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21 Marzo 2005

Il Gelo che scende dal Colle

Autore: Vincenzo Vasile
Fonte: l'Unità

Si sa quanto il presidente Carlo Azeglio Ciampi ci tenga: tra poco più di un mese si appresta a celebrare a Roma e a Milano i 60 anni della Liberazione dalla dittatura e dal nazifascismo. E Silvio Berlusconi, che quell’appuntamento del 25 Aprile ha sempre accuratamente disertato – una volta accusando un «giradito», un’altra dedicandosi al riposo nella sua villa in Sardegna – si prepara a fargli l’ultimo, ennesimo dispetto: lascerà il capo dello Stato a onorare in quasi perfetta solitudine istituzionale (tranne la presenza nel cortile del Quirinale dei ministri Martino e Pisanu e sul palco di Milano di qualche altro, dimesso «delegato» del governo) la scadenza di calendario in cui culmina il «viaggio nella memoria» del presidente Ciampi.
L’itinerario in cui il capo dello Stato s’è impegnato durante il suo settennato nel tentativo di recuperare valori condivisi, come si sa, è partito dal Risorgimento, fondatore dell’unità nazionale.



È passato per le varie fasi della Resistenza,­ l’8 settembre, considerato non solo nel segno della disfatta ma come il momento di uno scatto d’orgoglio nazionale, e poi il filone militare, e quello popolare della lotta di Liberazione – e approda adesso al momento culminante, quest’anno allo scoccare dei sessant’anni, non a caso con una doppia cerimonia: il raduno solenne nel cortile del Quirinale che Ciampi e la manifestazione in piazza Duomo a Milano.


Berlusconi ha già fatto sapere che non ci sarà, e anche se l’annuncio è in linea con la scostante tepidezza già mostrata negli anni scorsi, il prossimo 25 aprile è destinato a certificare il solco sempre più profondo che si va scavando nel fine settennato tra Quirinale e palazzo Chigi. La metafora del vaso ricolmo e della goccia che lo fa traboccare non si presta per lo stillicidio di frizioni, incidenti, scontri, che si accumulano, invece, come una montagna di detriti che oscura l’orizzonte, impedendo ormai la vista dei segnali di fumo tra i due Palazzi, numerosi nella prima parte della coabitazione di Ciampi e Berlusconi.


Si pensi alle ultime visite di Stato, in Cina, in India, nel Regno Unito. Di solito i viaggi all’estero rappresentano l’occasione anche per un rasserenamento degli animi: il presidente – «irresponsabile» costituzionalmente in materia di politica estera ­ rappresenta, difatti, davanti alle autorità locali la linea del governo, e nel caso di Ciampi ne offre un’interpretazione caricata di autorevolezza, in forza della stima personalmente capitalizzata presso le cancellerie, che va molto oltre rispetto al peso reale del nostro Paese e dell’attuale nostra politica estera.


Ma quali sono le scelte del governo In Cina a novembre il viaggio segnava l’esordio di Gianfranco Fini alla Farnesina e Ciampi nell’indicare nuove aperture di mercato e nell’offrire qualche spiraglio sulla questione della revoca dell’embargo della vendita di armi, illustrava temi e proposte concordate con la Farnesina. A scoppio ritardato successe un pasticcio, quando Berlusconi se ne uscì sostenendo di aver letto tutto quanto sui giornali, preferendo indirizzare semmai verso l’Est europeo, non già nel Lontano Oriente, i flussi di investimento. Idem per l’India. Adesso in Gran Bretagna, lo scontro è avvenuto in diretta, sia pur minimizzato a posteriori – per la comune volontà di metterci una pezza ­ da molti telegiornali e giornali grandi e piccoli. L’occasione non era dappoco.


La politica estera, confusa e caotica del governo, tradotta in uno spot pubblicitario a “Porta a Porta” ­ con l’annuncio del ritiro dall’Iraq, contraddetto dagli Alleati, smentito da Berlusconi con la solita giravolta – s’è trascinato dietro un tema di quelli grossi: il carattere parlamentare della nostra Costituzione repubblicana. Ciampi parlando da Oxford con i giornalisti italiani, l’ha rivendicato, a sorpresa, con parole forti, semplici e chiare: non c’è democrazia senza un Parlamento funzionante. Le discussioni davanti alle Camere non sono mai inutili. I mass media, la tv vengono dopo.


Casini e Pera non hanno detto una parola, s’è presa lui, Ciampi, la responsabilità di difendere il Parlamento, nella sua veste di supremo garante della Costituzione. E così s’è attirato addosso velenosi attacchi per una presunta deriva verso tendenze esternatorie, comuni ­ è stato scritto tirando fuori uno stereotipo che sarebbe da discutere – un po’ a tutti gli ultimi Presidenti, specie nella parte finale del loro mandato. Si va dal dileggio (Ciampi ­ ha titolato Libero in prima pagina ­ è «invidioso» di Bruno Vespa, ormai assurto al suo posto al ruolo di grande regista della politica italiana), fino agli avvertimenti. Alcuni ventriloqui di Berlusconi hanno avuto, infatti, mano libera per tradurre su carta stampata: da ora in poi il presidente del Consiglio si sente libero di valicare il labile confine che separa una polemica da un conflitto istituzionale attaccando, se e quando vorrà, Ciampi, perché ormai sarebbe stato accertato e verificato che le «sirene della sinistra» non solo trovano frequentemente ascolto al Quirinale, ma sarebbe in atto una strategia di reciproco supporto tra il Colle e il centrosinistra. L’Unione, in difficoltà per l’annuncio del ritiro dall’Iraq, sarebbe andata, dunque, a «tirare per la gonna» il presidente (cfr. A. Minzolini sulla Stampa), e lui si sarebbe prestato…


L’elegante analisi, oltre tutto, nasconde un dato di fondo. Per un Berlusconi ossessionato dagli infausti sondaggi pre-elettorali, questo ultimo anno di Ciampi è l’anno del tutto e per tutto. Riforme costituzionali, legge elettorale, stravolgimento della par condicio, legge Cirielli, (provvedimenti tutti considerati in vario modo sotto scopa rispetto alle prerogative del Quirinale) sono le prime pedine da muovere in una partita a scacchi che di qui a poco potrebbe diventare una sfida disperata. Molto dipenderà dal risultato delle elezioni regionali, ma un esito negativo per il centrodestra potrebbe indurre Berlusconi a innestare una marcia ancora più aggressiva. E l’assalto al Colle, prefigurato dalle indiscrezioni di questi giorni sugli intenti bellicosi del presidente del Consiglio, potrebbe diventare la prossima manovra diversiva, intossicante e pericolosa.