La semplificazione del quadro politico alle ultime elezioni e l´ampia
investitura popolare ottenuta dal Pdl (e di conseguenza dal governo del
presidente Berlusconi) ha posto nel paese la questione del rapporto tra
democrazia rappresentativa e democrazia di opinione. Il dibattito può
assumere anche toni drammatici quando, invocando l´estesa
legittimazione popolare al governo in carica, si mette in dubbio la
possibilità altrui di esprimere opinioni e critiche sull´operato del
governo. Quando poi gli attacchi vanno dritti contro un giornale e si
dissente sul diritto all´opinione diversa e alla critica (non verso le
istituzioni, ma verso le idee e le azioni che uomini delle istituzioni
esprimono), è legittimo chiedersi se non sia in atto un ritorno
all´autoritarismo, che disprezza il principio dell´uguaglianza delle
idee, almeno nella loro possibilità di esprimersi.
Ciò
che è accaduto di recente nei confronti di Famiglia Cristiana per le
sue critiche ad alcuni provvedimenti del governo, è esattamente questo.
Chi governa con ampio mandato popolare ritiene, forse, che è suo
compito anche spalmare il paese di un pensiero unico e forte, senza
ammettere alcun diritto di replica? In realtà, da sempre noi non
abbiamo mai risparmiato critiche a governi e opposizioni, usando sempre
lo stesso metro di giudizio, che è una visione solidale della realtà.
Famiglia Cristiana si è comportata così con tutti i governi, anche
quelli democristiani, quando ci sembrava giusto e cristiano farlo.
Fedele al mandato del suo fondatore, il beato Giacomo Alberione, che
diceva di «parlare di tutto cristianamente». Avverbio, questo, che
connota la nostra missione di comunicatori, e ci spinge a giudicare la
realtà alla luce del Vangelo. Solo così un giornale trova
interlocutori, stimola il dialogo, aumenta il tasso di democrazia di
opinione nel paese.
E´ stato assai singolare che, dopo le nostre
prese di posizioni sulla questione dei rom e sul cosiddetto «pacchetto
sicurezza», il governo si sia scagliato con insolita veemenza contro
Famiglia Cristiana. Già questo denota quanto il nostro paese sia poco
normale. Quando si mette il coprifuoco alle idee, quando un governo
ritiene di doversi scagliare contro le critiche di un giornale, forse
qualcosa non va nella nostra democrazia rappresentativa.
In realtà,
in Italia la gente ha una concezione sempre più leggera della
democrazia rappresentativa. Sembra che basti solo assolvere al dovere
del voto. E i politici (soprattutto quelli «nuovi», quelli che non
provengono da una lunga formazione, ma dalle scuole del marketing),
ritengono che i cittadini abbiano firmato loro una delega in bianco. Si
sentono legittimati a fare tutto ciò che le regole della soddisfazione
dei desideri impongono, quasi che l´esercizio nobile dell´arte della
politica, sia definita dalla migliore e scintillante soluzione dei
desideri di ognuno. Siamo al paradosso che, proprio oggi, quando la
politica sembra aver preso il sopravvento su molte altre attività (al
punto che tutti ci si buttano), la partecipazione invece cala. E´ vero
che la democrazia rappresentativa si risolve nella delega. Ma essa è
intesa in maniera così forte dall´attuale classe politica (al governo e
all´opposizione), che ha relegato in soffitta la democrazia di
opinione. Siamo così all´antipolitica, che non è quella di Grillo o dei
girotondi, ma quella della politica intesa come mercato della
soddisfazione dei desideri. La classe politica italiana, ma anche gli
intellettuali, hanno gravi responsabilità.
L´eterna transizione cui
è costretta l´Italia almeno da 15 anni e la promessa reiterata di
riforme che non arrivano mai, hanno tolto credibilità alla politica e
rafforzato chi, nella politica, vede un teatro da calcare con le sue
truppe ordinate e ubbidienti a ogni ordine, senza discutere. Vale a
destra come a sinistra. In un quadro simile, la partecipazione e,
dunque, la democrazia di opinione spariscono.
