12 Gennaio 2006
Il partito Forza Milan
Autore: Giovanni Valentini
Fonte: la Repubblica
DAL partito-azienda al partito-squadra, nel senso propriamente calcistico del termine. Da Forza Italia, insomma, a Forza Milan. Se non si farà in tempo prima delle elezioni, questa è la parabola a cui sembra fatalmente destinato il partito del Presidente.
Con la decisione o forse, sarebbe meglio dire l´obbligo di votare contro la proposta di ripristinare al più presto la vendita collettiva dei diritti tv sul campionato di calcio, gli “azzurri” della politica hanno smesso (metaforicamente) la maglia della Nazionale, dell´interesse generale, della maggioranza delle società e dei tifosi, per indossare la casacca rossonera, quella appunto della squadra che appartiene al loro padre-padrone.
E riservando il beneficio alle altre grandi del calcio italiano, dalla Juventus all´Inter, a trarne il vantaggio maggiore saranno sempre le casse di Mediaset, l´azienda controllata dal medesimo presidente del Consiglio.
Ecco un altro esempio lampante, dopo quelli del digitale terrestre e dei “decoder di Stato”, che dimostra come la legge sul conflitto di interessi sia in realtà una farsa, una burla, una barzelletta di quelle che al Cavaliere piace tanto raccontare agli italiani.
Questa volta, però, non c´è stato neppure bisogno che il premier si assentasse per qualche minuto dal Consiglio dei ministri, per andare a prendere un caffè o per soddisfare un impellente bisogno fisiologico.
La squadra di Forza Italia ha risposto a comando: il suo è stato, anzi, un riflesso condizionato, una reazione istintiva, una prova di fedeltà cieca e assoluta, contro uno schieramento trasversale che va dai Democratici di sinistra ad Alleanza nazionale.
Ma in quale altro Paese al mondo esiste un capo del governo che, possedendo un impero televisivo e una società di calcio, obbliga il suo partito a votare in Parlamento a favore delle sue televisioni e quindi della sua squadra?
Se andiamo ancora avanti di questo passo, a Sua Emittenza non basterà più trasmettere a reti unificate: vorrà anche trasmettere a circuito chiuso, in esclusiva su Milan Channel, magari solo ai possessori di una card pre-pagata emessa da Mediolanum, la banca del Presidente.
E pensare che si tratta dello stesso presidente del Consiglio che, in preda a un raptus elettoralistico, imputa agli avversari un “inaccettabile intreccio tra politica e affari”…
Al di là degli interessi di bottega, c´è in tutto ciò una visione oligarchica della politica e dello sport, secondo la quale chi ha più soldi raccoglie più voti; chi ha più voti esige maggiori spazi in tv, a dispetto di qualsiasi par condicio; e chi ha più soldi e più voti pretende anche più vittorie e punti in classifica, perché si può permettere i giocatori più forti e più pagati.
E in base a questo incassa maggiori diritti televisivi. Così chi è più ricco e più forte, nel calcio o nella politica, è destinato a diventare sempre più ricco e più forte, mentre chi è più povero e più debole è condannato a diventare sempre più povero e più debole.
La soluzione, in fondo, sarebbe semplice: dividere il 50% dei diritti televisivi in parti uguali, come si fa in Inghilterra e come propone la stessa Federcalcio italiana, per ripartire il resto in base alla classifica dell´anno precedente, al numero degli abbonati e dei tifosi.
Ma la Lega calcio, guidata da un altro dipendente di Mediaset che risponde al nome di Adriano Galliani, non ci sta. E allora, ai “ribelli” non resta che minacciare il blackout televisivo sui propri campi, con il rischio di rovinare definitivamente quello che una volta era “il campionato più bello del mondo”. Per quanto forti siano, le “tre grandi” non potranno giocare da sole a uso e consumo della tv e neppure incontrarsi sempre tra loro.