Ancora una settimana. Questa è una campagna elettorale che non assomiglia a
nessun’altra. Non soltanto perché mancano i volantini, scarseggiano i manifesti,
non arrivano più gli appelli dei candidati che inondavano le portinerie e sono
quasi del tutto spariti i faccioni degli aspiranti deputati e senatori che
coprivano i muri delle città. Si ha soltanto notizia delle cene apparecchiate un
po’ ovunque per raccoglier soldi, si sa delle feste che i deputati e gli
onorevoli senatori, certi ormai di venire eletti, offrono agli amici. Mancano i
suoni, i colori, il rimbombo e c’è poco da rimpiangere.
Basta Berlusconi a rompere i silenzi. Quando entra in scena bisogna
prepararsi a sentir dire di tutto. Non si rivolge ai moderati del suo
schieramento incerti sul da farsi, viste le promesse mancate. Deve dare anche
loro per persi.
Ha scelto l’aggressività senza confini e siccome non può non sapere che
quanti possono apprezzare quei toni, quel linguaggio, quelle ingiurie sono già
suoi fedeli seguaci, significa che ormai dice veramente senza finzioni quel che
ha nel cuore, ha rinunciato persino alla parte del suadente comunicatore.
Non ha nulla da dire, snocciola trionfalmente numeri incontrollabili, urla,
zittisce il prossimo, insulta, con tutti i denti spalancati in un riso fisso e
beffardo. Sinistro più che amabile. Bugiardo per tendenza. L’altro giorno i
bambini cinesi fatti bollire da Mao e usati come concime. E oggi?
E domani? A decidere è soltanto lui. Aveva ragione Machiavelli, del resto,
quando scrisse nel Principe: «Non è di poca importanza a uno principe la
elezione de ministri: li quali sono buoni o no secondo la prudenza del principe.
E la prima coniettura che si fa del cervello d’uno signore, è vedere li uomini
che lui ha d’intorno».(…)
È impossibile ogni pacato discorrere su quel che è stato fatto o non fatto
durante la XIV legislatura. Il premier è abituato a sentirsi dar ragione e
sembra esterrefatto quando qualche giornalista, com’è suo dovere, riesce a
fargli una domanda imbarazzante. Come a Ballarò, martedì scorso, quando Floris
gli ha chiesto del processo Sme, visto che erano appena uscite le motivazioni
della sentenza della Corte d’appello di Milano che ha condannato Previti e
Squillante. Una lamentela accusatoria, la sua, non una risposta. Contro i
giudici, si sa, ma non ha perso occasione per esaltare se stesso, benefattore
dell’umanità, sommo contribuente di denaro allo Stato. Ballarò gli porta pena.
Fu a quella trasmissione che dopo le elezioni regionali del 2005 diede il peggio
di sé parlando di uno Stato parallelo e nemico di cui fanno parte le Procure, le
magistrature, le scuole superiori, le università, il Consiglio di Stato, i
giornali e le Tv.
Sembra che Berlusconi abbia paura. Non sta comportandosi come un uomo
politico del gioco democratico che può venir sconfitto, come è nella norma, ma
come un padrone che teme di perdere i beni.
Mediaset è un’azienda come le altre, nessuno dei suoi dipendenti rimarrà
senza lavoro, come non rimarranno disoccupati i lavoratori delle assicurazioni,
delle banche, delle società di pubblicità, delle case editrici, dei giornali di
sua proprietà. L’anomalia è soltanto lui. Non è un caso che sulle sponde della
Destra si parli ora in modo concitato del problema del conflitto di interessi e
che un grottesco appello di tre intellettuali fedeli chieda grazia per lui.
Quello è il nodo irrisolto della cattiva politica di questi anni. La legge
regolatrice è da rifare subito, con severità.
Il problema poteva essere risolto al tempo della «discesa in campo» di
Berlusconi nel 1994. L’articolo 10, d.p.r. 30 marzo 1957, n. 361 stabilisce
infatti l’ineleggibilità degli imprenditori individuali e dei rappresentanti
legali o consulenti permanenti di persone giuridiche che siano titolari di
concessioni amministrative dello Stato.
Ne accenna Alessandro Pizzorusso, illustre costituzionalista-professore di
Istituzioni di Diritto Pubblico all’Università di Pisa, autore di libri
importanti, oltre che di diritto costituzionale, sull’ordinamento delle fonti
del diritto e sull’organizzazione della giustizia in Italia – nell’intervento
che conclude il monumentale Commentario della Costituzione Zanichelli, iniziato
da Giuseppe Branca nel 1975 e da lui continuato, che raccoglie i saggi e i
commenti della più autorevole cultura giuridica nazionale, giunto ora al
trentaquattresimo e ultimo volume: Leggi costituzionali e di revisione
costituzionale (1994-2005).
