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11 Maggio 2006

Il secolo nuovo della sinistra

Autore: Ezio Mauro
Fonte: la Repubblica

QUELL´APPLAUSO del Parlamento in piedi, che dura a lungo e si allarga a tutta l´aula, dividendo la destra, è il vero atto d´inizio della nuova legislatura.

Nell´omaggio a Giorgio Napolitano eletto Capo dello Stato c´è prima di tutto la consapevolezza di aver compiuto il supremo rito della liturgia repubblicana, scegliendo un uomo adatto a rappresentare l´intero Paese e tutto il sistema politico in un ruolo super partes, dopo una presidenza di grandissima popolarità come quella di Carlo Azeglio Ciampi.

Poi c´è la coscienza di aver compiuto il destino della sinistra, per troppi anni monco per l´anomalia comunista e la sua legittimazione parziale.

Ancora, c´è la presa d´atto che il centrosinistra ha non solo una maggioranza autonoma, ma la capacità di esprimere una politica per le istituzioni, con gli uomini giusti.

E infine, c´è la certezza che il nuovo settennato sarà difficile, perché il quadro politico italiano resta terremotato, in una sorta di eterna campagna elettorale permanente.

Le poche parole e i gesti sobri di Napolitano prima e dopo l´elezione sembrano adatti al momento.

Oggi non c´è bisogno di retorica, come ieri non c´era bisogno di una campagna elettorale, perché l´incarico non la consente.

Per un candidato come Napolitano parla la biografia politica, culturale, istituzionale, per il programma parla la Costituzione.

Non c´è altro, perché non ci deve essere altro. Il Presidente è nato come deve nascere nell´aula di Montecitorio, senza compromessi, liberi i partiti – naturalmente – di valutare le loro convenienze di schieramento.

Napolitano non ha aggiunto nulla alla storia della sua vita: si è solo limitato (com´è giusto, perché lo suggerisce la Costituzione) ad auspicare una convergenza più ampia del suo schieramento politico di sostegno.

La sua presidenza super partes, dunque, nascerà da un dovere costituzionale di ruolo, da un´educazione istituzionale, da una convinzione personale: non da patti che sarebbero tutti impropri, perché la Repubblica non può e non deve patteggiare nulla con nessuno, in quanto tutti i cittadini – qualunque sia la loro rilevanza pubblica – sono nel suo perimetro, e nello stesso momento nessuno è un partner speciale o privilegiato con cui la presidenza va preventivamente concordata.

Questa lunga biografia repubblicana, la storia di un uomo sempre a sinistra, che ha coltivato un forte senso delle istituzioni e una cultura europea, è stata offerta dal centrosinistra a tutto il Parlamento, fin da domenica, per cercare un punto d´incontro che portasse maggioranza e opposizione ad essere insieme parti costituenti del nuovo settennato.

Toccava alla sinistra che ha vinto le elezioni il diritto-dovere di fare la scelta. Ma le toccava anche l´obbligo di cambiare schema per il Quirinale rispetto alle Camere, ricercando l´intesa con l´opposizione.

E qui la destra si è divisa. Fini ha contestato il metodo del candidato unico, con la mancanza della rosa e dunque della scelta.

Berlusconi ha annunciato al Paese che non avrebbe comunque mai accettato un comunista al Quirinale.

Casini ha continuato ad inventare candidature, di regola durate non più di mezza giornata.

D´Alema ha rappresentato l´opzione più forte, dunque più difficile da digerire per la destra.

Tanto forte che gli stessi Ds hanno sentito il bisogno di correggere l´imprinting leaderistico e di partito del loro presidente con una sorta di proposta programmatica alla destra: compiendo un grave errore.

Nella corsa al Quirinale si possono trattare i consensi, com´è sempre avvenuto, non i poteri del Presidente, che sono indisponibili e fissati una volta per tutte.

E soprattutto: lo Stato (in questo caso il Presidente che lo rappresenta) non tratta preventivamente con una sua parte, anche se questa parte si comporta spesso come l´Antistato.

Questo errore ha scoperto D´Alema a sinistra, non ha smosso a destra quel grumo ideologico che abita il cuore e la mente di Berlusconi.

Ma il falò sacrificale di D´Alema ha in qualche modo spianato la strada a Napolitano perché la destra mentre negava la pregiudiziale anticomunista faticava a dire due volte no ad un nome che viene dal vecchio Pci.

Anzi: Casini e Fini sono stati ad un passo dal convincere Berlusconi. Prima di loro c´è riuscito Bossi, che dice spesso a voce alta ciò che il Cavaliere pensa nel profondo.

Così ancora una volta Berlusconi ha fatto ciò che ha voluto dell´intera Casa della Libertà e i moderati di destra si sono mostrati ieri come sempre politicamente sterili, improduttivi, enunciatori di progetti che non riescono mai a tradurre in pratica.

E sullo sfondo risuona la voce della destra estrema di Calderoli, l´unico parlamentare capace di dire ieri che non riconoscerà il nuovo Capo dello Stato.

La destra ha perso l´occasione di votare un galantuomo per il Quirinale, ma soprattutto di aprire un percorso politico di dialogo con la maggioranza sul terreno istituzionale.

Con il risultato di mostrarsi divisa tra due culture e due pratiche politiche quasi inconciliabili al primo vero test pubblico poche settimane dopo il voto.

Ecco perché Prodi esce più forte da questa prova, dopo la tenuta della maggioranza in Parlamento, e può affrontare l´ultimo decisivo passaggio, quello della formazione del governo.

Più forte, a dispetto di tutto, è anche la prospettiva del partito democratico, ogni giorno più inevitabile e urgente.

L´applauso del Parlamento per Napolitano presidente saluta infatti anche l´approdo di una storia incompiuta per troppi ritardi e troppi errori, quella della sinistra italiana.

La compie, non per caso, un uomo che ha partecipato con i più giovani alla rottura della vecchia tradizione comunista (avvenuta in Italia purtroppo solo dopo la caduta del Muro, e non prima), e che negli anni precedenti aveva però saputo puntare la sua bussola di minoranza sull´Europa nell´eredità di Altiero Spinelli e sulla socialdemocrazia, nella convinzione di superare la frattura storica con i socialisti.

Proprio qui, a ben vedere, sta la radice del riformismo italiano, che è l´identità culturale del post-comunismo e può sboccare in una compiuta cultura “democratica” senza aggettivi, con il nuovo partito.

In questo senso, e con ritardo, l´elezione di Napolitano chiude il Novecento politico italiano, una storia che non sapeva chiudersi.

L´applauso a un Presidente che viene dalla storia del Pci significa che anche la politica è entrata nel secolo nuovo: e la sinistra, finalmente, attende ora l´inizio di una nuova storia.