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27 Aprile 2006

Il silenzio del Presidente

Autore: Sebastiano Messina
Fonte: la Repubblica

«Possibile che un capo dello Stato non abbia il diritto di parlare? Io non mi faccio imbalsamare in questa gabbia».

Giovanni Gronchi, 24 novembre 1955 Ma Ciampi ha già deciso di lasciare per sempre il Quirinale, oppure il presidente non esclude di restare al suo posto, se un ingarbugliamento della situazione politica dovesse spingere i due poli a chiedergli un secondo mandato? Il dubbio circola, intorno al palazzo più alto della Repubblica, perché il capo dello Stato – dopo aver detto di aspirare solo a «finire il mandato con dignità» – non ha mai confermato in pubblico quello che ha confidato in privato, e cioè di non essere assolutamente disponibile a un nuovo settennato.

Ci sono stati, è vero, alcuni segnali chiari di un imminente trasloco: il capo della segreteria del presidente, Francesco Alfonso, ha già avviato la procedura per il suo rientro alla Banca d´Italia (dove aveva il grado di «direttore principale»), mentre il suo addetto stampa, il giornalista Paolo Peluffo, ha ottenuto il 17 marzo una nomina governativa a consigliere della Corte dei Conti destinata ad addolcirgli l´uscita dal Palazzo.

Ma molti si aspettavano che Ciampi cogliesse l´occasione di uno dei suoi ultimi discorsi pubblici – alla celebrazione del 25 aprile o alla seduta di ieri del Csm – per confermare ufficialmente la sua intenzione, cosa che invece non è avvenuta (a parte l´uso della parola «commiato», non rafforzata però da alcun aggettivo).

Così, anche chi si pronuncia per un settennato bis – come Giulio Andreotti – prende ora spunto dal silenzio di Ciampi per ricordare che quasi tutti i suoi predecessori erano pronti a farsi rieleggere.

Escludendo Segni (che morì dopo appena due anni), Leone (costretto alle dimissioni), Cossiga (uscito di scena con un polemico discorso in tv) e Scalfaro (che anticipò addirittura l´addio al palazzo) tutti gli altri avrebbero volentieri accettato il secondo mandato.

Magari non lo dicevano, come Enrico De Nicola. Il quale non si era voluto insediare al Quirinale, sontuosa residenza di papi e di re, rimanendo invece a Palazzo Giustiniani.

Eppure il suo successore, Einaudi, arrivando nell´appartamento presidenziale vi trovò un letto d´ottone a una piazza che De Nicola aveva fatto portare da Torre Del Greco quindici giorni prima della scadenza del mandato: pensando, evidentemente, che fosse arrivata l´ora del trasloco definitivo.

Sei anni più tardi, quando morì De Gasperi, il vecchio giurista napoletano era ancora arrabbiato con lui per la mancata conferma: «De Gasperi questo non me lo doveva fare» confidò ai suoi accompagnatori, sul treno che lo portava a Roma per i funerali.

[Alla tentazione di restare non seppero resistere neanche i suoi successori. «Einaudi – ha raccontato Andreotti – alla vigilia della scadenza invitò me e mia moglie al Quirinale, era un venerdì santo, per dirmi che potevo riferire alla Dc che lui desiderava restare. E Saragat, quando vide che non veniva rivotato dal Parlamento, mandò una lettera quasi con insulti a deputati e senatori. Per non parlare di Pertini, che ci tolse il saluto perché non lo ricandidammo».]

La storia di questi sessant´anni, insomma, indurrebbe a leggere i silenzi del Quirinale come un tacito invito alla conferma. Ecco perché Carlo Azeglio Ciampi fa fatica, oggi, a convincere tutti che il suo riserbo significa l´esatto contrario.