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20 Maggio 2005

Il giorno più lungo di Francesco “Non ci lasceremo divorare”

Autore: Goffredo De Marchis
Fonte: La Repubblica

ROMA – La Margherita come non l’abbiamo mai vista. Profumo di vecchi congressi dc, coltellate, veleni e scontro vero. Con il sorriso sulle labbra. Grandi protagonisti sono ancora Ciriaco De Mita e Franco Marini, centocinquanta anni in due (149 per la precisione), due giovanotti in piena forma. «Tu sei un po’ più grande di me», dice Marini. «Siamo lì», gli risponde De Mita. Duetto d’amore. Uniti contro l’Ulivo, contro i Ds, contro Prodi. Alè, ricomincia la battaglia, ‘sta Margherita era un po’ soporifera. Marini sintetizza: «Ci hanno trattato come un cane, al quale si butta l’osso sempre più lontano.

E prima la lista, eppoi il partito unico… Ma alla fine anche il cane si rompe le palle». Sentono il profumo della vittoria, dello schiaffo all’avversario. E gonfiano il petto, disposti persino a rinunciare allo sberleffo. Al prodiano che lo ha preceduto sul palco, De Mita si rivolge così: «Caro Santagata, è la prima volta che pronuncio bene il tuo nome». Finora lo aveva sempre storpiato, per sfregio. Loro se la spassano, Francesco Rutelli un po’ meno. Ha più responsabilità

ed è toccato a lui prendersele. Ha detto tutto. Ha reagito alle mille pressioni,

ha indicato la sua linea, le ha cantate a Romano Prodi, come aspettava di

fare da settembre, dal giorno infelice del «bello guaglione», alla festa

della Margherita. Oggi la guancia non è la sua, ma quella di Fassino. E del

Professore, certo. In fondo, si è liberato di un peso, anche se è una novità

per la Margherita, un partito giovane, gestito con certosina pazienza, mettere

in piazza i rancori, i rospi. Dal palco l’ex sindaco rifiuta qualsiasi compromesso,

restituisce i colpi, non fa sconti. Ma quando torna al suo posto non esibisce

l’espressione giuliva dei democristianoni. E inorridisce quando De Mita, l’alleato De Mita, con riflesso maschilista, «dialoga» con la senatrice Cinzia Dato: «Sono cose serie, sta’ zitta». Lui scuote la testa e soffoca un grido: «No, no. Non così». Rutelli difende l’Ulivo, Paolo Gentiloni, il fedelissimo, rilancia «il profilo

ulivista della Margherita». C’è anche questo nell’assemblea di Dl. Vecchi storici ulivisti stanno insieme a ex Ppi che dell’Ulivo farebbero volentieri a meno e sono contenti di avergli dato quasi il colpo di grazia. Marini e De Mita scherzano, ma chi veramente fa lo strappo, Rutelli, resta serio.

«Ho bisogno di un bicchiere di Coca-cola. Allora, la lista unitaria…». Per il passaggio più delicato, il leader si schiarisce la voce con qualcosa di più della Ferrarelle. È un discorso-sfogo, molto sofferto e molto sognato. Ma può avere delle conseguenze. Lo spettro della scissione è nelle parole del leader. Comunque vada, dico: fermiamoci, rimaniamo tutti qui». È anche il giorno della verità. «Nella federazione non c’è qualcuno più uguale degli altri, non c’è cammino unitario se noi veniamo sempre strattonati». I nodi dolorosi di questi mesi vengono al pettine. Il referendum su cui i Ds hanno avviato una campagna autonoma, la moratoria sulle primarie rispettata fino all’ultimo da Dl… Lentamente, il presidente di Dl cita dichiarazioni e interviste, prove a carico di chi tenta di portare la Margherita al partito unico. D’Alema ha usato il verbo «incorporare». «Ma noi siamo il nuovo, non accettiamo l’egemonia di nessuno», non si faranno divorare dalla Quercia.

