21 Novembre 1999
Il presidente della Commissione Ue: D’Alema era scettico? Si fa più festa in Paradiso per un peccatore pentito. Sarò a Bologna per votare Parisi
Fonte: Il Corriere della Sera
FIRENZE — Ne è passato di tempo politico dal settembre 1998. Romano Prodi era presidente del Consiglio e aveva messo in moto quel meccanismo internazionale chiamato dai media “Ulivo mondiale”.
Fu clamoroso il vertice di New York con Clinton e Blair. Massimo D’Alema, più interessato all’Internazionale socialista, commentò: “idea provinciale”.
Oggi qualcosa è cambiato. Il vertice di Firenze sembra dar ragione all’intuito politico di Prodi.
Quando lo incontriamo sta per andare alla cena di gala dove prenderà per primo la parola, accettando la sfida degli Usa su occupazione e giustizia sociale. Ma lanciandone una al presidente Clinton:
“Potete ottenere i risultati europei sul piano sociale in termini di equa distribuzione delle opportunità e del reddito?”.
Prodi ammette la sua soddisfazione, parla di Ulivo e di riforme, parla con ottimismo del futuro del nostro Paese, e racconta il suo sogno europeo.
Parla del suo amico Arturo Parisi e dice che un anno dopo la caduta del suo governo non ha rimpianti:
“Rifarei ancora no con il dito a Violante”.
Presidente Prodi, si torna a parlare di Ulivo mondiale un anno e due mesi dopo il vertice di New York. Che effetto le fa?
“L’idea di mettere assieme i leader riformisti del mondo per pensare ai grandi problemi da affrontare congiuntamente o separatamente, discutere insomma di politica, mi era venuta naturale, ci era venuta naturale, quando cominciammo questo esercizio. E poi c’è la globalizzazione. Ormai il mondo è molto più unito. Quello che succede in un Paese si riflette subito sugli altri e ci era sembrato opportuno, a Clinton, Blair e a me, quando ne parlammo la prima volta, di fare una riunione per cominciare a riflettere di questi temi”.
E si cominciò a parlare di Ulivo mondiale. “Né Terza via, né Ulivo mondiale, nessuno di questi battesimi ci passava per la mente. L’idea era quella di confrontare e mettere in comune l’esperienza. Esiste la preoccupazione di riformismi comuni nel mondo o no? Poi alla riunione di New York, che fu la prima, avevamo deciso di ritrovarci a Firenze e mi fa piacere che oggi la cosa si compia”.
A New York con lei c’erano Clinton e Blair. Nessuno dei tre è socialista. Adesso vi trovate con Jospin, D’Alema, Schroeder.
“Intendiamoci, questa riunione non è l’Internazionale socialista, ma non è certamente l’esclusione dei socialisti. Anzi, è proprio l’incontro dei riformisti di cui la tradizione socialdemocratica è una grandissima radice”.
Una delle radici…
“Una delle radici. Infatti Clinton c’è ancora, io ci sono ancora. Io non ho quella radice, non ho nulla a che fare nella mia vita con quella radice. La cosa nacque apposta perché si allargasse quella esperienza fuori dell’Europa, perché si allargasse al di fuori dell’Internazionale socialista, ma non in polemica. Un allargamento dell’esperienza, un confronto dell’esperienza. Il fatto che sia andata avanti, a me fa un enorme piacere perché mi sembra utilissima. E poi come tutte le cose internazionali i tempi si contano in decenni non si contano in anni. Per la moneta unica ci sono voluti più di quarant’anni. L’esercito europeo è fallito nel ’54 e solo adesso se ne sta riparlando. Così anche questo incontro di riformismi si è fermato e adesso riprosegue”.
Con l’abbraccio anche di chi era scettico. Come D’Alema.
“Abbracciato anche da chi era scettico: si fa più festa in Paradiso…”.
Insomma, riformisti di tutto il mondo uniamoci.
“Il bisogno di collaborazione, di irrobustimento delle forze riformistiche e anche la razionalizzazione delle politiche dei vari Paesi è un fatto necessario. Dove c’è da anni, beati loro. Dove non c’è, è bene che sia aiutato. Riformismo e bipolarismo sono beni preziosi. Ci vuole tempo come in tutti i processi storici”.
