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12 Luglio 2007

“Il pericolo? Che il partito nasca contro il governo”

Autore: Federico Geremicca
Fonte: La Stampa

Prima di tutto si deve riconoscere che è
una persona onesta, una di quelle – insomma – dalla quale compreresti la
famosa auto usata perché è onesto il suo modo di ragionare, visto che ti
accoglie avvisandoti che «guardi non è mica che noi siamo dei pionieri, non
ci stiamo mica avventurando coraggiosamente alla scoperta di terre
sconosciute: noi siamo, a voler dire la verità, piuttosto i gestori di un
ritardo, perché l’’Ulivo è nato più di dieci anni fa e stiamo ancora qui a
discutere di come farne un partito».

Ed è onesta anche la trasparenza con la
quale Rosy Bindi parla del suo dissenso rispetto ad alcuni dei primi
movimenti del nascente Pd. Non le piace l’idea che le liste per l’elezione
della Costituente debbano essere necessariamente collegate alla candidatura
del segretario (e ieri è tornata a proporre, senza fortuna, al «Comitato dei
45» la doppia scheda e il voto disgiunto); non le piace la possibile rotta
di collisione – che già molti intravedono – tra il nuovo partito (e il suo
leader) e il governo di Romano Prodi; e non le piacciono, soprattutto, le
motivazioni ex post utilizzate per coprire esigenze e giochini di Ds e
Margherita, «che naturalmente capisco, perché non è che abbia cominciato a
far politica ieri, ma allora se ne parli con schiettezza, insomma si passi a
metodi nuovi e si cominci con lo spiegare, per esempio, quando, perché e in
quale sede è stato deciso che in ticket con Veltroni ci sia Dario
Franceschini, che è mio amico e che stimo: ma mi chiedo perché serva un
ticket oggi, visto che l’avevamo abbandonato già nel 2001 con la candidatura
di Rutelli e poi di nuovo l’anno scorso, con quella di Prodi».

Non
vorremmo che da tutto questo si traesse un’impressione sbagliata dello stato
d’animo di Rosy Bindi, che continua a ragionare (ma il più è deciso) alla
sua candidatura per le primarie del 14 ottobre: è una entusiasta del Partito
democratico, considera «l’elezione diretta del segretario una delle più
importanti innovazioni politiche degli ultimi anni», ammira Veltroni «che è
il leader giusto per fare ciò di cui questo Paese ha bisogno: unirlo con
serenità». Ma non ci sta – per carattere e formazione – a farsi menare per
il naso. Ed essendo nota come «Sorella coraggio», ed avendo cominciato a
rompere le scatole a chi predica bene e razzola male già un bel po’ d’anni
fa, nella sua Dc, quando segretario era un certo De Mita (e la Dc, certo,
non quella di Piccoli o Forlani), insomma, essendo tutto questo, figurarsi
quanto può tremare di fronte all’idea di dissentire da Rutelli e Fassino: o
di fronte alla malizia che la sua candidatura possa essere fatta passare
come quella di una «pasionaria» (altro suo soprannome) che parte,
sventatamente, lancia in resta contro il quartier generale e il leader
designato.

«Non è questo il senso, ovviamente. E del resto non mi pare che
sia avvertita così – spiega accoccolata su un divano del suo ministero (un
appartamento a un quarto piano, moderno, lindo, chiaro, che sembra d’essere
sbarcati in Svezia) -. Ancora più contenta mi rende il fatto che la mia
candidatura non sia intesa come quella “della donna” oppure come la
candidatura “cattolica” di cui il Partito democratico avrebbe bisogno: per
quello, cioè per la corrente cattolica del Pd, c’è Fioroni che lavora, e
basta e avanza… Vede, uno studio condotto tra i potenziali elettori alle

primarie rileva che la caratteristica che mi distinguerebbe sarebbe il mio
impegno nel sociale, per le questioni che riguardano – insomma –
direttamente la vita della gente: bene, è un giudizio nel quale mi riconosco
in pieno». E proprio «la gente» – o meglio: il rapporto tra il nascente Pd e
la gente – è il suo rovello di queste ore. In fondo, dietro la sua
candidatura sembra esserci fondamentalmente questo: offrire un’altra
opportunità, una possibilità di scelta a chi il 14 ottobre andrà a
iscriversi al Pd ma non vorrebbe votare Veltroni.

«Io ho chiesto solo
regole che non scoraggiassero altre candidature e quindi più partecipazione
da parte della gente. Gliel’ho detto all’inizio: capisco tutto e c’è poco da
fare i finti ingenui – spiega- . Ds e Margherita hanno equilibri e
organigrammi da far quadrare a Roma e rappresentanze locali da garantire.
Però c’è modo e modo. E questo sistema delle liste nazionali legate
necessariamente a un candidato segretario – e viceversa, naturalmente – non
mi convince. Io sono per la doppia scheda: perché potrebbe essere, per
esempio, che voglio votare per Veltroni segretario ma non anche, per dire,
per Bettini. Inoltre, questo sistema di più liste collegate allo stesso
candidato leader, garantisce certo a Ds e Margherita la possibilità di
eleggere nell’Assemblea costituente tutti i dirigenti regionali e nazionali
che devono sistemare, ma scoraggia altre candidature e ostacola la
partecipazione di gruppi ed esperienze». Ieri, «Sorella coraggio» ha
riproposto queste obiezioni al Comitato dei 45: respinta con perdite, si
direbbe in gergo militare.

«Peccato – dice Rosy Bindi -. Ma sa che le dico?
Che più ostative saranno le regole, più ho voglia di candidarmi. E se sarà
così, farò una campagna per segnalare il pericolo maggiore che aleggia sopra
di noi: che il Partito democratico nasca – come qualcuno forse vorrebbe –
contro il governo, e che Veltroni finisca per diventare il nemico numero uno
di Prodi». Questo dirà nella sua «campagna» per le primarie. Questo e altro,
chiaro. Per esempio, l’ennesima fine di un’illusione. Raccontano i suoi
collaboratori che Rosy Bindi avesse assai apprezzato – e ci avesse creduto –
la prima pagina con la quale La Stampa salutò con grandi foto, il 22 aprile,
il giganteggiare sulla scena di tre donne: Ségolène Royal, Anna Finocchiaro
e Rosy Bindi. Grande titolo: «Democratici, l’ora delle donne». Non era vero.
«Promesse, auspici. In fondo è di questo che abbiamo dovuto accontentarci.
Ma che vuole, magari sarà vera l’ultima, quella di Giuliano Amato: il
prossimo capo della Polizia sarà donna…». Lo dice sorridendo, Rosy la
candidata. Come chi, insomma, alle belle favole è tempo che non crede più.