Ancora Coca-cola. «Non vogliamo accogliere transfughi e trasformisti», dice

secco Rutelli. È un’accusa che brucia, questa. Non lo dice qui, Rutelli, ma lo ha ripetuto nelle ultime ore: «Questi ci vogliono sciogliere come l’aspirina in un bicchiere d’acqua. Noi non glielo permetteremo». Rancore e schiaffi da restituire. «Il partito riformista, la lista unica è come il doping». La Bindi ribatte: «Il doping no, ma tu ci vuoi far cambiare sport». Ai suoi, prima del discorso, Rutelli ha ricordato un’altra cicatrice: «Prodi ha nominato Papini coordinatore del programma senza dirmi niente. Eppure Papini è un dirigente della Margherita». Certo, questa è una resa dei conti. Inevitabile.

E raccontando le ultime tappe di una distanza, di una freddezza con Prodi,

è questo che Rutelli vuole dimostrare alla Margherita. Ci hanno lasciato una sola strada. «Scegliamo ora, altrimenti finiamo come il pianista nel saloon», è l’immagine di Gentiloni.

Da oggi, ufficialmente, la Margherita non è più l’isola felice della politica,

l’esperimento riuscito di convivenza armoniosa tra tre partiti distinti: Popolari, Democratici e Lista Dini. Oggi è anche il posto delle preoccupazioni sul futuro. E delle facce sperdute. Marco Formentini, ex sindaco di Milano, ex leghista, fa su è giù per la sala dell’assemblea federale. Non sa dove sedersi, forse ha sbagliato partito. Nemmeno un amico in sala. Anche l’ex leader del Pli Valerio Zanone è spaesato. Ma sono i prodiani a sbandare paurosamente.

Prodi è in Cina, bel momento ha scelto. Arturo Parisi ha la febbre a 39. Quando l’Ulivo è a rischio lui «somatizza», come dicono a Zelig. Per non lasciare soli gli altri, invece di tornare a casa si fa «ricoverare» in una stanza dell’albergo, a portata di mano. La segretaria tiene i contatti. Nel sotterraneo, si consuma la rottura. Al piano terra, c’è la consolazione degli occhi. Ragazze mozzafiato fanno avanti e indietro nella hall, impegnate nella selezione di Roberta, l’azienda di biancheria intima. Quella che sui poster dice molto con un sedere. Il bar è piuttosto affollato. Doppi petti e fresco di lana. Si parla di transfughi e di poltrone. Lo sguardo segue le modelle con il trolley. Andrea Papini, tanti chili di bonomia emiliana, ordina una schweppes. Sono sette euro. Un’altra botta ai prodiani: «Quasi quasi vado a casa». Sotto, nella sala dell’assemblea, Rosy Bindi e Enrico Letta si appartano. La strana coppia, «io e lui insieme, è un miracolo», esclama Rosi. La girotondina e l’iper-riformista. Qui li unisce la paura della scelta irreparabile, della fine dell’Ulivo. Letta ha la faccia delle

occasioni peggiori. Scura, la schiena piegata. Per lui la scissione è dietro

l’angolo. «Ancora un mese, è una preghiera. Sospendiamo il voto sulla lista

unica». Che può succedere in un mese? «Prodi e Rutelli si possono parlare.

Perché uno dei problemi è lo sbilanciamento del Professore verso i Ds. Allora

si guardino negli occhi e chiariscano». Bindi e Letta presentano un documento

per il rinvio. Lo firma, significativamente, una pattuglia di ex Ppi: Pistelli,

D’Andrea, Giovanni Bianchi e altri. Ombretta Fumagalli Carulli, ex andreottiana, nella tempesta sfoggia il solito sorriso e il solito foulard coloratissimo.

Lei pensa ai comitati di donne per l’astensione. L’altro ex andreottiano,

Beppe Fioroni, oggi vicino a Marini, si frega le mani. «I prodiani? E dove

vanno? Se escono fanno la fine di Mimmo Lucà. Avete presente i cristiano

sociali nei Ds? Non contano niente. Il destino dei prodiani è l’annessione

nella Cosa 3. Auguri».