Oramai conoscono così bene i rispettivi tic che quando si incontrano, vanno subito al sodo. Senza ipocrisie. E così, il 2 ottobre quando Franco Marini si è visto riservatamente con Massimo D’Alema, gli ha detto subito: «Massimo, mica penserai che il nostro convegno di Chianciano sia un’iniziativa contro il partito democratico?». Non è servito molto ai due vecchi amici-nemici per intendersi una volta ancora. Per decidere di provare a farlo davvero, questo benedetto partito democratico. Per immaginare un percorso di massima che tranquillizzi i rispettivi apparati. E proprio quell’incontro riservato, quel rinnovato patto di amicizia politica tra D’Alema e Marini, ha preparato la svolta che è affiorata alla luce del sole nei giorni successivi ed è stata poi concretizzata nel seminario di Orvieto.
E che quell’incontro sia stato decisivo lo si può scoprire anche riavvolgendo il nastro dei primi giorni di ottobre. Scoprendo un indizio, sul momento sfuggito ai più. Il 3 ottobre, all’indomani del vis-à-vis D’Alema-Marini, le agenzie hanno battuto una nota, apparentemente di routine, del ministro Ds Pier Luigi Bersani, molto vicino a D’Alema, che conteneva però un piccolo, decisivo passaggio «Quel che si è detto a Chianciano è stato davvero importante». Quella nota di Bersani era il segnale atteso dai Popolari: i Ds applaudivano al convegno dei Popolari, riconoscendo a Franco Marini, Pierluigi Castagnetti e Dario Franceschini e ai «cattolici-democratici» il ruolo di co-fondatori del futuro partito democratico.
Molti incontri
E che la svolta verso il «Pd» sia maturata proprio lungo l’asse Quercia-Popolari lo confermano anche altri incontri riservati (tra Piero Fassino e Pierluigi Castagnetti, tra Dario Franceschini e i vertici Ds), tutti finalizzati allo stesso obiettivo: il Partito democratico non può nascere – per dirla con Bersani – «con un’insostenibile leggerezza», ma «con una leggerezza sostenibile». Dunque, una forza che, almeno in partenza, riconosca il peso maturato negli anni dall’apparato Ds e da quello Dl, forze che si preparano a portare in dote strutture, sedi, gruppi dirigenti.
Lo stesso linguaggio
Dunque, la svolta che per ora fa marciare verso il nuovo partito è maturata lungo un asse che, almeno nei patti preliminari, ha escluso personaggi come Francesco Rutelli (il primo ad usare il termine partito democratico), Arturo Parisi (il «regista» politico del mondo prodiano) e lo stesso Romano Prodi che sul partito dell’Ulivo ha tenuto il punto, ma senza senza mai porre ultimatum. Certo, senza due personaggi che hanno sempre predicato il primato della politica era impossibile arrivare ad una decisione così impegnativa. Marini e D’Alema per quanto abbiano imparato a diffidare l’uno dell’altro, parlano lo stesso linguaggio e, almeno fino ad un certo punto, sanno di potersi reciprocamente fidare. Marini, in privato, ha sempre raccontato che nel 1999 Alema gli aveva fatto la promessa, se le condizioni fossero state favorevoli, di portarlo al Quirinale. Finì con Carlo Azeglio Ciampi Presidente, ma Marini ha tenuto il broncio senza tirarla troppo per le lunghe.
L’uomo di fiducia
Nell’estate del 2005, quando D’Alema e Fassino erano sotto pressione (anche per iniziativa di Rutelli) per la storia dell’Unipol, in una riunione a porte chiuse della Margherita, il vecchio Franco intervenne in modo rude: «Facciamola finita con questa storia dell’Unipol e delle Coop!». Il patto con D’Alema per il partito democratico, conferma che Marini è l’uomo di fiducia dei Ds nella Margherita, perché per dirla con il fassiniano Fabrizio Morri «i popolari sono interlocutori affidabili», con allusione (in negativo) sia a Rutelli che a Parisi.
Congressi difficili
Ma per Ds e Margherita si preparano congressi difficili. Francesco Rutelli, in una cena convocata a casa sua con tutti i notabili del partito, ha verificato che per il momento non ci sono le condizioni per un accordo sulle regole del congresso. E quanto a Piero Fassino, oltre al dissenso della sinistra, sa che qualche problema potrebbe venirgli dalla sua maggioranza (Angius, Caldarola, Rossi). E ieri mattina – dopo aver pronunciato al convegno della Cgil su Giuseppe Di Vittorio, un discorso particolarmente ispirato e sentito, pieno di testimonianze personali che hanno emozionato la platea – Fassino si è sentito chiedere dai cronisti cosa ne pensasse dell’ultima intervista di Angius. Chi lo ha visto uscire, assicura di avere ascoltato dal segretario Ds qualcosa in più di un forte disappunto.