Joseph Ratzinger ha un gesto con la mano sinistra verso il chierico, che tira fuori dalla tasca i suoi occhiali cerchiati d’oro e glieli porge. Per celebrare, il cardinale decano non ne ha bisogno; recita a memoria. Gli occhiali servono per leggere l’omelia, scritta in un italiano che pare tradotto dal latino. Sono le ultime parole pubbliche di un cardinale prima del Conclave. D’ora in poi i porporati parleranno solo per segni: litanie, giuramenti, fumate, campane. Ma le parole di Ratzinger non sono da decano. Neppure da candidato alla successione di Wojtyla, come pure è, sia pure non per sua volontà. Non è un’omelia generica in cui tutti possano riconoscersi, né una concessione a temi vicini alla sensibilità dei suoi avversari (la collegialità, il Terzo Mondo, le istanze sociali, la pace). E’ una sintesi di ventitré anni di lavoro al fianco di Wojtyla come custode del deposito della fede, una dichiarazione di identità, una denuncia di pericoli imminenti, un manifesto per il prossimo Papa, chiunque sia. Qualcosa che neanche gli altri cardinali, che pure lo conoscono bene e ne riconoscono la primazia intellettuale, si attendevano. E infatti quando Ratzinger mette in guardia dalla «dittatura del relativismo» e pronuncia una serie di condanne, nessuna delle quali rappresenta in sé uno sconvolgimento ma che tutte insieme fanno di un discorso di rito un intervento storico, i colleghi che lo ascoltano seduti hanno come un sobbalzo.
Sostenitori, avversari, indecisi: nessuno resta indifferente. No al marxismo e al liberalismo spinto al libertinismo, dice il decano, e Ruini si curva ancora di più. No al collettivismo e all’individualismo radicale, e Martini afferra il pomo del bastone. No ai «venti di dottrina» e alle «mode del pensiero», e l’indiano Dias si passa una mano sulla fronte. No alle nuove sette, no all’ateismo e all’agnosticismo, no al sincretismo e al «vago misticismo religioso» dell’era new age. «Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e lascia come ultima misura solo il proprio io e le proprie voglie!». Gli stessi collaboratori antichi e nuovi di Ratzinger appaiono sorpresi: Lopez Trujillo, accreditato come il suo ambasciatore tra gli ispanici, aggrotta le sopracciglia cespugliose, gonfia le gote Schönborn allievo dissenziente, resta impassibile Bertone, già suo segretario presso la Congregazione per la dottrina della fede, mentre l’ex segretario privato Clemens guadagna la prima fila tra i vescovi. L’unico a sorridere largo è Biffi, che non ha mai nascosto di trovarsi in sintonia con Ratzinger più ancora che con Wojtyla e nelle riunioni preconclave ha detto chiaramente: «Voi sapete a chi andrà il mio voto». Lui stesso, mentre parla con il suo italiano dall’accento tedesco (kvando, cioia, morte di croce) eppure dolce, avverte la tensione e l’emozione: «Avere una fede chiara secondo il Credo della Chiesa viene spesso etichettato come fondamentalismo», un colpo di tosse, «noi abbiamo un’altra misura, il Figlio di Dio, il vero uomo», un rivolo di sudore.
Alla fine il pubblico che gremisce la basilica (e aveva accolto i cardinali in un turbine di flash, videocamere e telefonini) ha applaudito a lungo; e quando Ratzinger, deterso il sudore e restituiti gli occhiali al chierico, ha fatto cenno di voler proseguire, è riecheggiato sotto la volta il battimano della piazza. All’ingresso erano stati molto applauditi anche l’honduregno Rodriguez Maradiaga, il più sorridente e portato al contatto con le folle, che non a caso ha risposto con ampi gesti delle braccia, e Martini, imperturbabile. L’arcivescovo emerito di Milano non gradisce che il suo immenso prestigio diventi una leva per fermare Ratzinger, cui è legato, oltre che da consuetudine di colleghi, da stima e sintonia di studiosi. L’edizione delle lettere di San Pietro che Wojtyla regalò ai porporati per il suo venticinquesimo anno di pontificato è curata da Martini e prefata da Ratzinger. Hannah Arendt, di cui anche ieri il decano – come già celebrando la Via Crucis con gli stessi toni allarmati – ha citato la «banalità del male», è cara a entrambi. Ma erano stati proprio Ratzinger e Martini i protagonisti dello storico Sinodo per l’Europa convocato da Giovanni Paolo II alla fine del ’91; e mentre Martini parlò di evangelizzazione, di alleanza con le altre confessioni cristiane, di unificazione dell’Europa, Ratzinger obiettò che «abbiamo parlato troppo di problemi economici, sociali, politici, troppo di noi, e troppo poco di Dio».
Quell’antico confronto si ripropone oggi, contro la volontà dei protagonisti. Sorridono come sollevati Silvestrini ed Etchegaray: sono tra i cardinali che per aver superato gli ottant’anni non entreranno in Conclave, oggi portano un peso minore. A Ratzinger invece, che fu grande elettore e primo sostegno di Wojtyla, è toccato ora seppellirlo e guidare il rito che porterà alla successione. Dopo il pranzo in Santa Marta e il riposo, alle 16 i cardinali si incamminano a gruppetti verso l’aula delle benedizioni, da cui partirà il corteo solenne. Ma qualcuno si sbaglia, attratto forse dalla magnificenza di Michelangelo (o dallo scrupolo del cardinale Nicora, primo per statura ma ultimo per gerarchia, che per paura di sbagliare sta provando la chiusura della porta), gira a destra anziché a sinistra e si affaccia nella Sistina. Ratzinger lo richiama: dove andate Per di qui!
Nella Sistina il decano entra per ultimo e giura per primo. «Giuriamo di osservare con la massima fedeltà e con tutti, sia chierici che laici, il segreto su tutto ciò che in qualsiasi modo riguarda l’elezione del romano Pontefice…». E’ l’apoteosi della segretezza e della sacralità del più antico rito elettivo d’Europa, che la novità delle telecamere non svela ma enfatizza. «Promettiamo di non violare in alcun modo questo segreto sia durante sia dopo l’elezione del nuovo Pontefice, a meno che non ne sia stata concessa esplicita autorizzazione dallo stesso Pontefice…». L’«extra omnes» di monsignor Marini più che un imperio è un sussurro. Escono gli uomini della comunicazione vaticana: Agnes, Scelso, Navarro. Poi, non ripreso dalle telecamere, esce lo stesso Marini insieme con il cardinale anziano Spidlik, che ha tenuto la meditazione. Nicora chiude il portone, meglio che nelle prove. Le agenzie diffondono le foto della casa natale di Ratzinger: Marktl am Inn, 16 aprile 1927. In piazza i fedeli, tra cui il governatore della Banca d’Italia, aguzzano gli occhi ma è difficile scorgere il fumo sullo sfondo del sole al tramonto, poi delle nuvole scure; la fumata pare grigia, al cronista del Tg1 quasi bianca, invece è nera. Probabilmente il decano non sarà il prossimo Papa; certo farà in modo che un po’ assomigli a lui. Al Celio si inaugura l’installazione di un artista napoletano dedicata al conclave: 115 pastorali con un volto di cardinale, tutti uguali, ispirati, pare, a San Gennaro; ma il mecenate cardinale Law li ha trovati precisi a Ratzinger.