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4 Aprile 2005

Il leader mondiale

Autore: Timothy Garton Ash
Fonte: la Repubblica

IL MONDO intero ha vissuto questa morte. È stato un calvario globale. Gente venuta da ogni angolo del pianeta si è riunita in piazza San Pietro per guardare in alto, verso le due finestre insolitamente illuminate dell´appartamento del Papa, che si stagliavano contro il cielo notturno. Hanno pregato per lui cristiani, ebrei e musulmani dei cinque continenti. Marcello, in una e-mail da Rio de Janeiro, ha scritto alla Cnn: “Stiamo assistendo all´agonia del più grande uomo del nostro tempo”.

E da Birmingham, Mohamed si è rivolto alla Bbc con la frase: “Tutti noi, cattolici o meno, sentiremo la sua mancanza”. Cosa ci dicono questi messaggi Che il papa Giovanni Paolo II è stato il primo leader mondiale. Spesso questo termine è riferito a Bush, a Blair o a Hu Jintau, i quali però sono soltanto leader dei rispettivi paesi, anche se di impatto mondiale. Si potrebbe dire lo stesso anche di Nelson Mandela, il primo a poter rivaleggiare per il titolo di «più grande uomo dei nostri tempi», secondo l´espressione di Marcello.

Giovanni Paolo II ha avuto la capacità irripetibile di unire in sé tre elementi. Per oltre un quarto di secolo è stato il capo della più grande organizzazione supranazionale mondiale formata da singoli individui (dato che l´Onu è un´organizzazione di Stati, e la umma – la comunità, ndr – islamica non è un´organizzazione). Si è sempre rivolto a ogni uomo, donna o bambino, nell´incrollabile convincimento di trasmettere un messaggio universale, valido allo stesso modo per i cattolici e per tutti gli altri.

E ha saputo cogliere le opportunità offerte dalla tecnologia per portare di persona il suo messaggio in quasi tutti i paesi di questa terra, grazie agli aerei supersonici e alla tv. In breve, ha fatto del mondo la sua parrocchia. Nessuno è riuscito a tanto prima di lui. Nessuno avrebbe potuto farlo.

Da liberale agnostico quale io sono, non mi ritengo qualificato a dare un giudizio sul senso del suo pontificato per la Chiesa cattolica. Ma penso di poterne valutare il significato per il mondo. Giovanni Paolo II è stato semplicemente il più grande attore politico di quest´ultimo quarto di secolo. Ho usato il termine “attore” in due sensi. Il teatro è stato – fin dai tempi dell´occupazione nazista della Polonia – la seconda passione del giovane Karol Wojtyla, che ha dato prova di talento sul palcoscenico.

Prima di essere colpito dal morbo di Parkinson, aveva una bella voce, e la capacità di esporre il suo pensiero – come ha detto il grande attore britannico John Gielgud – «in maniera perfetta». Aveva la straordinaria capacità di parlare a una folla di milioni di persone dando a l´impressione di rivolgersi direttamente a ciascuna di loro. Parlava per immagini, anche al di là delle parole (si pensi alla sua foto con un sombrero e un bimbo messicano in braccio). Il calore che emanava dalla sua persona bucava lo schermo della tv.

Il militante sovietico per i diritti umani Andrej Sacharov ha detto di lui: «È un uomo che irradia luce». Bill Clinton, che pure possedeva notevoli doti di attore, ricorda nelle sue memorie che il Papa gli aveva dato «una lezione di politica» con il suo superbo, teatrale ingresso in una cattedrale americana, dove le suore «squittivano come ragazzine a un concerto rock». «Non mi restava che scuotere la testa», prosegue Clinton. «Mi sono detto: non vorrei essere in lizza contro di lui».

Il termine di “attore politico” è usato anche – al pari della portentosa espressione americana “global player” – per designare le personalità che hanno determinato eventi di rilievo a livello mondiale. Ho seguito da vicino l´impatto di Giovanni Paolo II sulla Polonia, e più in generale sul blocco sovietico, dalla sua nomina al soglio pontificio, nel 1978, fino alla caduta del comunismo, nel 1989. Nessuno potrà mai provare in maniera inconfutabile che il Papa avesse giocato un ruolo decisivo nel crollo dei regimi comunisti.

Ma di fatto, a crederlo non è solo Lech Walesa, o l´ex presidente americano George H. W. Bush, ma lo pensa anche il principale avversario del leader di Solidarnosc, il generale Wojciech Jaruzelski, così come l´ex presidente dell´Unione Sovietica Mikhail Gorbaciov.

Da storico, vorrei sostenere questa tesi sulla base di due proposizioni. Senza il Papa, in Polonia non avrebbe potuto sorgere Solidarnosc; e senza Solidarnosc non ci sarebbe stato Mikhail Gorbaciov. Nel 1979, la prima visita di Giovanni Paolo II nel suo paese natale aveva suscitato un´immensa manifestazione di solidarietà di massa: una folla di milioni di fedeli gli era venuta incontro per dargli il benvenuto, e per un´intera settimana era stato come se il regime comunista avesse cessato di esistere.

Ora, se non ci fosse stato quell´evento, difficilmente un´organizzazione come Solidarnosc avrebbe potuto sorgere in Polonia negli anni 1980-1981. E comunque non sarebbe riuscita a rimanere in piedi, nonostante la legge marziale, senza la seconda, esaltante visita dell´83, quando Giovanni Paolo II esortò il popolo polacco a «perseverare nella speranza».

