La campagna elettorale è cominciata. Inutile girarci attorno. Sia che si vada alla conclusione della Legislatura, sia che Berlusconi, come tutti i giocatori allo stremo, si rassegni a puntare le poche fiches che gli restano su un improbabile en plein a scadenza ravvicinata, la partita è ineluttabilmente avviata. Si può solo prevedere che tanto più a lungo essa si protrarrà tanto peggio sarà per le sorti del Paese. Fa dunque benissimo l´opposizione a lasciare la scelta dei tempi al governo, pur dichiarandosi pronta al confronto elettorale. Peraltro per l´opposizione ce ne corre parecchio, tra questa dichiarazione e l´esser davvero preparata a presentarsi agli elettori con un credibile, condiviso e persuasivo programma di governo.
Si tratta di un compito arduo, anzi tutto per il carattere composito dello schieramento di centrosinistra, ma non certo impossibile.
Condizione prima è che i principali attori sappiano guardare alla realtà, rinuncino a troppi stridenti “a solo” per cupidigia di presenzialismo, non si inebrino fantasticando di un successo assicurato in partenza. La presa d´atto della realtà implica che essa non venga addobbata con panni seducenti per compiacere il proprio pubblico. Il terremoto delle Regionali non proviene, almeno per tre quarti, da una altrettanto potente spinta del centrosinistra e da un suo già percepibile profilo di governo ma dalla clamorosa e prolungata prova negativa del berlusconismo il cui leader ha finito per rivelarsi, anche a una parte del suo popolo, non come un innovatore rivoluzionario e fattivo, quale si era proposto, ma come un promotore di permanente disordine, un pericoloso dilettante, un uomo accompagnato da vizi del pensiero e del comportamento patologicamente inguaribili e tali da danneggiare la maggior parte dei suoi stessi alleati e sostenitori. Non è detto, però, che la volenterosa capacità demagogica del personaggio, l´attaccamento estremo al potere di quanti, partiti e personaggi, solo a lui lo debbono, la diffidenza tradizionale per la sinistra, che alberga storicamente in una parte grande dell´opinione pubblica, non possano alla stretta finale pesare ancora una volta sul risultato.
Alla vittoria del 3-4 aprile ha, comunque, contribuito, se pure in minor misura, anche l´autonoma azione del centrosinistra. In primo luogo realizzando, dopo tante defatiganti frizioni, un livello sufficiente di unità, sia all´interno della Fed, sia con le alleanze extra Ulivo. L´apprezzamento dell´elettorato, che tale unità sente come naturale vocazione, assai più dei suoi dirigenti, ne è seguito come conseguenza. In secondo luogo questo elettorato ha percepito positivamente l´affermarsi, ormai indiscusso, della leadership di Romano Prodi come candidato premier dell´alleanza. In terzo luogo un´influenza non secondaria – verificata sul terreno in Puglia – è individuabile nella svolta realizzata da Bertinotti col congresso che sancisce l´aspirazione a partecipare a un governo riformista di un partito che, fino a ieri, si collocava al di fuori delle concrete compatibilità che da una simile scelta discendono.
Da questo patrimonio di recente acquisizione l´Unione e i suoi dirigenti, a cominciare da Prodi, dovrebbero prendere le mosse per qualificare gli impegni che intendono assumersi con l´obbiettivo non solo di rassicurare il proprio tradizionale bacino elettorale ma di dissipare i dubbi e le diffidenze di milioni di cittadini per i quali il verdetto negativo su Berlusconi non si traduce automaticamente in un sì al centrosinistra. Qui, però, soccorre più il giudizio e la sensibilità politica che l´ascolto ossessivo dei sondaggi e delle analisi statistiche. A esempio sarebbe opportuno capire quanto nel declino del berlusconismo abbiano pesato non solo le difficoltà dell´economia ma, altresì e forse più, il riemergere d´una domanda di valori condivisi, di politica nel senso alto del termine, di partecipazione attiva dei cittadini.
