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2 Dicembre 2005

Il partito democratico? Lo vedremo fra 10 anni

Autore: Riccardo Barenghi
Fonte: La Stampa

In pubblico sembra fatta, il Partito Democratico è in arrivo, vinciamo le elezioni dopo di che si parte col partito. In privato (e mai come in questo caso il privato è politico) è tutta un’altra storia.

Ma proprio un’altra, nel senso che parliamone pure ma lo facciamo, se lo facciamo, tra dieci-quindici anni. Cominciamo adesso, spiegano nel mondo rutelliano, per fare in modo che «la prossima generazione abbia il Partito democratico».

Confermano i ds, «si tratta di un processo lungo». La parola che ricorre è «orizzonte», la stessa che i comunisti ancora comunisti utilizzano per definire il comunismo. E l’orizzonte, come è noto, è irraggiungibile.


Tuttavia non è detto, se per esempio la lista unitaria dovesse ottenere un successo clamoroso alla Camera, superando il 35%, la spinta verso il Partito sarebbe potente.

Ma se invece la lista andasse così così e contemporaneamente Margherita e Ds ottenessero un buon risultato al Senato, allora buonanotte a qualsiasi velleità di Partito unico.

Il proporzionale non aiuta, tant’è che Berlusconi sta frammentando il più possibile la sua alleanza (Rotondi, Rauti, Mussolini, ognuno col suo partitino raccogli-voti).

La decisione di Prodi, Fassino, D’Alema e Rutelli è in controtendenza rispetto a un sistema che premia i partiti più si presentano come partiti, bandiere, simboli, storia, identità.

Un rischio, un azzardo, caricato del valore della risposta al colpo di mano di Berlusconi, dal bisogno di unità che si percepisce tra gli elettori, e dall’idea che non finirà tutto il giorno dopo il voto. La lista è il primo passo, seguirà il Partito.

Questo è il messaggio che oggi va dato, e questo (chi più e chi meno) è quello che stanno dicendo i leader di Ds e Margherita. Ma questa è la campagna elettorale.


Ma a Roma c’è già
Quando poi si discute sul serio, i diesse ti spiegano che nel partito ci sono diverse tendenze. Quella incarnata da Veltroni, che come si è visto l’altro ieri al dibattito con Rutelli e Carlo De Benedetti, è il più convinto. D’altra parte «è dall’89 che ci sto provando».

Con lui c’è una parte della Quercia ma non quella principale, il sindaco può però contare sulla sua città: qui Ds e Margherita lavorano come fossero nella stessa casa, almeno il Partito democratico romano c’è.

E anche sul governatore della Campania Antonio Bassolino, che lo vede come il coronamento del vecchio sogno berlingueriano di unire comunisti (ormai ex) e cattolici.

Il resto dei Ds si divide tra quelli decisamente contrari come la sinistra e quelli che magari ci credono ma solo in prospettiva, con calma insomma. Fassino e D’Alema (seppur non manchino sfumature tra i due) più o meno sono su questa linea.

Prima di decidere chi saremo (socialisti, democratici, riformisti) e con chi staremo, cerchiamo di non buttare a mare chi siamo. Molti temono l’ennesima svolta di stile occhettiano.

Oggi che il loro Partito è riuscito a ricostituirsi e a rafforzarsi, proporre uno scioglimento sarebbe traumatico. Il partito stesso non lo accetterebbe.

Al di là degli entusiasmi e degli entusiasti, il clima è questo: non è facile trovare qualcuno convinto che il Partito unico si farà, i più ottimisti pensano a una sorta di federazione, un «graduale superamento», un «passo dopo passo». No a nuove avventure senza paracadute, attenti a non rimetterci il capitale.


Il rischio-annessione

Se ci spostiamo nella casa alleata, il tono è lo stesso. Come dice Franco Marini, «il Partito democratico si farà, ma tardi».

Rutelli, spiegano, è convinto del progetto che ha lanciato all’indomani delle primarie (facendo una svolta tanto radicale quanto repentina), il prossimo incontro pubblico sul tema lo farà con Fassino tra 15 giorni.

Ma il tema è un progetto non un Partito. Cioè un qualcosa che ha bisogno di tempo, tanto tempo.

Un’accelerazione oggi è improponibile per una Margherita che ancora fatica a tenere insieme se stessa, verrebbe poi vissuta come una vera e propria annessione da parte dei più forti e radicati Ds.

Inoltre – o soprattutto – Rutelli aspetta di misurare la sua forza elettorale in Senato: lì capirà se la Margherita ha un futuro come partito autonomo, in grado anche di attirare i delusi del centrodestra (circa due milioni di voti), oppure, nel caso di risultati deludenti, se invece sarà meglio accelerare il processo unitario.


Ma gli uomini di Prodi e di Parisi non ci credono, la svolta di Rutelli non li convince. La giudicano finta, addirittura una presa in giro, spiegano che i segnali concreti vanno in senso opposto. Elencano.

I soldi che i partiti danno a Prodi sono limitati alla campagna elettorale e nulla più. Dal documento finale del vertice la dizione Partito Democratico è stata sostituita da Soggetto Democratico, «evidentemente quel sostantivo – partito – ha messo di fronte i partiti attuali allo specchio del loro scioglimento».

I capilista di partito al posto di Prodi in 4 circoscrizioni. L’ossessione della Margherita a presentare candidati suoi (Latteri in Sicilia) perché sono suoi e non perché in grado di vincere.

I gruppi parlamentari che resteranno divisi. E ricordano la frase che si sentono ripetere dal giorno delle primarie: «Noi abbiamo fatto nostra la vostra linea ma sapendo che non la metteremo mai in pratica».