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22 Marzo 2005

Il centrosinistra sulla rotta di Blair

Autore: Angelo Panebianco
Fonte: Corriere della Sera

Il segretario dei Ds Piero Fassino appare impegnato in un serio tentativo di modificare gli orientamenti di politica internazionale del suo partito e del centrosinistra. Le sue recenti parole sulla politica di George Bush, e l’auspicio di un inedito attivismo della sinistra sul tema dell’esportazione della libertà, segnano, come ha osservato Paolo Franchi sul Corriere di ieri, un salto di qualità. Se pure Fassino mantiene il giudizio negativo sulla guerra in Iraq, il riconoscimento del ruolo positivo che ha assunto in Medio Oriente l’impegno di Bush a favore della democrazia ( talché i neoconservatori, ispiratori di quella politica, risultano oggi, per Fassino, preferibili ai vecchi realisti alla Kissinger, difensori dello status quo e pertanto contrari a destabilizzare le dittature) e l’autocritica sul passato disinteresse della sinistra per il tema della lotta alle tirannìe, aprono la strada, potenzialmente, a un cambiamento di prospettiva.

Se la sinistra italiana seguisse la rotta indicata da Fassino, finirebbe per avvicinarsi ai laburisti di Tony Blair ( da cui è stata ferocemente divisa nel recente passato a causa della guerra in Iraq) che quelle idee hanno sempre propugnato. Si imporrebbe anche un ripensamento sul ruolo dell’Europa franco tedesca propugnatrice, in tema di democrazia, proprio del realismo di stampo kissingeriano criticato da Fassino. Per dire che le conseguenze potrebbero essere notevoli.

Ma c’è un ma. La politica italiana è un cimitero di buone intenzioni: tante volte abbiamo sentito in passato parole che suonavano innovative e alle quali però non seguivano i fatti. Perché alle parole di Fassino corrispondano cambiamenti negli atteggiamenti della sinistra italiana occorre che esse diventino il primo passo di un lungo percorso politico.
La possibilità, sulla carta, c’è. La posizione maturata da Fassino non è distante da quella del leader della Margherita Francesco Rutelli.

Fassino e Rutelli guidano due forze che, insieme, rappresentano oltre i due terzi della sinistra italiana. Essi hanno la possibilità di impegnarsi in una battaglia, culturale e politica, per rendere le loro posizioni maggioritarie fra i quadri, i militanti e gli elettori dei loro partiti. Oggi maggioritarie non sono. Come potrebbero esserlo dopo tante feroci polemiche e tante manifestazioni di piazza contro Bush e la politica di esportazione della democrazia? Non si possono cambiare di colpo atteggiamenti che vengono da lontano, radicati in tanti militanti di sinistra. Per farlo occorre dare battaglia: suscitare dibattiti nel Paese, organizzare manifestazioni, convogliare in modo sistematico e continuo gli sforzi dei sostenitori contro i tiranni e a favore della libertà in Medio Oriente e altrove. Occorre un’opera pedagogica sistematica per sconfiggere atteggiamenti diffusi come l’antiamericanismo e il relativismo culturale ( l’idea che democrazia e libertà non possano riguardare i popoli extraoccidentali). Occorre fare, ma con le grandi forze a disposizione della sinistra, ciò che su questo terreno fanno solo i Radicali di Pannella.

A Ernesto Galli della Loggia che sul Corriere ( 17 marzo) aveva accusato la sinistra italiana di disinteresse per la democratizzazione del Libano, si è replicato, burocraticamente: « Non è vero, ne abbiamo parlato bene » . Ma il problema non è « parlarne bene » . È impegnare energie per trasformare le idee dei leader in opinioni diffuse e condivise, in un nuovo senso comune, e per portare il grosso della sinistra ad agire politicamente in coerenza con quelle parole.
Perché non restino solo parole.