Lenin sarebbe esterrefatto. No, non intendo il vero Lenin, quello
imbalsamato nel mausoleo sulla Piazza Rossa, a Mosca. Sto parlando di
me, l’uomo la cui fotografia, cinque anni fa, fu messa in prima pagina
da il Giornale a dimostrazione del fatto che l’Economist, il
settimanale di cui ero direttore, fosse effettivamente una
pubblicazione comunista. Come spiegarsi, altrimenti, il fatto che
avevamo appena definito Silvio Berlusconi «inadatto a governare»
l’Italia?
Allora, presi questo particolare attributo della mia somiglianza a
Lenin soltanto come un simpatico scherzo, e pensai che questo attimo di
notorietà sarebbe senz’altro passato velocemente. Non immaginavo che
quell’episodio potesse dar vita a un nuovo e sempre intrigante,
personale interesse per l’Italia. Di ciò, devo ringraziare un uomo:
Silvio Berlusconi.
Perché? A pensarci ora, appare scontato. Grazie al Cavaliere, mi
sono visto costretto a prestare particolare e personale attenzione a
ciò che di lui scrivevamo e dicevamo: dapprima poiché nella sua figura
vedevamo un qualcosa di estremamente eccezionale e insolito in quella
che è una ricca democrazia occidentale e, in seguito, anche perché ci
ha citato due volte per diffamazione (le cause sono ancora pendenti).
Ma, soprattutto, mi ha spinto a chiedermi come l’Italia abbia potuto
fare di un uomo così il suo presidente del Consiglio, un uomo il cui
conflitto di interessi rappresenta un caso unico in tutti i governi
delle democrazie avanzate, e che, ai miei occhi, è stato emblema dei
pericoli che sorgono quando i grandi protagonisti del mondo degli
affari e i governi superano una certa soglia di distacco.
Non posso dirmi sicuro di essermi almeno avvicinato a una risposta
a quella domanda. In tanti, e molto più esperti di me, ci hanno già
provato in passato, e altrettanti tenteranno senz’ altro in futuro. Ma
il solo fatto di cercare spiegazioni al fenomeno è stato di enorme
interesse, e pure divertente. Ora, però, mentre inauguro questa
collaborazione con il Corriere, mi viene in mente una delle possibili
ragioni. Una ragione importante, e piuttosto spiacevole: la condizione,
in Italia, dei partiti di centrosinistra.
Che dovrebbero attribuirsi buona parte della responsabilità del fenomeno Berlusconi.
La nota di richiamo arriva, com’è ovvio, dalle vicissitudini
quotidiane del governo Prodi. Quest’ultimo ha dato molteplici
dimostrazioni di coraggio, data l’esiguità della sua maggioranza
parlamentare. Gli do merito, soprattutto, degli sforzi intrapresi dal
suo governo per abbattere le barriere che ostacolano la concorrenza e
bloccano la nascita di nuove imprese italiane in troppi settori, pur
con gli inevitabili compromessi che tale ventata di liberalizzazioni ha
implicato. La rinascita economica dell’Italia, infatti, potrà avvenire
soltanto se i governi riusciranno a rimuovere le tante leggi e gli
ostacoli burocratici che impediscono alle imprese, sia grandi che
piccole, di esprimere la propria autentica creatività e intraprendenza.
Dunque, il governo Prodi è partito con il piede
giusto. Poi, però, si è guastato con la Finanziaria, e di cui proprio in queste ore si discute in Parlamento.
In termini macroeconomici, essa parte da una falsa premessa. Ossia,
dal presupposto che la vera priorità sia la riduzione del deficit di
bilancio, al fine di ottemperare ai criteri fissati dal Patto di
stabilità e crescita per i Paesi della zona euro. Quando il Professore
era presidente della Commissione Ue, lo definì il «Patto di stupidità»,
e aveva ragione.
L’economia italiana è tra le più deboli di Eurolandia.
Ridurre il deficit di bilancio, ergo colpire la domanda interna, non
farà che accentuare questa debolezza.
La vera priorità dovrebbe essere non il deficit, ma la riforma del fisco.
Ossia, cambiare le modalità di imposizione fiscale e rivedere i criteri
di spesa. Ma questa Finanziaria, concentrata esclusivamente sul
deficit, peggiorerà le cose invece di migliorarle. Il trucco di cui il
governo si è servito per far quadrare i conti è eccessivo: trasferire
il Tfr ai fondi pensione, rimettendo il tutto alla voce «entrate», è un
bluff. E la stretta fiscale sui redditi alti è un passo all’indietro,
in senso contrario ai trend degli altri Paesi Ue, e reso necessario
dalle pressioni dell’ala più oltranzista della coalizione e dai falliti
tentativi di tagliare, quella sì, la spesa pubblica.
Bluff, pressioni, un bilancio a misura di «Patto di stupidità», lacerazioni.
Silvio
Berlusconi ha di che ringraziare il centrosinistra, sia per l’ascesa al
potere di ieri, sia per l’odierna permanenza sulla scena politica. Ma
io devo ringraziare lui, per l’opportunità di scrivere questo commento.
Grazie, Silvio.
(Traduzione di Enrico Del Sero)