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19 Gennaio 2006

Il blind trust di Draghi (in 72 ore)

Autore: Dario Di Vico
Fonte: Corriere della Sera
Già fatto. In meno di 72 ore dal suo arrivo in via Nazionale il
neo-governatore Mario Draghi ha affrontato il conflitto di interesse di ex
banchiere privato, tornato da Londra a Roma a recitare il ruolo di civil
servant. L’ha risolto scegliendo una formula rigorosa, quella del blind trust,
largamente radicata nella realtà anglosassone ma del tutto nuova per l’Italia.
L’osservazione fin troppo ovvia è che il nostro presidente del Consiglio in
dodici anni di attività politica non è riuscito a fare altrettanto.
Esiste sulla carta, è vero e lo segnalano le cronache parlamentari, un
simulacro di legge chiamata Frattini ma chi abbia avuto la ventura di vederla
all’opera è pregato caldamente di segnalarne i movimenti. Si obietterà, con
ragione, che una cosa è risolvere il conflitto di interesse di un singolo
banchiere, altro è sistemare nel modo più opportuno un impero mediatico come
quello costruito in anni di lavoro da Silvio Berlusconi. Ma forse quella che è
mancata dal ’94 fino ad oggi è stata proprio la volontà.
Sappiamo che quando il Cavaliere vuol davvero raggiungere un obiettivo
difficilmente si arrende prima di averlo centrato. Al di là delle polemiche di
giornata l’iniziativa del neo-governatore ha un altro merito: fissa un inedito
standard di trasparenza al quale l’opinione pubblica italiana potrebbe fare
l’abitudine.
Goldman Sachs o no, in un futuro più o meno prossimo potremmo aspettarci
che anche i ministri dell’Economia, così come gli uomini che occupano posizioni
chiave nell’amministrazione pubblica, facciano altrettanto. Anche per questa
via, forse, si può diventare un Paese normale.