In preda a un´allegra irresponsabilità, Silvio Berlusconi ha
infatti inaugurato il mobbing istituzionale, una strategia politica e una
tattica immaginifica che non sono pazzia, non sono farsa, non sono isteria, non
sono paranoia, ma appunto mobbing, vale a dire dispetto preventivo, voglia di
provocare malessere e senso di soffocamento in un nemico già debole e già minato
al suo interno dalla solita lotta per le poltrone, una specie di sgretolamento
dell´avversario per mezzo di delegittimazioni quotidiane, irrispettosità, toni
di voce, grossolanità verbali e morali.
A torto o a ragione, Berlusconi pensa di
essere stato per cinque anni la vittima di un mobbing uguale e contrario e ora
vuole vendicarsi, occhio per occhio dente per dente. E cioè: mi avete
demonizzato e io vi controdemonizzo; siete voi gli imbroglioni e non io; siete
voi i pirati della politica.
Pisanu Casini Gasparri e Confalonieri compresi, ma una resa con i capponi nelle
mani, una cerimonia funebre con la dispersione delle proprie ceneri, un divorzio
dalla vita.
Perciò ogni giorno ne inventerà una delle sue, il Tar, le schede
nulle, il partito dei pensionati, i dissidenti della Lega, le giunte delle
Camere, i brogli, il voto all´estero, il Sudamerica applicato all´Italia, i
baratti e le compravendite di parlamentari, l´idea di votare prima Andreotti e
poi Mastella alla presidenza del Senato: «lanceremo un´Opa al Senato» ha detto
ai suoi.
Berlusconi ha mobilitato gli esperti della Casa delle libertà ben
sapendo che in Italia c´è sempre un cavillo al quale può restare appesa la
Storia.
Quando non si riesce a espugnare il castello, lo si assedia. Si scavano
e si minano gallerie e cunicoli per indebolirne la struttura, si fa affidamento
sull´astuzia, si introducono cavalli di Troia.
Forse era quello il momento
di smontare Berlusconi. Subito bisognava opporgli la lievità come sostanza, come
modo di pensare, come stile di vita; e il silenzio come carezza delle cose, di
un Paese drammaticamente lacerato, di una vittoria ammalata, di un´Italia che
aveva cercato di esprimersi con la sua peggiore e radicata civiltà, quella dello
zero a zero.
Perciò resterà lì, asserragliato a Palazzo Chigi come in curva sud, gradasso e
sentenzioso come i leghisti che sono ormai rimasti i suoi soli alleati. In preda
alla paura privata di subire oltraggi crudeli, continuerà a infondere a Forza
Italia e ai suoi giornali l´ira delle plebi leghiste, di Castelli e Calderoli,
sapido e veloce nella battuta rancorosa, ruspante, fuori dalle righe, ma di
nuovo efficace come in campagna elettorale.
Fa saltare dunque il
protocollo che una volta disciplinava i conflitti politici, li assoggettava a un
cerimoniale e a una strumentazione culturale e istituzionale dentro un quadro
generale che legittimava i diritti del perdente senza negare il premio al
vincitore.
Invocando nuovi controlli, moltiplicando le contestazioni,
denunziando i brogli, Berlusconi disarma la civiltà delle elezioni. E la guerra
politica diventa assoluta, una guerra santa, insensata e medievale.
E come derisione anche dello stesso sconfitto che, attraverso
dilazioni, trucchi ed espedienti formali, più rompe i lacci dell´Ordinamento e
più corrompe la propria immagine, più si libera e più si lega, più si sbroglia e
più si imbroglia.
E non ha
bisogno di recitare né di ricorrere ai travestimenti o ai nasi finti: gli
basterà essere se stesso, uno di quei controversi protagonisti della Storia, la
cui biografia è stata ampiamente manipolata sia dai detrattori sia dagli
apologeti, ma che sicuramente interpreta bene la nuova Italia insicura, quella
che ha paura di pagare il biglietto d´ingresso nel nuovo millennio, l´Italia
disillusa dall´Europa, l´Italia di Vanna Marchi e dei furbetti, ma anche
l´Italia valorosa dei suoi militari all´estero, dal Kosovo all´Iraq; l´Italia
confusa per la globalizzazione che subisce, l´Italia degli autonomismi, della
frammentazione regionalistica, l´Italia smarrita e senza centro, un´Italia che
il 9 aprile non si è fidata della sinistra e che, definitivamente smoderata, si
riconosce in una iena che abbandonerà il potere solo dopo averlo lordato, nel
lama che sputa sull´antagonista incombente, nella seppia che sbuffa il nero per
intorbidare le acque e sottrarsi allo scacco del predatore.
In nome di
quest´Italia Berlusconi è l´arpia insozzante che non permetterà banchetti ai
nuovi convitati. È l´Italia che dice «né io né voi». Ancora una volta è
l´inciviltà dell´antipolitica, che è tutta dentro la storia nazionale, dal non
expedit dei cattolici al bivacco dei manipoli, a Giannini. Berlusconi che non si
arrende è un Pinocchio che, per lasciare Palazzo Chigi, la sua “casa”, pretende
almeno i due carabinieri.