20 Gennaio 2006
I controsensi della Sinistra
Autore: Giovanni Sartori
Fonte: Corriere della Sera
I sondaggi dicono che la sinistra dovrebbe vincere (nonostante tutto) le prossime elezioni. Ma è la sinistra a dire, e a dirsi, che a forza di litigare rischia il suicidio, e cioè di perderle. Ma allora perché litiga?
Il comune elettore non lo capisce. Probabilmente arriva a capire che i partiti vorrebbero sopravvivere, mentre Prodi li vorrebbe distruggere e rifondere in un solo aggregato, il Partito democratico, e pertanto capisce che il litigio è inevitabile.
Ma perché non può essere rinviato? Mica di tantissimo; soltanto di qualche mese. Perché no? La domanda va girata a Prodi. Ds, Margherita, e via giù per li rami, vorrebbero un rinvio.
Ma Prodi li incalza: per il suo rafforzamento, il momento è ora. Il ferro va battuto quando è caldo. Quindi Prodi lo capisco. Ma non capisco la sua strategia e molte delle sue pretese. Perché spesso sta chiedendo cose sbagliate o inutili, oppure utili solo per lui.
Prodi si era preparato per una elezione maggioritaria e cioè regolata dal Mattarellum. Berlusconi lo ha spiazzato inventando un sistema elettorale proporzionale che io ho battezzato proporzionellum
per sottolinearne l’orrendezza. La realtà resta che Prodi dovrà combattere una battaglia elettorale proporzionale. Ma Prodi è tutto di un pezzo. Se il sistema elettorale cambia, lui no, lui non cambia.
E quindi la sua pretesa è che l’Unione proceda unita, e anzi sempre più unitaria, sfidando le convenienze e le regole del proporzionalismo. A me sembra una sfida stupida.
Il Polo va alle elezioni con tre punte, il che vuol dire che offre al suo elettorato la scelta fra tre partiti (Fi, An, Udc). Invece Prodi vorrebbe un monolito impersonato e imperniato su di lui.
È una strategia rischiosissima. Sarebbe molto meno rischioso, secondo me più intelligente, combattere il Polo con la sua stessa moneta, e cioè offrendo una analoga libertà di scelta all’elettorato di sinistra.
A Prodi sfugge anche che il programma «unitario» dell’Unione può soltanto essere un collage, una appiccicatura di voci discordanti.
Prodi ha rinviato il problema a una «officina», a un pensatoio non dico di massa ma che certo ignora il detto che troppi cuochi rovinano la cucina (specie quando non si ha, e Prodi non lo ha, un Escoffier).
Il che equivale a dire che al Nostro sfugge che il proporzionellum gli consentirebbe di evitare la trappola (per lui) di un massiccio programma unitario destinato a scontentare tutti.
Come gli è stato suggerito su queste colonne da Angelo Panebianco, la cosa che conta è l’indicazione di quattro o cinque cose concrete. Sì, ma Prodi ascolta solo il fido Artullo (Parisi).
Fin qui ho dato torto a Prodi. Ma anche Fassino e Rutelli hanno i loro torti. Quando Prodi li ha minacciati di presentare una sua lista, gli avrebbero dovuto rispondere: accomodati. Non si può difendere la propria identità e poi negarla ad altri.
Nei sondaggi una lista Prodi è accreditata di un 5 per cento. Se lo ha, se lo prenda. Se ha di più, vuol dire che se lo merita. Perché, signori, il 9 aprile voteremo con un sistema proporzionale nel quale il voto a Prodi non modificherebbe il totale dal quale dipende la vittoria.
Rimprovero anche a Fassino e Rutelli di giocare troppo in difesa. Alla richiesta sopraggiunta di Prodi dell’altro giorno di andare uniti in entrambe le Camere, avrebbero potuto e dovuto rispondere, secondo me, che invece conveniva uniformare le due strategie, e quindi che conveniva affrontare le elezioni a tre (quattro?) punte anche alla Camera.
Perché è vero, temo, che il comune elettore sia disorientato, molto disorientato, dallo «stare insieme» della sinistra per Montecitorio e invece «andare disunita» per il Senato.
E vengo al punto di fondo: il progetto prodiano di rifondere tutta la sinistra (o comunque il grosso del centrosinistra, Bertinotti escluso) in un unico partito, per ora denominato Partito democratico.
Avendo sempre sostenuto che la ingovernabilità dipende, in primo luogo, dalla frammentazione partitica, non sarò certo io a contrastarlo in questo obiettivo. Ma lo devo contraddire nei mezzi per conseguirlo.
Da quando il mondo è mondo, o meglio da quando esistono le democrazie, i partiti non sono mai stati uccisi dalle chiacchiere e dagli appelli, anche se fondatissimi, ma soltanto dal sistema elettorale e dagli elettori (che non li votano). Prodi non ha mai dato mostra di averlo capito. Tanto è vero che nell’opporsi al proporzionellum
ha promesso il ripristino del Mattarellum. Dalla padella alla brace e ritorno. Così la sua diventa una battaglia persa in partenza.
Il punto è, allora, che i partiti non sono fatti da soldatini di piombo che Prodi possa liquefare mettendoli in un forno.
I partiti sono piccole armate di centinaia di migliaia di persone che vivono di politica e per la politica, che servono a mobilitare il voto, e che non si faranno certo sbaraccare da una faccia feroce che glielo ordina.
Ciò detto a futura memoria, al momento la sinistra deve giocare i due mesi e mezzo che restano prima delle elezioni a palle ferme, senza nuovi assalti di Prodi e rinviando i problemi pendenti. L’elettorato non li vuole e non li capisce. Ha ragione.