Il “numero” di Emma Bonino precipita con gran fracasso sulla estenuante trattativa per la riforma delle pensioni: il ministro radicale rimette il mandato al premier, chiedendogli di decidere se l?esecutivo è in grado di procedere nella direzione riformista, oppure se è ostaggio delle «posizioni conservatrici se non reazionarie della sinistra comunista e di alcuni leader sindacali». Poiché la proposta di riforma di Prodi non è ancora calata sul tavolo (la si attende entro la fine della settimana), la mossa della Bonino ha un contenuto prevalentemente simbolico e una valenza largamente tattica.Ciò nondimeno, è chiaro che con il suo messaggio a Prodi, rimettendo il mandato ministeriale e chiedendo non troppo retoricamente una dichiarazione di fiducia “riformista”, il ministro del commercio internazionale ha approfondito il solco, o la frattura, cicatrizzata dalle 281 pagine del programma, che attraversa il centrosinistra.
La riforma del sistema previdenziale era ad un bivio. Per ammorbidire lo scalone della riforma Maroni erano possibili, e politicamente trattabili, due soluzioni: l?ammorbidimento dello scalone con tre “scalini”, in modo da portare in modo graduale l?anzianità da 57 a 60 anni; oppure cancellare questo aspetto della riforma del centrodestra, limitando l?innalzamento dell?età pensionabile a 58 anni, e affidando al sistema delle quote (la somma dell?età anagrafica e dell?anzianità di lavoro) il compito di elevare nel tempo l?anzianità pensionistica. Ipotesi che sembra ormai prevalere. Su questo punto, Prodi sta cercando di risolvere un enigma reso complicatissimo dal numero e dalla qualità dei soggetti in gioco.
Da un lato deve trattare diplomaticamente con la sinistra oltranzista, del tutto insensibile al tema del “patto” generazionale, e che anzi denuncia come un imbroglio le tesi di coloro che «mettono i giovani contro i vecchi». Dall?altro il premier deve gestire la concertazione con i sindacati, quella concertazione che fu scelta esplicitamente come metodo di governo. Le interferenze fra questi due livelli di trattativa sono potenzialmente infinite, dato che nel vivo della trattativa il sindacato è sempre a rischio di sorpasso da parte dei partiti della sinistra radicale. Bastano questi cenni per capire come il quadro sia complicato, sia dal punto di vista tecnico sia in prospettiva politica. Ma il contropiede della Bonino espone un altro cruciale fronte di conflitto, quello fra i liberal-riformisti e la galassia di partiti a sinistra dei Ds.
Ora, Prodi non poteva fare altro che ribadire la sua fiducia nel ministro radicale, giurando che «come sempre» si troverà una mediazione utile ed efficace fra posizioni diverse: «Riusciremo a coniugare il rigoroso rispetto dei conti pubblici con la necessità di dare ai cittadini un sistema pensionistico più equo e giusto». Prodi naturalmente fa il suo mestiere. È arrivato a Palazzo Chigi proprio sulla base dell?«alleanza larga», dall?Udeur al Prc, e in seguito ai compromessi cristallizzati nel dettagliatissimo programma di governo. Dove nel caso delle pensioni si sosteneva che lo scalone era iniquo, e quindi andava superato, ma nell?ambito di una riforma della previdenza capace di dare una risposta all?invecchiamento della popolazione. E quindi Prodi media, tratta, negozia, concerta, cercando una coperta che si stenda su tutti i soggetti in gioco.
Oggi sulle pensioni, domani sulla legge finanziaria, sulla spesa pubblica, sulla legge elettorale. L?impresa a lungo andare potrebbe essere irrealizzabile anche per una personalità ostinata come Prodi. Ma l?exploit della Bonino ha un contenuto politico che prevale largamente sul contenuto empirico e sulla dichiarazione di intenti riformatori. Secondo una visione ottimistica, servirà a riequilibrare una situazione in cui il potere di veto da parte della sinistra più oltranzista trova continue occasioni per manifestarsi. Tuttavia è difficile essere ottimisti nelle condizioni in cui si trova il governo, testimoniate dai sondaggi e aggravate a dismisura dalle difficoltà numeriche in Senato. Tanto più che il conflitto, o se si vuole l?attrito, fra sinistra liberale e sinistra massimalista è diventato un terreno in cui si stanno provando le capacità di manovra di protagonisti fin troppo numerosi.
Finora l?affondo più spettacolare l?ha portato Francesco Rutelli, con il “manifesto dei coraggiosi”, con il quale ha chiarito la tesi per cui se l?Unione dovesse finire in una impasse in seguito ai veti comunisti, niente vieterebbe la ricerca e il perseguimento di alleanze «di nuovo conio», ossia orientate verso il centro del sistema politico. Non sono mancate prese di posizione pesanti, come quella di Lamberto Dini, che ha minacciato la sua dissociazione nel caso di una riforma che tradisse la logica di quella realizzata dal suo governo nel 1995. Sono arrivati gli annunci più o meno minacciosi di Mastella sulla giustizia, e di Di Pietro su un?ampia serie di temi. E nel frattempo regna un?incertezza sovrana su temi come la riforma della legge elettorale, con una specie di via libera da parte di Piero Fassino al cosiddetto sistema tedesco, cioè a un sistema proporzionale con sbarramento, che in sé e per sé ha tutta l?aria di essere il terreno di coltura di accordi postelettorali, e quindi la negazione esatta del rigido schema bipolare in vigore. Insomma, l?irrituale mossa della Bonino è tutto fuorché una iniziativa estemporanea.
Il ministro della Rnp ha messo il dito proprio nella contraddizione fondamentale dell?Unione, con uno di quei gesti esemplari tipici della platealità radicale. Ma prima di chiedersi quali saranno le conseguenze di questa sua iniziativa, e del
cabotaggio centrista a cui si sta assistendo, è il caso di chiedersi banalmente se ci sono effettive possibilità di un cambio in corsa dell?alleanza di governo. Cioè con il coinvolgimento dell?Udc di Pier Ferdinando Casini. La risposta è no: con i voti dell?Udc non si sostituisce Rifondazione comunista. E quindi lo scopo del dibattito attuale, di queste aperture vere e finte, di queste manovre più o meno false, non dovrebbe riguardare questa legislatura. Riguarda invece un discorso di fondo,
relativo al sistema politico nel suo insieme, con l?ipotesi di un centrosinistra meno condizionato da sinistra, e con un centro che si porrebbe l?obiettivo di scomporre anche qualche frazione del centrodestra.
Alla fine, viene sempre fuori l?idea dell?Italia volonterosa, che supera i vincoli del bipolarismo «che ha fallito», e che guarda a un centrosinistra «nuovo», al taglio delle ali, a una ridefinizione del format politico complessivo. È un?ipotesi legittima, ma implica il ritorno a un?area predefinita di governabilità. Conviene prendere il gesto della Bonino come un invito a Prodi perché faccia il tentativo, forse estremo, di riequilibrare la coalizione. Perché nel caso opposto sarebbe un altro riconoscimento che non rimane altra via se non cambiare schema, e si tratterebbe solo di decidere come rinunciare al principio dell?alternanza.