Ieri, parlando alla radio, Romano Prodi si è rammaricato per i toni della campagna elettorale, osservando che «quando comincia il dialogo degli insulti diventa difficile dire chi è nella ragione e chi nel torto». Ha anche detto, giustamente, che a questo punto «diventa abbastanza patetico fare appello ai moralismi e all’abbassamento dei toni, quando fa comodo dirlo». Il leader dell’Unione ha ragione, e individua nella famosa frase di Berlusconi su «miseria, terrore e morte» il segnale di partenza di questa orrenda campagna elettorale.
Senza moralismi, è però inevitabile notare come la politica (e l’informazione politica) stiano dando il peggio di sé proprio nel momento in cui pretendono di rivolgersi, una tantum, direttamente ai cittadini elettori. Se è vero che cresce a vista d’occhio la disaffezione e anche una certa ripulsa verso la politica, questa campagna per le Regionali avrà dato un bel contributo in questa direzione.
Ora, possiamo attribuirne la gran colpa a un centrodestra spaventato e sull’orlo della disperazione, costretto (a cominciare dal premier, anzi soprattutto da parte sua) a drammatizzare il voto, a estremizzare i toni, a imporre la scelta apocalittica «o di qua o di là».
Possiamo anche constatare che l’informazione politica – usando magari l’alibi dell’indispensabile ma brutta legge della par condicio – ormai vive le elezioni come un periodo di vacanza: nessun serio elemento di valutazione, indagine, raffronto viene offerto all’elettore. Si lavora solo sulle polemiche, e più sono feroci e personali, meglio è. Il servizio pubblico radiotelevisivo, nei telegiornali e fuori dagli inutili spazi elettorali, si comporta come gli viene spontaneo: in maniera servile verso il potere che ha insediato direttori, vice e capiredattore. I dati che pubblichiamo oggi sulla presenza delle varie parti politiche nei tg Rai sono impressionanti.
Date agli altri tutte le colpe che meritano, il centrosinistra però deve sapere che è lui la vittima designata di questo ulteriore deperimento della democrazia rappresentativa. Può darsi che l’astensionismo continui in questo 2005 a penalizzare il centrodestra come negli ultimi anni. E può anche darsi che, come nel ’96, la «bonomia emiliana» di Prodi risulti vincente rispetto alla frenesia berlusconiana.
In de?nitiva, tra le macerie della civiltà del confronto Berlusconivon Paulus potrà anche trovare la sua Stalingrado. Ma il prezzo alla ?ne lo pagheremmo tutti. Se l’Unione e l’Ulivo non riusciranno a far passare il messaggio che pure lanciano qua e là (come ha detto Prodi ancora ieri: l’Italia va riuni?cata, non divisa in due campi di odio contrapposto), potranno vincere ma vinceranno nel deserto.
E da qualche parte si starà preparando un nuovo populista di destra, l’unico tipo di politico che vince quando vince l’antipolitica.