Se così è l´imputazione mossa al premier di aver privilegiato la Lega a detrimento di An e Udc va bene al di là delle analisi sulle contraddizioni della CdL. Sia quei 700mila voti perduti in Lombardia che la valanga di voti conquistati dal centrosinistra nel Mezzogiorno stanno a dimostrare come la devoluzione e lo scempio costituzionale siano stati vissuti dalla maggioranza degli elettori di tutte le Regioni, da Milano a Reggio Calabria, come un attacco mortale all´unità d´Italia, alle conquiste politiche e sociali raggiunte negli ultimi centocinquanta anni di storia patria, ai diritti acquisiti nel campo della salute, della scuola, della previdenza. Anche il voto al centrodestra in Lombardia e Veneto, le uniche Regioni in cui la Lega è insediata, è stato percepito come un rifiuto esplicito della solidarietà sociale da parte dei più benestanti verso i più diseredati. Questo non vuol certo dire che gli elettori siano edotti e si siano pronunciati sui singoli commi della dissennata riforma, sui poteri del senato federale o della nuova Consulta: essi hanno però colto l´essenza del problema. L´estremizzazione imposta dal duo Bossi-Berlusconi, senza resistenza da parte degli alleati, ha inoltre contribuito ad affievolire il ricordo negativo di quell´improvvido vulnus iniziale inflitto dal centrosinistra con la modifica del titolo V.
Sbaglierebbero, dunque, i partiti dell´Unione se non improntassero la campagna elettorale attorno al tema dell´unità d´Italia, dell´unità del Welfare e d´un federalismo rigidamente compatibile. Prodi sembra averlo compreso prima degli altri. Ma anche sul terreno più propriamente economico l´Unione dovrebbe dare indicazioni di massima (non certo articolati di legge) semplici, chiare e soprattutto alternative alla impostazione di Berlusconi.
Si può scommettere che questi proseguirà a sventolare la necessità dei tagli fiscali. Sarebbe, esiziale, anche se allettante, seguirlo con qualche distinguo su questo terreno. L´Unione è sperabile sappia, per contro, proporre la difesa omogenea per tutto il Paese della sanità e della scuola pubblica, studiando dove risparmiare ma anche dove spendere di più, dove ricercare una collaborazione fruttuosa tra pubblico e privato e dove, infine, chiedere esplicitamente l´ausilio del contribuente (a esempio per creare un Fondo per l´assistenza agli anziani come in Germania, dove si è provveduto devolvendo due giornate di lavoro all´anno). Tutto questo nel segno d´una gestione democratica e condivisa del Welfare, liberandolo, da subìto nelle Regioni amministrate dal centrosinistra, dalla mortifera ragnatela lottizzatrice e partitocratica che lo soffoca (uno dei primi impegni dovrebbe consistere nel riaffermare le competenze professionali nella sanità dove il potere assoluto dei direttori generali, longa manus dei governatori, determina ogni nomina, dal primario alla caposala, sulla base della fedeltà politica).
Quel che non bisognerebbe fare In primo luogo illudere gli italiani che tutte le difficoltà economiche siano imputabili a Berlusconi e che l´avvento dell´Unione darebbe il via a una stagione di benessere e di ripresa assicurati in partenza. Guai se s´ingenerasse l´idea che laddove il centrodestra è fallito perché non poteva svalutare la lira, il centrosinistra s´appresterebbe a iniettare la droga della finanza allegra attraverso una buona dose di inflazione. Alcune componenti di sinistra potrebbero essere invogliate a imboccare questa via in discesa, trascurando il baratro futuro che implica, scongiurandolo magari apparentemente con una fiscalità demagogica e punitiva, tipo patrimoniale. Sarebbe bene in proposito ripassare la lezione negativa del primo governo Mitterrand quando per accontentare i comunisti e la sinistra socialista venne intrapresa una politica di questo genere che nello spazio di pochi mesi rischiò di portare il franco e l´economia francese alla rovina, evitata solo in extremis da una drastica svolta e dalla mano ferma di Jacques Delors chiamato per la bisogna a governare le Finanze.
Qui da noi stiamo andando verso una crisi paurosa del debito e del deficit (24 Ore parlava l´altro giorno d´un rischio del 6 per l´anno prossimo, invitando nell´editoriale di Luca Paolozzi il professor Siniscalco a dimettersi “per non passare alla storia come il ministro che ha lasciato riportare in alto mare i conti dello Stato”). Se il centrosinistra, come ci auguriamo, tornerà al timone della cosa pubblica, esso sarà costretto a caricarsi dei gravami d´una eredità esiziale. La navigazione avverrà tra procelle e scogli prima di rivedere un po´ di sereno. Questo va detto fin d´ora. E fin d´ora va garantita e cementata l´unità sostanziale dell´equipaggio.
Dopo la prima stagione del centrosinistra, che vide l´arduo successo dell´entrata nell´euro ma si concluse con l´avvento di Berlusconi, siamo ora alla vigilia, con ampie premesse favorevoli, di un secondo appello. Sarà vinto se il nucleo riformista dell´Unione saprà trasformarsi in corso d´opera in un soggetto politico coeso, fiducioso nel rapporto con le masse che lo seguono, capace di proporre risposte credibili e condivise, all´altezza della sfida.