Né il riconoscimento
maggiore del leader serve ad aumentare la partecipazione. Lo dimostrano
le continue incursioni di Berlusconi nelle piazze tra la gente che vive
drammaticamente problemi seri, quasi volesse non tanto rassicurarla, ma
rassicurare se stesso di averla (la gente) sempre vicina. In realtà,
nessuno sa veramente quel che pensano i cittadini, al di là del vecchio
e, talora, obsoleto metodo dei sondaggi. Neppure a livello
amministrativo c´è più passione per la «cosa pubblica». Non ci si
interessa nemmeno del proprio marciapiede o dell´autobus che non passa.
Quando un giornale come il nostro suona la campanella d´allarme, che
segnala la distanza tra la politica e le attese concrete della gente, e
insiste sulle politiche familiari, su un fisco equo, o critica le
ossessioni per la sicurezze e la giustizia. dice semplicemente che in
democrazia le opinioni devono contare. Infatti, se cala la
partecipazione e, al tempo stesso, non si ammettono critiche, il
rischio di scivolare verso una forma oligarchica e autoritaria è
davvero grande.
Fa scalpore che tutte queste cose, corredate di
esempi concreti, le abbia scritte un giornale cattolico? E´ un´altra
delle anomalie italiane. In Francia nel corso dell´estate il quotidiano
cattolico La Croix ha criticato la nuova grandeur francese di Sarkozy
sulla scena internazionale. Ma nessun membro del governo s´è sognato di
rivolgersi al cardinale di Parigi o al Vaticano. Ciò che spesso difetta
al nostro paese è l´idea che i cattolici (giornalisti e non) siano
cittadini come gli altri, e abbiano il diritto di partecipare al grande
gioco della democrazia di opinione.
La rivista francese Esprit (che,
certo, non può essere bollata di «cattocomunismo» o di
«criptocomunismo») si domandava questa estate se non ci stiamo avviando
verso la fine del ciclo democratico. La scomparsa delle ideologie non
ha assolutamente semplificato il quadro politico. Ha solo prodotto
maggiore difficoltà nella comprensione e nell´elaborazione del pensiero
politico, che sembra debba inseguire solo i desideri della gente.
Oggi
si tende a semplificare cose complesse, con risposte ai bisogni che
saranno necessariamente inefficaci sul medio e lungo periodo, anche se
al momento sono allettanti.
Ciò che accade attorno al pacchetto
sicurezza, alla questione immigrazione, ma anche sui temi della
giustizia, lo dimostrerà. La parola più indicata per definire tutto ciò
è populismo, che insegue e accarezza i desideri. Una dimostrazione è
l´ultima finanziaria, vada per tre anni e assai pesante, approvata in
una manciata di minuti dal governo. Oggi la consapevolezza di tutto ciò
sembra essere presente solo nel dibattito di opinione, mentre non trova
casa (o ne trova una assai ristretta), nella classe politica e nelle
istituzioni parlamentari. Ed è per questo che la classe politica, forte
dell´investitura, tende a spazzar via il dibattito. Oggi, forse, non
corriamo alcuni rischi del passato, ma c´è un allarme circa un progetto
di Stato e di convivenza democratica, che non dà voce a chi non ha
voce, a cominciare dalle famiglie e dai più poveri.
Non è questione,
questa, che riguarda e preoccupa solo i cattolici, ma tocca il paese
intero. Quando Famiglia Cristiana bussa all´Italia bipolare, ricordando
che i costi sociali di operazioni che semplificano eccessivamente la
realtà possono essere altissimi, non fa altro che il suo dovere, a
favore del «bene comune». Il passo dal populismo all´autoritarismo può
essere, fatalmente, breve.