Il sospetto si fa strada. Che la transizione non sia poi così transitoria.
Ma una “condizione”, scomoda, di stabile instabilità. Quasi che da una
democrazia bloccata fossimo passati a una democrazia fluida, ma senza contorni,
senza regole. Senza una bussola. Quasi che, caduta la prima Repubblica, fossimo
entrati in una Repubblica provvisoria. In uno Stato precario. Una sensazione che
oggi appare più acuta perché siamo a pochi mesi dalle prossime elezioni. A
conclusione di una legislatura che doveva cambiare tutto. L’economia, le regole,
le infrastrutture e i servizi. Invece, tutto è ancora instabile, precario.
Provvisorio.
E’ provvisoria la maggioranza di governo. Il centrodestra. Perché è
considerato (e si considera) sul piede di partenza. Minoranza elettorale. E non
solo fatica a restare unito. Ma fa di tutto per rendere palesi le sue divisioni
interne. Per cui non è chiaro come si presenterà al voto. Visto che è difficile
immaginare insieme, nel prossimo futuro, partiti e leader che, da tempo,
dichiarano reciproca disistima, si trattano con disprezzo. Calderoli, Follini e
Storace: come potranno coesistere domani?
Ma appare provvisorio anche il premier, Silvio Berlusconi. Inventore e
padrone della Casa delle Libertà. Monarca dissacrato. Contestato apertamente dai
vassalli, oggi che il suo regno sembra al tramonto. Quasi la raffigurazione del
declino del paese. Proprio lui, che, solo pochi anni fa, era apparso a tanti
elettori l’imprenditore giusto per innovare e rendere competitiva
l’azienda-paese. Un vincente. Ora, invece, Berlusconi è un leader (mal)
sopportato dagli alleati. Candidato del centrodestra per assenza di alternative.
Perché nessun altro, senza il suo consenso, lo può rimpiazzare. Perché resta
l’unica colla (per quanto labile) in grado di tenere unito il mosaico
frammentario del centrodestra.
Berlusconi, un leader provvisorio. Percepito tale e che tale si percepisce.
Visto che, palesemente, soffre la frustrazione di chi non riesce a decidere; a
dar seguito e attuazione alle decisioni. (Con poche eccezioni, che, peraltro,
riguardano direttamente i suoi interessi). E non si diverte più. Anzi, lo
intristisce consumare il tempo a discutere, mediare, trattare con
finifollinicasini…
E’ provvisorio il nostro sistema partitico. E’ provvisorio il bipolarismo,
che oggi suscita insofferenza, in entrambe le coalizioni. Per cui, a ritmo
incessante, echeggia la “questione del centro”. In cui molti vedono il ritorno
del “terzo polo”, la fine dell’alternativa fra gli schieramenti, la nostalgia
del passato. Ma, in effetti, dimostra – anzitutto e soprattutto – quanto
appaiano insoddisfacenti e frustranti le condizioni che caratterizzano “questo”
bipolarismo; le coalizioni su cui si regge; le regole che lo
orientano.
D’altronde, anche il centrosinistra mostra segni di provvisorietà. L’Ulivo
come federazione e come marchio: provvisoriamente archiviato, in attesa di
momenti migliori. Sostituito, provvisoriamente, dall’Unione. Coalizione di
partiti. Partiti. Che rivendicano autonomia, specificità. Ma dispongono di
assetti organizzativi provvisori (a eccezione dei Ds). Ed esprimono, perlopiù,
identità provvisorie. Anche per questo, difficili da confrontare, tradurre in
cultura politica comune. In un programma comune. Il centrosinistra, anzi: il
centrosinistra, l’Unione, sente – crede – di aver già vinto le elezioni (anche
perché, simmetricamente, gli altri sono convinti di averle perse). Ma non riesce
a dissipare il dubbio che, quando avrà vinto, dopo aver vinto – se
effettivamente riuscisse a vincere – sarà in grado di costruire un governo
stabile. A superare l’orizzonte di questa democrazia provvisoria.
Imperniata su una legge elettorale provvisoria. Un maggioritario
imperfetto, che impone alleanze instabili, favorisce maggioranze precarie,
sempre in balia del ricatto dei partiti marginali. Un sistema elettorale che
criticano in molti. E nessuno riesce a cambiare. Nonostante, periodicamente,
montino ondate riformiste. Ieri verso il maggioritario integrale; oggi verso il
proporzionale. Perlopiù assorbite, dalla risacca dell’in-decisione e della
delusione.
D’altronde, è provvisoria anche la forma del nostro Stato. Di cui si
discute da oltre un decennio. E di riforma in riforma, di legge in legge è
diventata nonsisaché. In che Stato ci siamo ridotti? Federalista? Devoluto?
Regionalista? Non è chiaro. D’altronde non si sa se la riforma federalista, che
oggi costituisce il prodotto di bandiera della Lega, potrà proseguire il
percorso parlamentare, nelle prossime settimane. Vista la resistenza aperta
dell’Udc – e quella di An, solo in apparenza meno irriducibile. Tanto più dopo
il tracollo del centrodestra nel Sud, alle elezioni regionali e alle precedenti
europee. Un esito attribuito, in qualche misura, al voto di reazione contro la
devoluzione.
Leggi dettate dall’emergenza. Riforme preterintenzionali. Condizionate da
spinte particolari. Ispirate dal caso, più che da un disegno.
Una Repubblica provvisoria, che subisce, infine, la profanazione
dell’ultimo pilastro istituzionale. La Banca d’Italia. Fino a poco tempo fa,
garante della nostra economia, della nostra finanza. Ma anche della nostra
credibilità istituzionale. Di fronte a tutti i poteri, interni e internazionali.
Il suo Governatore: lui sì un monarca assoluto. Per legge. Oggi è delegittimato.
Di fronte ai cittadini, perché violato dal gossip, dalla chiacchiera da bar.
Ridotto a personaggio di paese. E, quindi, scaricato. Dai soggetti politici,
economici e istituzionali; tutti (salvo la Lega, alcuni amici personali e
qualche cardinale). Tanto da apparire, come ha suggerito, con felice (si fa per
dire…) neologismo, Filippo Ceccarelli: un “colpevole espiatorio”. Colpevole,
sicuramente; ma in una Repubblica dove pochi sono gli innocenti; ma nessuno è
disposto a pagare; e quindi invitato a pagare per tutti. Indisponibile,
tuttavia, a espiare. A farsi da parte, ad autosfiduciarsi; ad abdicare; da solo:
“per senso di responsabilità”. E nessuno che riesca a farlo dimettere. Nessuno
che possa – voglia – imporglielo. Il governo: costretto a ricorrere ad altre
sedi, ad altri poteri. Dichiarando, in questo modo, definitivamente, la sua
impotenza.
Fazio. Un governatore provvisorio, che mantiene il suo incarico
provvisorio, perché il potere di chi lo vuole dimettere è anch’esso
provvisorio.
Ecco: è questa “provvisorietà” che inquieta la società. Questa pièce
incompiuta, recitata, all’infinito, da attori di passaggio. Il centrosinistra,
se ambisce a vincere le prossime elezioni, ma, soprattutto, a governare, non può
limitarsi a promettere che farà meglio di Berlusconi e della sua compagine. Non
sarebbe difficile, in fondo. Dovrebbe, invece, convincere – i cittadini, e,
anzitutto, se stesso – che questa stagione precaria finirà. Dovrebbe. Dire
parole che durano, comunicare speranza, restituire al paese un orizzonte lungo.
Senza contare troppo sull’impotenza d’un premier provvisorio. Rischierebbe di
proporre un’alternativa triste.