Forse Gorbaciov sarebbe arrivato ugualmente al potere a Mosca, ma è stata la macroscopica spina polacca nel fianco dell´impero sovietico a spingerlo a cambiare la politica dell´Urss nei rapporti con i paesi dell´Est europeo. E questo cambiamento, così come la perestrojka nell´Urss, ha aperto la strada alla rivoluzione di velluto del 1989.

La riunificazione europea è parte integrante della visione politica di Karol Wojtyla. Finché ha avuto fiato, Giovanni Paolo II ha parlato dell´Europa dell´Est e dell´Ovest come di un continente con due polmoni. È vissuto abbastanza a lungo per veder realizzata la sua visione, con l´ingresso nell´Ue, nel maggio scorso, di 8 Stati dell´Europa centrale e orientale, compresa la sua amata Polonia.

Ma forse il suo lascito più importante non riguarda il primo mondo (quello del capitalismo democratico), in cui è vissuto e di cui ha allargato i confini, e neppure il secondo (il mondo comunista) che ha distrutto, bensì quello che siamo soliti definire il terzo mondo. Giovanni Paolo II è stato il portavoce coerente di quella metà dell´umanità che sopravvive con meno di due dollari al giorno.

È in quella parte del pianeta che oggi risiede la maggioranza dei cattolici. («L´uomo non vive di solo pane – soprattutto quando il pane manca»). Con instancabile coerenza, papa Wojtyla ha sostenuto il diritto di ogni persona a un minimo di dignità umana, ripetendo: «Parlo in nome di chi non ha voce». La sua difesa della libertà non era affatto limitata ai paesi dell´Est europeo assoggettati a regimi comunisti.

Ecco il primo titolo che mi è caduto sotto gli occhi nell´aprire una vecchia collezione di ritagli di giornale: “Il Papa affronta Stroessner sul tema della libertà”. L´articolo riporta la dura lezione da lui impartita al capo della dittatura paraguayana sull´importanza dei diritti umani e della libertà di parola.

Siamo stati abituati a sentir descrivere Giovanni Paolo II come un conservatore per quanto attiene alle questioni sociali; ma si tratta di una grossolana semplificazione. Questo Papa è stato sempre coerente nel ricordare ai dittatori del terzo mondo e ai capitalisti occidentali la necessità della giustizia sociale. Nell´ambito di un piccolo gruppo di lingua polacca, ho avuto occasione di sentirlo dichiarare, con grande semplicità, che deplorava il capitalismo sfrenato non meno del comunismo.

Si è sempre dimostrato di una coerenza totale nel suo impegno per la pace, dalle critiche sull´incombente guerra delle Falkland espresse nel 1982, in occasione di una visita in Gran Bretagna, fino alla sua opposizione, nel 2003, alla guerra in Iraq. In Giappone aveva esclamato: «Mai più Hiroshima! Mai più Auschwitz!».

Su un punto però, Giovanni Paolo II ha inflitto gravi danni al mondo in via di sviluppo: ribadendo e rafforzando la condanna, già pronunciata da Paolo VI, di ogni mezzo di contraccezione artificiale, ha contribuito all´incremento delle nascite nelle aree più povere, oltre tutto sempre più colpite anche dal flagello dell´Aids.

A un amico che gliene chiedeva conto ha risposto: «Ho insegnato queste cose per tutta la vita e non le posso cambiare». Dobbiamo augurarci che il suo successore volti decisamente pagina su questo punto.

Secondo alcuni, Giovanni Paolo II si sentiva smarrito nel mondo del dopo 11 settembre. Ma di fatto, nessuno più di lui si è impegnato per sventare lo “scontro di civiltà”. Ha teso la mano a ebrei, musulmani e cristiani della altre Chiese, come nessun altro Papa aveva fatto prima di lui. E il messaggio è arrivato a segno, come testimonia l´e-mail di Mohamed da Birmingham.

“Di noi sopravviverà solo l´amore”, ha scritto il poeta Philip Larkin. Giovanni Paolo II continuerà a vivere nella memoria di milioni di persone che lo hanno amato. Ma anche per gli altri – per moltissimi liberali e laici del mondo occidentale, o protestanti o liberali cattolici – la sua eredità rappresenta una sfida.

L´inizio di questo terzo millennio è caratterizzato dalla globalizzazione dell´economia e dell´informazione – grazie a Internet, alla Cnn e alla Bbc. Per gestirla servirebbero leggi e istituzioni internazionali – le quali però richiederebbero a loro volta una globalizzazione morale, com´è stata definita.

Che si condividano o meno le motivazioni e i convincimenti di Giovanni Paolo II – e ragionevolmente non ci si può attendere la condivisione universale dei convincimenti di un individuo, di chiunque si tratti – questo è stato il tentativo più significativo mai compiuto finora da un singolo essere umano di dare corpo al concetto di globalizzazione morale, a incominciare dalla pratica concreta e operante della simpatia universale.

Dopo aver ascoltato le parole pronunciate dal Papa ad Auschwitz nel 1979, una religiosa sussurrò, inginocchiata davanti a lui: «Io sono una suora polacca; ma sono anche un´ebrea russa». Nel 2005, ciascuno di noi dovrebbe dire: «Sono un cittadino dell´Occidente prospero; ma sono anche una donna del Darfur». E quindi agire di conseguenza.
Per farlo, oggi siamo affidati a noi stessi.
Traduzione di Elisabetta Horvat