Con l´ultimo, forsennato colpo di coda, il Caimano di Arcore osa
l´inosabile. Il faccia a faccia tv di ieri sera, l´ultimo e decisivo prima del
voto di domenica prossima, l´avrebbe vinto Romano Prodi, come già gli era
capitato nel primo confronto del 14 marzo. Ma Silvio Berlusconi, con l´appello
agli elettori, si è giocato l´osso del collo. Con il tuffo estremo nel cerchio
di fuoco staraciano, il premier ha lanciato agli italiani la
promessa-fine-di-mondo: «Se ci voterete di nuovo, vi aboliremo l´Ici sulla prima
casa».
È la vera novità di questa sfida finale, che per il resto registra la buona
performance del Professore, sereno e determinato, contro un Cavaliere irascibile
ed esasperato. Ma è una novità destinata a tenere banco, in questi cinque giorni
che ancora ci separano dal voto. Berlusconi torna al 2001. Torna alle tasse come
arma vincente. Torna a parlare a un popolo che immagina trasversale, fatto di
partite Iva e di “padroncini”, ma anche di famiglie e di salariati a reddito
fisso, che spesso ostenta il cuore a sinistra, ma quasi sempre conserva il
portafogli a destra. Riconquista la scena, con una proposta che è, insieme,
seducente e inconsistente. È seducente, perché ai quasi 20 milioni di italiani
che possiedono una prima casa non può non far piacere l´idea di non pagare più
un´imposta che ogni anno “costa” in media più di 500 euro per ciascuna famiglia.
Ma è anche inconsistente, perché ai circa 8 mila comuni che ogni anno riscuotono
questo tributo non può non far paura l´idea di dover rinunciare, dall´oggi al
domani, a un gettito pari a circa 9 miliardi 950 milioni di euro (quasi 20 mila
miliardi delle vecchie lire), che da soli rappresentano più del 50% delle
entrate complessive delle amministrazioni. Come si potrebbe coprire questo buco
colossale aperto nelle casse dei sindaci? Come si finanzierebbero i servizi
locali attualmente sovvenzionati con i proventi dell´Ici? Come si concilierebbe
questa scelta marcatamente “centralista” dello Stato con la mitica devolution
imposta al Paese dai federalisti-secessionisti in camicia verde?
A tutte queste domande, ovviamente, il Cavaliere non ha fornito alcuna
risposta. Così come non ne ha fornite sulla copertura di quelle poche misure
economiche contenute nel programma della Cdl (dal taglio di 3 punti del cuneo
fiscale al quoziente familiare, dalla rioduzione dell´Irap al bonus bebè) che
tuttavia valgono non meno di 35 miliardi di euro. Ma non è questo che andava
cercando, il Cavaliere, in quest´ultima “chiamata” agli elettori. Ha buttato via
un´ora e passa di dibattito, spesa a ripetere la rituale alluvione di cose fatte
ma inverosimili e di cifre pirotecniche ma inverificabili («un goulash di fatti
e di numeri», come l´Herald Tribune di ieri aveva definito la prova del
Cavaliere nel precedente duello). Ha sprecato almeno due ottime opportunità per
mettere in difficoltà il suo avversario e parlare alle fasce elettorali in
questo momento più «sensibili» (i cattolici sul tema delle coppie di fatto e dei
Pacs, e le donne sul fronte delle quote rosa e del sostegno alle carriere). Ha
fatto ricorso per l´ennesima volta alla sola forza delle emozioni negative
(riproponendo la minestra riscaldata dei comunisti e della sinistra che pensa
solo a massacrare i contribuenti e a ingrassare il Moloch statuale).
Di fronte a un Prodi insolitamente calmo e particolarmente lucido, anche
nella giungla infida delle aliquote e dei tetti di reddito che gli stessi
alleati di centrosinistra avevano masochisticamente contribuito a ingarbugliare
in queste ultime settimane, Berlusconi è sembrato ancora una volta un leader
ormai proiettato nell´irrealtà mediatica, molto più che nella realtà politica.
Fino a quei due minuti finali, quando il Cavaliere ha ritrovato per un attimo lo
smalto dell´imbonitore televisivo e visionario, ed è tornato al registro
confidenziale, e vagamente onirico, del leggendario “messaggio” sulla discesa in
campo del 1994: «L´Italia è il Paese che amo…». Con tutto quel che seguiva e
che è seguito, in termini di produzione del consenso, di innovazione del
dibattito pubblico e di distruzione del tessuto sociale e istituzionale.
Qui c´è stata un´inversione dei ruoli. Prodi, che ha menato la danza per
tutto il confronto, ha perso l´occasione. Il suo messaggio finale è stato
corretto, ma ripetitivo e persino banale. Il Caimano di Arcore, al contrario, ha
tentato di rompere la gabbia nel quale l´hanno cacciato cinque anni di logorante
legislatura, e due mesi di disperata rincorsa pre-elettorale. La proposta di
abolire l´Ici risponde a questa esigenza. Raggiunge l´obiettivo di dettare
l´agenda di questi ultimissimi giorni di contesa elettorale. Di qui a dire che
questa mossa a sorpresa basterà a invertire una rotta che i sondaggi danno per
segnata per il centrodestra, ce ne corre. È difficile misurare l´effettiva
efficacia della sortita berlusconiana. È anche probabile che non sposterà un
solo voto in un elettorato che va verso la stabilizzazione. Anche tra quei 4
milioni di indecisi che, gradualmente, si stanno decidendo, ma a quanto pare
distribuendosi in modo equanime tra i due schieramenti, e dunque senza apportare
sostanziali modifiche alla forbice che tuttora separa il centrosinistra in
vantaggio dal centrodestra all´inseguimento.
Il colpo di coda del Caimano fa un certo effetto. Ma probabilmente arriva
fuori tempo massimo. Dopo cinque anni di impegni sostanzialmente mancati, le
parole del Cavaliere, con tutto il rispetto, ricordano sempre di più quelle di
Cetto Laqualunque, ringhioso “cacicco” meridionale messo in scena da Antonio
Albanese, che contro «l´opposizione caina e bastarda» riesce solo a gridare: «Vi
prometto le promesse». Credergli è sempre più difficile.