Gli anni della politica berlusconiana cominciano a passare sotto la lente
di una possibile storicizzazione. Che cosa scrive Pizzorusso? Dalla crisi del
1991-1993 da cui ebbe giovamento l’antipolitica populista alla nascita di Forza
Italia, «partito creato da un imprenditore milanese, già beneficiario della
protezione del leader socialista Craxi (poi fuggito all’estero per sottrarsi
alle condanne riportate)» al legame con la Lega Nord e al Movimento sociale:
«Uno schieramento che comprendeva due partiti di nuova formazione e l’unico
partito che durante la fase precedente era rimasto escluso dall’”arco
costituzionale”, a causa della sua professione di fede fascista».
Forza Italia nasce come «un’azienda di pubblicità commerciale», promossa da
un imprenditore «che aveva creato in poco tempo un importante gruppo finanziario
(con l’appoggio determinante di uno dei partiti contro i quali la critica
antipartitocratica si rivolgeva)», un gruppo industriale che comprendeva un
complesso di aziende operanti nei media, suscettibili di orientare l’opinione
pubblica del Paese. I dissensi all’interno dello schieramento si smussavano
perché ogni componente era debitrice dei riconoscimenti loro consentiti.
L’attacco alla Costituzione passa attraverso fasi diverse: nel 1994, ai
tempi del primo governo Berlusconi e dopo il 2001, ai tempi del secondo governo.
Senza dimenticare l’avallo che durante i governi di centrosinistra offre la
Commissione bicamerale che estende la sua attività al «sistema delle garanzie» e
riconosce «una pari legittimazione a tutte le forze politiche (compresi gli
ex-fascisti e il partito – azienda di Silvio Berlusconi), e ammette, la
necessità di un’ampia riforma costituzionale».
Il problema del conflitto di interessi viene così dimenticato, anche se è
essenziale. Scrive Pizzorusso: «Spesso fu sostenuto che la lotta politica non
doveva mai tradursi nella “demonizzazione” degli avversari, nemmeno quando si
tratti di personaggi che presentino caratteristiche generalmente ritenute tali
da squalificare un aspirante uomo politico (indipendentemente dal fatto che si
traducano – come nella specie si traducevano – in una causa di ineleggibilità).
Furono così lasciate cadere le ragioni di chi denunciava il conflitto di
interessi derivante, per il leader di questo schieramento, dal controllo dei
mass media e di altre importanti attività economiche, le sue pendenze
giudiziarie e la sua ineleggibilità derivante dalla sua qualità di proprietario
di aziende che si avvalevano di concessioni amministrative».
Pizzorusso è severo anche nei confronti della riforma della seconda parte
della Costituzione che verrà assoggettata a referendum dopo le elezioni
politiche: «Può essere sufficiente segnalare come la forma di governo che da
essa risulta appaia ritagliata su misura per l’attuale leader cui vengono
attribuiti poteri tali da consentirgli, sia di controllare i suoi oppositori,
sia di obbligare i suoi alleati a sostenerlo». Il rischio è di passare da una
forma di governo rispettosa del principio democratico e pluralistico «a una
forma di governo che realizzi una concentrazione di poteri in un leader tale da
farne un “dittatore”, quanto meno nel senso antico del termine».
La posta in gioco è alta. Tutto è contro Berlusconi, il signor crescita
zero e il suo cattivo governo, ma bisogna essere ugualmente prudenti. Chi
possiede enormi possibilità finanziarie non vuole perdere. La vigilanza
democratica non spetta di certo a lui, come ha osato dire. Disperato-muterebbero
tutti i segni della sua vita – potrebbe infatti rovesciare i tavoli della
sconfitta. E visto che la posta in gioco è alta, in un Paese disastrato come il
nostro nelle mani di governanti di terz’ordine, perché il centrosinistra deve
essere costretto a difendersi dalle accuse false che riguardano i bot e i cct e
perché nessuno parla più delle leggi vergogna, assenti dal programma
dell’Unione, e Prodi non risponde all’appello di un migliaio di giuristi, molti
di gran nome, e di intellettuali che da tempo gli hanno chiesto di esprimersi
sulla cancellazione delle leggi ad personam che umiliano l’intero
Paese?