L’anno scorso il Premio «E’ giornalismo», fondato da Montanelli, Bocca e Biagi e della cui giuria faccio parte con Stella e Maltese, venne assegnato al direttore dell’ Economist , Bill Emmot. Un periodico liberale moderato, che ha avuto nella signora Thatcher la guida ideale, che ha dato il proprio appoggio al repubblicano Bob Dole contro il democratico Bill Clinton e che preferì il decotto partito conservatore inglese al debuttante Tony Blair. Mi colpirono molto le reazioni di tanti amici, in pubblico e no, che dissero «uffa, ennesimo premio antiberlusconiano».
Poiché Emmot aveva criticato il conflitto di interessi del presidente del Consiglio, la sua intera carriera liberista veniva schernita come «di sinistra», nell’opera dei pupi fracassona che degrada ogni discussione a macchietta. Adesso l’Economist torna a parlare dell’Italia come «malato d’Europa» e qualche giorno prima il Financial Times , per penna del suo più prestigioso economista, Martin Wolf, ci descrive come un acrobata che «deve camminare sul filo della precarietà economica» e rischia di «trascinare con sé anche l’Europa». Ieri i dati Ocse, prodotto interno lordo -0,6 sul calo già pregresso nei mesi passati, e la competitività che scende del 25 in quattro anni.
Chi di voi ha pazienza legga cosa dicono gli economisti europei sul sito http://europa.eu.int/comm . La diagnosi è semplice, la produttività va male, se un operaio italiano che lavora sette ore al giorno mette insieme 900 bulloni in più che nel 1995, un collega americano riesce a prepararne 5250 in più. E le nostre medie e piccole aziende sono concentrate in settori di bassa tecnologia, tessile, piastrelle, mobili, dove è facile copiare a basso prezzo. Le grandi aziende in panne, l’intreccio politica-finanza che non si dirime, una scuola a tocchi, l’università che non sforna ingegneri, le raccomandazioni e le lobbies che prevaricano il merito dei bravi.
Ecco perché l’Italia declina, e declinerà sempre più in fretta se non cambiamo condotta. Quando l’Economist ci avvisava che anziché leggi ad hoc per il presidente del consiglio dovevamo varare riforme di mercato, lo abbiamo accusato di essere fazioso, come ammalati che imprecano iracondi contro il medico, anziché bere l’amara, ma salutare, medicina. Oggi tutti chiedono provvedimenti urgenti, Montezemolo da Confindustria, con il suo vice Pininfarina, il presidente della Camera Casini, i cervelli migliori dell’opposizione. E Prodi medita sul commento severo di Emmot, che gli ricorda come la sua coalizione debba ancora rivelare il programma per la crescita dell’Italia.
Vedremo se anche stavolta, anziché curarci la febbre, daremo del «comunista!» al termometro. Il sorpasso della Cina nel turismo, il declino delle nascite, un’Italia sfiduciata, dove non si fa ricerca e gli scienziati vanno all’estero. E’ questo il futuro che immaginiamo per i figli A leggere le aspre cartelle cliniche sulla nostra economia mi aspetterei, accesa la tv o aperti i giornali, di vedere riflessioni e ragionamenti. Perché la scuola in Finlandia è la migliore del mondo Perché la Spagna ci batte nel turismo Come si può imitare la resurrezione francese nelle auto, il boom informatico irlandese, la rivoluzione dei servizi inglese Invece magagne, polemiche, la politica che sogna grasse lottizzazioni, l’economia che divide profitti, ogni giorno più magri.
I nostri guai datano da prima dell’era Berlusconi, ma certo il suo governo, votato per imprimere una svolta, ha fatto poco, o nulla, per riavviare i mercati. Le riforme sarebbero difficili, osteggiate da lobbies, corporazioni e sindacati gelosi. Ma almeno si potrebbe provare, pur scontando le proteste di chi perde prebende feudali. Invece serpeggia una torpida rassegnazione, un «io speriamo che me la cavo» e se poi il Paese va a ramengo tanto peggio, un’invidia per chi cresce, inglesi e cinesi, condita da maldicenza e risentimento, sì ma gli americani lavorano e basta, sì ma gli spagnoli che caos fanno. Brutti tempi nel Bel Paese.