Un atto ufficiale della Procura della Repubblica di Milano contro due alti funzionari del Sismi ipotizza che il giornalista di Repubblica Giuseppe D’Avanzo sia stato sottoposto a intercettazione illegale da parte dei nostri servizi segreti.
Si tratta, com’è evidente, di uno scenario inquietante. Un giornalista impegnato da anni in un lavoro di analisi e di inchiesta – insieme con Carlo Bonini – su tutte le vicende più delicate ed oscure della Repubblica viene fraudolentemente “ascoltato” nel suo lavoro da parte di due pubblici ufficiali, incaricati di operare a tutela della sicurezza del Paese e dei cittadini.
Non solo. Gli stessi soggetti, secondo i magistrati che li hanno invitati a comparire, hanno messo in atto “comportamenti di controllo degli spostamenti fisici” di D’Avanzo e Bonini, cioè li hanno seguiti e pedinati, nei loro movimenti e nei loro contatti di lavoro.
È la prima volta, da molti anni, che la libertà di stampa subisce un attentato così clamoroso e patente nel nostro Paese. Qualcosa di inconcepibile in qualsiasi democrazia, anche più malandata della nostra.
Un reporter intercettato fuori da ogni inchiesta giudiziaria, da ogni ipotesi di reato, da ogni autorizzazione della magistratura, fuori in una parola dalla legalità e dalla legge. Semplicemente per un sopruso, un abuso di potere diretto contro l’autonomia della libera stampa.
È così grave quanto è avvenuto che ci dobbiamo domandare dov’è cominciato, e quando è finito. Quali altre intercettazioni sono state fatte a giornalisti, senza emergere nel filtro casuale di un’inchiesta? Con quali limiti invisibili, con quanti custodi occulti, abbiamo lavorato negli anni di Berlusconi? E il governo attuale, di fronte a questo attacco ad un diritto fondamentale di una società democratica, non sa far altro che replicare una gregaria “fiducia” nei servizi?
Perché non si domanda e soprattutto non domanda se il direttore del Sismi ha autorizzato questo sfregio illegale? Se sapeva, ed è dunque colpevole direttamente, o se non sapeva, ed è colpevole indirettamente?
Repubblica, naturalmente, si difende da sola, con il lavoro dei suoi reporter che è davanti ai suoi lettori. Ma se il Paese non ha nulla da dire quando un giornalista è intercettato dai servizi perché indaga su di loro, perché scrive su un giornale sgradito, o semplicemente perché è un giornalista, allora significa che in quel Paese tutto può davvero succedere.