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22 Marzo 2007

I comandi militari dietro l’intervento della Casa Bianca

Fonte: Corriere della Sera

Washington – — Prima e dopo la «disapprovazione»
ufficiale per la condotta dell’Italia in Afghanistan, è stata battaglia tra
i falchi e le colombe al dipartimento di Stato. Cercando di attenuare la
denuncia dei primi, un diplomatico ha precisato che il richiamo americano è
scaturito dalle ultime notizie giunte da Kabul, innanzitutto sulla
liberazione dei talebani in cambio del rilascio di Mastrogiacomo, e dalle
pressioni dei comandi militari sul terreno. E ha aggiunto che non si tratta
di Stati Uniti contro Italia, né di ingerenza politica negli affari
italiani, ma di regole di condotta per tutti coloro che lottano contro il
terrorismo.

La linea Usa è nota: si può parlare col nemico, ma non fargli
concessioni, una linea che i militari al fronte in particolare non vogliono
venga violata. Implicitamente, un richiamo anche al governo afghano. Dopo le
dichiarazioni di D’Alema che la Rice aveva mostrato una certa «comprensione»
per i negoziati su Mastrogiacomo, e dopo il positivo commento del portavoce
Sean McCormack su una conferenza per la pace in Afghanistan, sia pure senza
i talebani, la critica Usa si è comunque tradotta in un’umiliazione del
governo italiano. Il dipartimento di Stato ha aspettato che la riunione del
Consiglio di sicurezza dell’Onu finisse e che D’Alema partisse per uscire
allo scoperto ma, come hanno osservato più ambasciate a Washington, la
protesta poteva essere inoltrata solo tramite canali diplomatici.

Secondo il
conservatore Richard Perle, è stata resa pubblica per due motivi. La Casa
Bianca doveva dare prova di fermezza al proprio Paese, militari in testa;
c’erano, inoltre, pressioni dai vertici militari britannici e canadesi. In
secondo luogo, doveva rivolgere un monito agli alleati. Anche a costo di
danneggiare l’immagine della Rice, come è avvenuto. L’incidente diplomatico
è attribuibile a un colpo di coda dei falchi. In ritirata
nell’amministrazione — il mese scorso lasciò il dipartimento di Stato il
capo del disarmo Robert Joseph, contrario all’apertura alla Corea del Nord —
i falchi combattono una battaglia di retroguardia a volte vincente. Alla
Casa Bianca il vicepresidente Cheney, il vicedirettore del Consiglio di
sicurezza nazionale J.D. Crouch e lo stratega della democrazia globale
Elliott Abrams intervengono spesso nella gestione della politica estera. Si
ignora se si siano mossi di persona o se l’iniziativa sia venuta dai loro
uomini al dipartimento di Stato, come Eliot Cohen, consigliere della Rice,
ma mentre D’Alema parlava all’Onu è nata la decisione di rettificare il tiro
sul rilascio di Mastrogiacomo e la Conferenza di pace. Non si doveva
lasciare briglia sciolta agli alleati. L’Italia poteva essere un esempio.

L’amministrazione giustifica la stilettata con la necessità di non
legittimare i talebani, un messaggio che sembra abbia trasmesso in via
riservata a Karzai, ricordandogli che non potrebbe sopravvivere senza gli
Usa. Ma l’incidente non è il primo — basta pensare alla lettera
dell’ambasciata americana a Roma sull’Afghanistan — e suscita un
interrogativo: perché tante pressioni sull’Italia? Il presidente Bush pare
rimpiangere l’appoggio acritico del governo Berlusconi e a un anno dalle
elezioni di Prodi non ha ancora fissato la data di un incontro con lui.