21 Ottobre 2005
Il Partito democratico, casa del riformismo
Autore: Michele Salvati
Fonte: Corriere della Sera
La straordinaria partecipazione del popolo di centrosinistra alle «primarie» di domenica scorsa e il grande successo di Romano Prodi nelle stesse hanno prodotto due effetti immediati.
Da un lato hanno galvanizzato l’intero centrosinistra, un po’ scosso dalla rapidità con la quale il centrodestra aveva risolto una crisi interna che sembrava lo condannasse a una sconfitta sicura e scompaginato i calcoli dello schieramento avversario con la proposta di una nuova legge elettorale.
Dall’altro hanno ridato fiato al progetto politico per il quale Prodi si batte da dieci anni: l’Ulivo e, al di là di quello, un unico partito – il Partito democratico – che raccolga tutte le tradizioni riformistiche del nostro Paese.
È di questo secondo effetto che vorrei parlare, facendo seguito alle dichiarazioni di disponibilità di Francesco Rutelli nonché all’articolo di Piero Fassino su questo giornale in risposta a Paolo Franchi e all’intervista di Walter Veltroni su Repubblica , entrambi di ieri.
Sono convinto da tempo che il Partito democratico sia parte integrante di un possibile percorso di normalizzazione del nostro sistema politico, di ricomposizione di due fratture storiche che oggi non ha senso trascinarci appresso: l’antichissima frattura della questione cattolica, dovuta al modo in cui si realizzò l’unità politica del nostro Paese, e quella più recente, ma sempre molto vecchia, dovuta al predominio del Partito comunista sulla sinistra italiana.
Due fratture che hanno interagito e si sono mutuamente rafforzate nella Prima repubblica, perché solo un partito a base confessionale, come la Democrazia cristiana, poteva garantire un argine sufficientemente solido a un partito antisistema come il Partito comunista.
Queste lontane fratture producono ancora strascichi di qualche peso, e saggiamente Rutelli li ha segnalati nelle condizioni che ha posto affinché si possa avviare un vero processo costituente; ma nella sostanza la separatezza organizzativa delle diverse tradizioni del riformismo italiano è soprattutto sostenuta da ragioni di inerzia e trascinamento, oltre che dai soliti motivi di autoperpetuazione dei gruppi dirigenti dei diversi partiti e partitini.
Nel suo articolo di ieri sensatamente Fassino ricorda che alcuni dei più grandi partiti socialisti europei sono già dei partiti «democratici», e Veltroni ribadisce il punto con convinzione ancor maggiore: questo non risponde all’obiezione di Rutelli circa la casa europea di un partito democratico italiano (perché dovrebbe essere il Partito socialista europeo, in cui resta forte un obsoleto patriottismo socialista?), ma apre un confronto di merito che bene promette per un serio processo di convergenza.
Non è il caso di entrare ora nei particolari tecnici cui le «schermaglie» faranno ricorso, diversi a seconda che si voti col Mattarellum o con il Proporzionellum , per usare i nomignoli di Sartori: al centrosinistra va augurato solo che le schermaglie non degenerino in conflitti, perché questo è proprio l’opposto della domanda che il suo popolo ha espresso nelle primarie.
Ma se passasse, come è quasi certo, la legge elettorale ora in discussione, non verrebbe premiata forse la frammentazione dell’offerta politica? Non si raccattano più voti presentandosi divisi?
Quando il centrosinistra si era presentato unito, nelle elezioni europee, non è forse vero che il risultato elettorale era stato deludente nel Mezzogiorno? C’è una grossa differenza tra il Proporzionellum e la legge elettorale per le elezioni europee: il quel caso fu il meccanismo delle preferenze a fare la differenza, mentre col Proporzionellum si presentano solo i partiti e il leader della coalizione può presentarsi in tutte le circoscrizioni.