7 Aprile 2006
Il Tremonti scoperto
Autore: Enrico Morando
Fonte: l'Unità
Nell’ultimo confronto televisivo con Prodi, il leader (attuale, perché Fini e Casini hanno detto di considerarlo tale solo fino al voto di domenica prossima) della Casa delle Libertà ha bellamente rifiutato di fornire alcuna delucidazione sulle fonti di finanziamento delle misure di maggiore spesa o minore entrata previste dal programma elettorale del centrodestra.
Ad esempio, non ha spiegato come finanzierà i trecento euro in più per le pensioni minime; la detassazione degli straordinari; l’eliminazione del costo del lavoro dalla base imponibile Irap; le due aliquote e il quoziente famigliare Ire.
E sì che in quel momento – quando si è impegnato a svelare al solo Prodi, ma in privato, le scelte di “copertura” su cui Napoletano chiedeva informazioni a nome di tutti gli elettori – il Cavaliere non aveva ancora estratto dal cappello il coniglio della totale abolizione dell’Ici per la prima casa.
Con questa aggiunta (2,4 miliardi), malcontati, i miliardi necessari per realizzare questo “programma” e rispettare l’art. 81 della Costituzione dovrebbero ammontare a poco meno di 40 l’anno, per tutti gli anni che verranno (gli oneri sono tutti di parte corrente).
L’unico, nella Casa delle Libertà, a tentare di dire qualcosa sulle “coperture” resta quindi Tremonti, autore e sostenitore di un progetto di drastica riduzione del volume globale del debito della Pubblica Amministrazione attraverso la valorizzazione dell’attivo patrimoniale dello Stato centrale e dei Comuni.
In estrema sintesi, si tratterebbe di questo: se lo Stato crea una società (secondo Tremonti è già stata creata: Patrimonio dello Stato s.p.a.) cui trasferisce a titolo oneroso la proprietà di tutto il patrimonio della P.A. centrale e locale, può ottenerne in cambio le risorse necessarie per far crollare il (di nuovo crescente, dopo dieci anni) volume globale del debito al 70% del Pil.
Si determinerebbero così le condizioni per una drastica riduzione della spesa per il servizio del debito; e il risparmio ottenuto potrebbe essere usato per finanziare le maggiori spese o le minori entrate previste dal programma del centro-destra. Il tutto, senza alcun sacrificio o taglio di spesa. E senza mettere nuove tasse.
Proviamo ora a vedere i punti di forza (pochi) e i punti di debolezza (molti) del ragionamento tremontiano.
È certamente vero, per fortuna, che le P.A. italiane, a fronte di un debito enorme (nel 1996 era doppio, in rapporto al Pil, rispetto a quello medio nell’area Euro) possono contare su di un patrimonio consistente, anche se di difficile valutazione e di ancor più difficile valorizzazione.
È quindi perfettamente ragionevole e politicamente corretto chiamare l’attivo patrimoniale a concorrere alla riduzione del volume globale del debito.
Ma le politiche volte a questo obiettivo sono effettivamente virtuose se, e solo se, si accompagnano a quelle volte a ricostituire un consistente avanzo primario (entrate meno spese correnti, al netto di quelle per interessi) e a quelle volte a far aumentare la spesa corrente primaria – anno per anno – meno della (o, al massimo, quanto la) crescita della ricchezza nazionale.
Tremonti ha, in questi cinque anni, ottenuto – in proposito – i seguenti risultati, proprio ieri “certificati” dall’Istat: l’avanzo primario, superiore al 4% nel 2001, si è sostanzialmente azzerato nel 2005 e potrebbe addirittura essere negativo nel 2006.
La spesa corrente primaria è cresciuta, nello stesso periodo, del 2,3% del Pil. In compenso, la parte più facilmente vendibile del patrimonio immobiliare è stata alienata; ma i proventi della vendita sono stati chiamati non a ridurre il debito, ma finanziare gli aumenti di spesa corrente.
Anche sulle modalità e sui prezzi di dismissione c’è molto da dire. Prendiamo il caso della Cassa Depositi e Prestiti.
Due anni fa il ministro dell’Economia – nel quadro della strategia di “valorizzazione” del patrimonio e di trasferimento “sotto la linea” di spesa pubblica, cedette il 30% di C.D.P. alle Fondazioni bancarie, che pagarono quella quota con 1,5 miliardi di euro.
Per questo “sacrificio” – compensato per altro con un rendimento minimo garantito ab origine dallo Stato, con tanti saluti al carattere “di mercato” dell’operazione – le Fondazioni bancarie hanno ricevuto dividendi pari al 7,75 del capitale nel primo anno, e del 22,86 nel secondo, recuperando così – in soli due anni – più del 30% del capitale investito. Difficile non andare col pensiero alla remunerazione dei più banali e meno “fantasiosi” titoli di Stato: 3% lordo.
Anche ammettendo che la “valorizzazione” del patrimonio non avvenga a queste jugulatorie (per Pantalone, ché per gli acquirenti è festa grande) condizioni, resta il fatto che in tanto essa può aprire spazi finanziari per politiche di rilancio della crescita e di redistribuzione a fini sociali, in quanto sia messa in atto da governi che sappiano tenere sotto controllo la spesa corrente primaria: tra 1996 e il 2001 il centro-sinistra si dimostrò capace di farlo.
Il centro-destra, l’ha lasciata galoppare senza controllo. Tremonti addirittura se ve vanta (abbiamo sostenuto la domanda) e promette di continuare sulla stessa strada: nel programma del centro-destra non si trova alcun impegno per la ricostruzione dell’avanzo primario.
Al contrario, si trovano scelte di aumento della spesa corrente coperte – di fatto – attraverso l’alienazione del patrimonio.
Una linea che assume un carattere paradossale nel caso dell’Ici: Berlusconi ne propone l’abolizione senza dire dove trova le risorse necessarie.
E, se si cercano lumi nelle proposte di Tremonti, si arriva alla conclusione che dovrebbero essere i Comuni col loro patrimonio, a compensare se stessi per il venir meno del gettito Ici. Berlusconi e Tremonti banchettano, e i Comuni pagano (due volte) il conto.
Nel programma del centro-sinistra (per l’esattezza: da pag. 197 a pag. 200) l’impegno alla ricostituzione di un significativo avanzo primario viene assunto come prioritario.
In questo contesto, politiche di migliore gestione e di valorizzazione dell’attivo patrimoniale dello Stato posssono fornire un contributo decisivo al recupero di un accettabile grado di libertà nella politica economica e sociale, oggi fortemente compressa dalle abnormi dimensioni del debito.
Una politica di responsabile gestione della finanza pubblica può creare le condizioni per un allentamento della “stretta” finanziaria sugli enti locali (Patto di stabilità interno espresso per saldi e non per tetti di spesa).
E i sindaci, a quel punto, sarebbero ben lieti di poter alleggerire – o addirittura annullare – l’Ici sulla prima casa.