assetto parlamentare. Anche qui è la nozione di prossimità di governo che
va in crisi.

Come ultimo atto di una tristissima legislatura, questo progetto è
minacciosamente concepito in due soli articoli (che però ne modificano 18
dell´attuale testo elettorale e ne sopprimono altri 6). Due maxiaccorpamenti
dunque in previsione delle inevitabili, e già iniziate, battaglie parlamentari.
E´ l´estrema prova di forza di una maggioranza-cicala che ha sperperato il suo
enorme vantaggio nelle Camere (150 parlamentari in più): in leggi ad personam
(per sottrarre imputati al giusto processo) in leggi finte (come per il
conflitto di interessi e la riforma televisiva) in leggi incostituzionali (come
la devolution o il disordinamento giudiziario). E che, ora che si avvicina
l´inverno elettorale, cerca rifugio in meccanismi truccati per evitare
l´alternanza. Cioè, in definitiva, per opporsi alla democrazia.