A parte l’Italia, tutti i leader presenti a Firenze rappresentano Paesi bipolaristi.
“Io penso che sia una ulteriore lezione di bipolarismo questa riunione. D’altra parte il bipolarismo c’è dappertutto. Nei Paesi di democrazia matura è difficile trovare una situazione non bipolarista. Quando si verifica sono momenti critici, sono i momenti di passaggio”.
Ci arriveremo anche in Italia?
“Penso proprio di sì. Potrei rivedere quello che pensavo due anni fa e dire: è la comune esperienza europea, il mondo in cui viviamo”.
Con l’ingresso dell’Italia nell’aerea dell’euro sembra concluso quel percorso virtuoso intrapreso dal nostro Paese.
“No, io sono convinto che anche l’Italia sarà trascinata dalla ripresa europea. Non ho di fronte uno schema pessimistico. Il riformismo viene molto favorito dal fatto che finalmente abbiamo una moneta unica che è costata sacrifici, e c’è stata la riduzione dei tassi di interesse. Adesso abbiamo di fronte in Europa e anche in Italia un periodo di sviluppo”.
Non la preoccupa la ripresa dell’inflazione?
“Dai dati che ho in mano non è preoccupante perché è molto settorializzata. E’ proprio dovuta all’energia. E’ inflazione lo stesso, ma non si sta espandendo agli altri settori”.
L’euro ci è costato molti sacrifici. Molti si chiedono se ci sono stati i benefici.
“Basti pensare ai soli tassi di interesse. Una riduzione che ha evitato la bancarotta di molti Comuni, così è stato per tanti cittadini, per le imprese. Abbiamo costruito le condizioni per uno sviluppo stabile del Paese. Io ho chiesto i sacrifici al Paese con la consapevolezza di chiederli. Però il risultato è venuto, direi anche meglio del previsto. In termini di riassetto rapido delle grandi variabili economiche del Paese”.
Presidente, ma lei ce l’ha un sogno per l’Europa?
“Sì. Ma come tutti i sogni degli adulti non è un sogno semplice, non è solo emozione. E’ un sogno complesso, articolato”.
Ce lo spieghi.
“Da una parte c’è il traguardo di quello che, con un brutto termine, viene chiamato allargamento: la riunificazione della grande casa europea. Ci avevo lavorato un sacco già prima. E da quando ho messo piede a Bruxelles ci siamo posti il problema di fissare una data: un obiettivo che spero venga concretizzato ad Helsinki. E poi, collegato a questo, c’è la grande riforma istituzionale. Sull’altro fronte c’è il grande disegno interno della ricostruzione della Commissione. La struttura della Commissione era cresciuta per stratificazioni geografiche successive. Adesso siamo arrivati a quel momento della vita degli Stati moderni, delle grandi organizzazioni complesse, in cui ci si deve dare una struttura, e una filosofia che la ispiri. Sta nascendo qualcosa di nuovo, occorre fornirgli strumenti assolutamente nuovi. Per farlo occorre un confronto culturale complicatissimo”.
Sì, però i capi di governo sembrano ragionare più in termini di nota della spesa. A cominciare dalla lista dei nuovi direttori generali…
“La nota della spesa so farla anch’io. Non mi tiro mica indietro. Stiamo facendo cose straordinarie. Con le stesse risorse stiamo affrontando il Kosovo, la Romania, la Bulgaria, l’allargamento. Verrà pure il momento in cui questo sarà riconosciuto. Conosco bene, per averle vissute come presidente del Consiglio, quali sono le attese e anche le diffidenze dei capi di governo verso la Commissione. Ma le sfide vanno accettate”.
