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21 Novembre 2005

I riformisti, i sindacati, le scelte non fatte

Autore: Stefano Menichini
Fonte: Europa

Né i tecnici né tanto meno i politici del centrosinistra vogliono usare
l’espressione antipatica «lacrime e sangue». Però tutti sappiamo che la
prima parte della legislatura prossima sarà segnata da misure
economiche non facili, dalla necessità di invertire la corsa del
deficit sotto l’incubo di un rialzo dei tassi, dall’impossibilità di
alleggerire il carico fiscale mentre però occorre assolutamente ridare
fiato alle imprese.

Un quadro grigio, a dir poco, un’emergenza resa tale anche dall’inerzia
degli ultimi governi, che non potrà essere affrontata senza garantirsi
la maggiore coesione sociale possibile.

Questa sarà una delle principali carte elettorali del centrosinistra.
Alla coalizione, e a Prodi in particolare, gli italiani concedono
questo tradizionale riconoscimento: di dare maggiori garanzie di pace
sociale, dialogo fra le parti, bassa conflittualità. Non è poco per un
paese frammentato, incerto e spaventato che chiede una tregua e momenti
d’unità.

Nel confronto tra Prodi e Berlusconi (uomo di divisione e di tensione
permanente) fu questo nel ’96 il grande vantaggio dell’Ulivo: sarà di
nuovo così.
Con ciò si ripropone il tema del rapporto fra partiti riformisti e
sindacati. E lo propone fin d’ora, già nella fase di definizione dei
programmi, come ha plasticamente evidenziato la consultazione
para-presidenziale svolta due giorni fa da Prodi con le parti sociali.
Un giro di «reciproco ascolto», ha detto Montezemolo. Almeno nel caso
delle confederazioni, però, è difficile che le interazioni storiche fra
loro e i partiti del centrosinistra non producano fin d’ora una ricerca
di intese sulla piattaforma dell’Ulivo. Può essere inevitabile. A patto
che la politica riformista non cerchi mediazioni troppo anticipate
rispetto alla normale dialettica fra parti sociali.

Nel Dialogo che Europa ospita oggi, Tiziano Treu e Pietro Ichino
affrontano questo tema, titolati a farlo perché hanno alle spalle anche
anni di collaborazione rispettivamente con Cisl e Cgil. Che cosa
dicono? Che l’attesa di una «diversa stagione politica» sarà
comprensibile nei sindacati, ma non è salubre. Che è troppo tempo che
si rinvia lo scioglimento di nodi come la struttura del contratto
collettivo (a vantaggio di una maggiore articolazione territoriale e
aziendale) e le nuove regole sulla rappresentanza. E che, certo,
l’ideale sarebbe che le confederazioni superassero nella propria
autonomia questi ostacoli, liberandosi di tabù e incrostazioni.

Questo però non accade, anzi le dinamiche del congresso Cgil sono tali
da far temere irrigidimenti, invece che innovazioni. Anche la più
disponibile Cisl (nota Treu) fatica a compiere passi concreti. Ciò
nonostante, la politica riformista del centrosinistra non potrà farsi
paralizzare, né muoversi secondo logiche di collateralismo insane, e in
particolare incongrue rispetto al percorso unitario verso il Partito
democratico.

Per ora, il massimo del peccato commesso è veniale: alcune genericità
all’interno delle proposte programmatiche dei Ds ­ peraltro molto
avanzate e assai prossime all’elaborazione della Margherita, come
Europa ha notato.

Nell’interesse dei giovani e dei lavoratori italiani, è bene che le
prossime tappe della definizione dell’offerta riformista siano marcate
da autentico coraggio, e se necessario dalla sfida aperta nei confronti
delle resistenze annidate nei corpi intermedi della società. Anche
perché poi Rifondazione non farà sconti nella trattativa. Il
sindacalismo autonomo e di base non concederà tregue. E l’ultima cosa
di cui si avverte il bisogno è una replica di quella battaglia
annunciata e mai data in campo aperto, quando la Cgil di Cofferati
fermò il riformismo dalemiano semplicemente alzando un po’ la voce.