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8 Marzo 2007

I Dico tra due piazze

Autore: Francesco Merlo
Fonte: La Repubblica

Una piazza ai gay e un’altra ai preti, un carnevale colorato e un controcarnevale nero. Non era mai accaduto prima, e non solo perché le persone per bene non vanno in piazza contro gli omosessuali, contro una minoranza che, come ogni minoranza, bisogna proteggere e non decimare. Non era mai accaduto prima anche perché mai era stato rotto quel patto di civiltà fondato sul pudore che ha fatto grande la chiesa italiana. Dunque sabato a piazza Farnese si esibiscono la stravaganza e la diversità sotto le bandiere dell’Arcigay e poi, pare a fine marzo, in piazza San Giovanni assisteremo alla sfilata del luogo comune sotto le insegne o, meglio, i paramenti di Ruini. 

Prima il corteo della minoranza che chiede diritti e, fra un mese, quello di una presunta maggioranza che li nega: i canti gregoriani contro i carmina burana, l’incontro lo sberleffo. Così, per volontà dell’ormai ex capo dei vescovi, il confronto sui Dico diventa – è già diventato – uno scontro sulla sessualità, che esce dal mondo del riserbo. Non più personale diritto, non più privata e lecita base di partenza per strategie di seduzione e di coinvolgimento, ma rumore di strada, lotta tra appartenenze: hanno più diritti i maschi come Clint Eastwood e le femmine come Sharon Stone, oppure gli omosessuali come Elton John? Davvero mai la volgarità era entrata così sbracatamente in chiesa. 

Nel grande, affascinante mondo cattolico italiano, persino nei suoi angoli più retrivi, c’è sempre stato un pudore anche nella spudoratezza, magari per rispettare quel patto non scritto tra italiani che spingeva pure i miscredenti ad andare comunque in chiesa e a mandare i propri figli nelle scuole cattoliche.C’era insomma un’ombra di coscienza che da un lato rendeva odioso al sacerdote fare fino in fondo lega con la ferocia del luogo comune sessuale, e dall’altro spingeva l’omosessuale a chiedere perdono a Dio per peccati dei quali, sia pure sotto sotto, era soddisfatto. 

Nei vescovi e nei cardinali l’istinto, il buon senso e una sostanziale antica saggezza facevano prendere all’ostilità verso gli omosessuali un tono basso, molto più discreto e inoffensivo, per esempio, di quel rifiuto cinico e sprezzante che c’era nel partito comunista e di cui fece le spese Pier Paolo Pasolini, costretto a vivere la sua diversità come torbida e segreta miseria individuale, perseguitato da un’arcaica ottusità che bene è riassunta in quell’aneddoto, più grottesco che divertente, dove si racconta di un film proiettato nella storica e popolare sezione della Garbatella, con Pasolini appunto in prima fila e un pubblico tutto fatto di compagni rivoluzionari e intolleranti. Ebbene, non appena si spense la luce, partì un grido: «Frocio in sala». Al contrario, nel mondo cattolico, anche nei momenti di peggiore repressione, anche negli anni in cui fu dato l’ordine di tappare le vergogne alla Venere del Botticelli, tutti, a partire da vescovi e da cardinali, mantenevano un minimo di autocontrollo, un accenno di tolleranza nell’intolleranza che impediva di violare la sfera privatissima e di ridurre l’uomo a una pratica sessuale, e non solo perché quello dei preti, con le navi e con i collegi, è un mondo monosessuale al quale gli italiani, ben sapendo che l’amore e l’affetto sono fatti anche di fisicità, guardavano con occhio complice. Persino linguisticamente i cattolici evitavano l’asprezza fonica delle parole frocio e pederasta. Sacerdoti e vescovi avevano altri argomenti, al di la dell’uso degli attribuiti sessuali, con i quali intrattenersi con Dio. E l’Italia infatti se li immaginava a lavorare chini sulla teologia, a parlare di Assoluto, di Spirito, di Carità, a pensare in latino, in greco… 

