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5 Gennaio 2006

Il ritorno all’autocritica

Autore: Edmondo Berselli
Fonte: la Repubblica

Mentre un capo diessino popolare come Antonio Bassolino parla dello «sgomento della nostra gente», dentro la principale forza della sinistra italiana si alza la richiesta di un’autocritica.

Già, proprio l’autocritica. Come se i vertici del partito, nel contesto del caso Unipol, avessero commesso uno dei classici “errori” della dirigenza comunista di ogni tempo, da sanare attraverso la confessione pubblica e il reintegro nell´ortodossia.

Il termine suona infelice, anche se a proporlo con più determinazione sono esponenti come Lanfranco Turci, titolare di una storia ravvicinata con il movimento cooperativo e nello stesso tempo fautore della modernizzazione riformista dei Ds.


È infelice perché riporta non tanto allo stalinismo, o alle pratiche terzinternazionaliste, lontanissime ormai dalla psicologia del personale politico ds.

Ma piuttosto perché dà l´impressione di un partito che ha capito di avere sbagliato linea, e che questa linea errata va riportata sulla rotta giusta, per essere ricondotta con soddisfazione di tutti dentro l´alveo della correttezza politica.


Come se si trattasse di una vicenda tutta interna ai Democratici di sinistra, da risolvere con un ampio dibattito, alcune intense mozioni e infine la ricomposizione di tutte le forze intorno alla segreteria.

Sarebbe, questo sì, un errore. Perché in questo momento i Ds non sono un mondo a parte caratterizzato da specifici e peculiari criteri “etici”: la diversità sarà una dote o un fardello, ma comunque appartiene al passato.

Ciò che conta di più oggi è che la Quercia, lungi dall´essere un nucleo compatto di valori e interessi politici autoriferiti, costituisce un segmento decisivo nella coalizione di centrosinistra, e uno dei pilastri di quell´embrione del “partito democratico” rappresentato dalla lista unitaria prevista per la scheda della Camera alle prossime elezioni politiche.


Va considerato inoltre che al momento i Ds e i suoi uomini più significativi, Piero Fassino e Massimo D´Alema, sono il bersaglio di un attacco violentissimo della Cdl, e in particolare da parte degli ambienti berlusconiani.

Sarebbe un risultato politicamente micidiale se la stampa di proprietà berlusconiana riuscisse a far passare nell´opinione pubblica la convinzione che “così fan tutti”, e quindi che l´odierna Bankopoli costituisce soltanto la seconda puntata di Tangentopoli, a cui il Pds sfuggì per la sua capacità omertosa, esemplificata dal silenzio del “compagno G”, il celebre Primo Greganti.


Quindi la questione politica aperta dalle intercettazioni delle conversazioni di Piero Fassino con Giovanni Consorte non può svolgersi soltanto nel cerchio pacificatore dell´appartenenza al partito.

Non è sufficiente un rito collettivo di purificazione, che riavvicini la segreteria e la presidenza alla base popolare, ai valori della cooperazione, al sentimento diffuso nei militanti e in quegli elettori che hanno sempre visto nei Ds una riserva di moralità pubblica da trasformare in una risorsa per il paese.


Non basta un rito di purificazione anche perché non è chiaro da che cosa debbono purificarsi i Ds. Da una contiguità eccessiva alla finanza di casa? Probabilmente sì.

E probabilmente anche dall´imprudenza dei dilettanti, o dall´euforia dei debuttanti, nel trattare al telefono le strategie create da Consorte, come se fosse compito di un capo di partito fare il tifo per i “nostri”, la finanza rossa che gioca e vince sul campo esterno del mercato capitalistico.


Come si vede, non è né una questione di legalità né un dilemma di moralità. Fintanto che non risulteranno provati intrecci delittuosi fra Unipol e Ds, che non si scoveranno tangenti o tesoretti, i Ds non si trovano dentro un problema giudiziario: sono dentro un problema politico.

Ciò che più importa, sono in un problema politico che non riguarda soltanto loro, il partito della Quercia, la galassia rossa, la grande compagine di amministratori, i quadri di partito, gli iscritti, il sindacato, tutta la sfera della cooperazione.


E allora occorre stare attenti a non confondere i piani. Finora, la mediocre, spesso dialettale epopea delle scalate aveva danneggiato soprattutto il centrodestra: sottosegretari nei guai, i favori di Fiorani alla Lega, l´ombra di Silvio Berlusconi sull´attacco di Stefano Ricucci alla proprietà del Corriere della Sera.

Adesso lo spostamento di attenzione è spettacolare, ma proprio per questo sarebbe illogico che i Ds volessero trattare il caso Consorte, o il caso Fassino, come una faccenda domestica, un affare interno, pulizie pasquali da fare prima di Pasqua per mostrare la casa in ordine il giorno delle elezioni.


Intanto, mentre la sinistra ds, Mussi, critica duramente la segreteria, si vedono già gli effetti potenzialmente disgregativi del sistema proporzionale, con tutti, diconsi tutti, gli alleati della Quercia che mettono il dito nella piaga. In questo scenario da allegria del naufragio, nessuna autocritica, cioè nessuna procedura autogestita, può essere davvero risolutiva.

Se i Ds si limiteranno a un´operazione verità a uso e consumo interno procureranno un´illusione ulteriore a se stessi, giacché la questione non è “salvare” la Quercia.

Oggi viene in luce che i Ds si salvano o si dannano con tutto il centrosinistra. E quindi occorre la massima trasparenza, forse perfino qualcosa di simile a una chiamata agli stati generali dell’Unione, comunque a un confronto con i quartier generali di tutti i partiti: per scoprire tutte le carte, chiarire ogni dubbio e portare a condividere una posizione chiara ed efficace.

Non si tratta di una cessione di sovranità. È un atto di intelligenza politica con gli alleati. E soprattutto di lealtà con gli elettori.