Restiamo alla nota della spesa. A Parigi, durante l’Internazionale socialista, D’Alema ha protestato con il suo vice, Neil Kinnock, per la falcidie di direttori generali italiani…
“Guardi, su questa storia dei direttori generali si stanno lamentando assolutamente tutti, in modo scatenato e diffuso. Se si lamenta anche l’Italia, come mi dice lei adesso, sono contento perché vuol dire che non sono stato faziosamente pro italiano. Vuol dire che sto facendo il mio dovere. Come dimostra il fatto che in pochi giorni ho avuto addosso tutti. Governare vuol dire scegliere, scegliere al di fuori degli schemi di Paese vuol dire fare degli scontenti”.
Alla luce di quello che sta imparando in Europa, si è mai rimproverato per qualcosa che ha fatto, o non fatto, quando era a Palazzo Chigi?
“No. Anzi. Mi sono ancora più convinto del fatto che la politica è semplicità. Il politico deve essere un semplificatore. Deve capire l’essenziale e lasciar perdere il resto. Quei tre o quattro disegni che le ho esposto prima per l’Europa, alla fine arrivano ad un fatto semplice basilare: costruire una grande area di pace per la prossima generazione”.
Bei progetti. Ma sulla data per l’allargamento e sulla grande riforma istituzionale i governi che l’hanno nominata adesso stanno tirandosi indietro…
“Questo lo vedremo. Intanto hanno accettato di essere pronti all’allargamento per il 2002. Quanto alle riforme, lo vedremo ad Helsinki”.
E’ una scommessa?
“Certo. Nella vita si vince e si perde. Non è grave. E’ vero che io ho meno potere reale di un governo nazionale. Ma è anche vero che ho un compito diverso. Il mio compito è di aiutare a tracciare un nuovo disegno per l’Europa. Bisogna vederlo sulla distanza storica. E’ chiaro che ci saranno delle sconfitte, delle battute d’arresto. Ma l’importante è il disegno complessivo”.
D’Alema identifica nell’Europa una delle ragioni del riformismo. Ha ragione?
“Sì. Di fronte alle cose nuove, ai progetti nascenti, c’è più spazio e un maggior obbligo morale per un’azione innovativa. In Europa dobbiamo veramente riorganizzare alcuni aspetti della nostra vita. E quindi si apre uno spazio per affrontare questi cambiamenti in modo progressista o conservatore”.
Lei però, che esalta il bipolarismo, si trova a governare un’Europa consociativa, in cui progressisti e conservatori devono lavorare insieme…
“E’ vero. Ma siamo ancora in una fase di Stato nascente. Non siamo ancora al completamento della struttura politica. Non c’è ancora una aggregazione europea staccata dagli Stati nazionali. Siamo in una fase costituente, che implica una convergenza delle forze politiche”.
Lei a settembre si è dimesso dalla Camera. Nel suo collegio di Bologna ora è candidato il suo amico Arturo Parisi. Candidato dell’Ulivo, che sembra risorgere.
“Per forza. E’ inutile credere che i problemi siano superati cambiando terminologie. Uno la può chiamare con qualsiasi nome, ma il bipolarismo ci obbliga a una coalizione. Una si chiamava Ulivo, l’altra Polo. I nomi sono casuali, se volete. Ma che sia ritornato l’Ulivo non mi stupisce. Mi fa piacere che ci sia, perché è l’unica risposta alla necessità riformista del Paese. Per me sono momenti di grandi cambiamenti personali. Due mesi fa ho dato l’addio al Parlamento, oggi ho scritto una lettera ai miei elettori, e dopo si chiude tutto. Sono molto contento che la fiaccola sia presa in mano da Arturo che condivide in pieno questa idea di stabilità di lungo periodo del Paese. Lui riesce a portarla avanti, ha la cultura per farlo, l’esperienza, e ha grande pulizia morale personale. Adesso il mio stacco emozionale e formale si è completato”.
Troverà il tempo per andare a votare?
“A ogni costo. Non voglio e non posso mancare al mio impegno, anche per le premesse che ho fatto. Ci vado molto volentieri”.
Presidente Prodi, un anno dopo non ha rimpianti? Farebbe ancora no con il dito a Violante?
“Non c’è alcun dubbio. Perchè era in gioco il bipolarismo, la semplicità. Non ci ho neanche pensato, ho detto di no e basta. Ma voglio aggiungere che i numeri li conoscevamo. Parisi sa fare i conti”.