Non a caso quella Chiesa è stata, nel bene e nel male, il riassunto dell’Italia, fondata sul pentimento e sulla saggezza intesa come superamento e non come rinunzia alle tentazioni, un’Italia che ha sempre sospettato il losco in ogni eccesso di zelo puritano, e che poi ha vissuto il suo sessantotto sessuale senza troppi eccessi, e dove la donna, intelligente e libera anche quando sono sfiorite le illusioni rivoluzionarie, è diventata padrona del suo corpo pur restando mamma e moglie cattolica e – vale la pena ribadirlo – nonostante Ruini, che è certo importante e significativo, ma non è il cattolicesimo italiano. Ebbene, proprio adesso che l’Italia cerca di emanciparsi pure sul piano dell’omosessualità, coniugando, non senza fatica anche normativa, i diritti della minoranza con i valori della maggioranza, il rispetto della Chiesa con i bisogni di libertà, proprio adesso Ruini centra sulla sessualità, etero e monogamica, il senso finale e riassuntivo del suo episcopato, del suo magistero ecclesiale. E vuole pure portare questo sesso bizantino e monomaniacale in piazza, a difesa di una virtù astratta che da molti politici viene esaltata in mezzo alla corruzione più concreta, con l’urgenza di proteggere un’anima bigotta nella quale l’Italia non si è mai riconosciuta, e un’apparenza casta, che a tutti gli italiani fa sempre pensare a qualcosa di scivoloso e di sporchetto, appunto al vizio. 

Ruini organizza la piazza perché vuole che nelle famiglie rimanga celata la diversità e la dissonanza, che l’omosessualità venga coltivata appunto come vizio nascosto, con questa idea barbara e blasfema che Dio sia maschio e il diavolo sia invece pederasta, che il diritto non sia compatibile con l’omosessualità, che ci siano dei viali di Roma dove, anche nella notte di Pasqua, è opportuno che gli omosessuali si vendano nell’inferno del vizio, mentre è sempre inopportuno che due uomini o due donne si amino alla luce del sole, ed è pagano e antiitaliano che i loro diritti di coppia siano tutelati da una timidissima legge, che non è certo rivoluzionaria. Nella tormentata storia della liberazione sessuale dell’Italia, la famiglia, se è in crisi, non lo è certo a causa degli omosessuali. Al contrario, gli omosessuali proprio perché vogliono “affamigliarsi” la rilanciano, ne accettano il codice alto che non può essere ridotto da nessuno, neppure da Ruini, alla tecnica sessuale, al modo con il quale in camera da letto si uniscono due corpi. E’ Ruini e non gli omosessuali a credere che l’uomo sia una pratica sessuale. Nessuna persona sana quando parla con qualcuno pensa alle sue parti basse e all’uso che egli ne fa. 

E l’Italia, che forse non è un paese molto morale, è però abbastanza sana: all’anarchia del vizio nascosto preferisce la civiltà dei diritti. Dunque davvero ancora speriamo che le tante, benemerite organizzazioni cattoliche italiane si rifiutino di manifestare contro la minoranza omosessuale, e di portare in piazza la difesa del vizio. Già in generale non ci piace l’abuso che in Italia si fa delle manifestazioni di piazza, non perché sediziose o minacciose ma perché prive di pensiero. In piazza non nascono ma muoiono le idee, e la solitudine è sempre consegnata alla folla, «la folla solitaria» dove ci si smarrisce e dove si smarriscono le ragioni fondanti come l’eguaglianza, la civiltà dei diritti, l’amore, la famiglia… Non ci piace in generale, la piazza. Ma, in particolare, un’adunata cattolica contro gli omosessuali ci fa venire in mente quell?altra piazza aizzata contro il Cristo che arrancava sotto la croce per arrivare al monte Calvario. Nessun organizzatore di piazze, nessun Ruini riuscirà a toglierci quel Cristo semplice che fu dileggiato in piazza proprio perché diverso. Si può essere omosessuali e non stare con Cristo, ma non si può neanche immaginare Cristo che manifesta contro gli omosessuali.