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20 Settembre 2005

Giustizia, l’ultimo assalto

Autore: Carlo Federico Grosso
Fonte: La Stampa

IERI gli avvocati iscritti alle Camere penali hanno scioperato contro il disegno di legge cosiddetta ex Cirielli, diretto ad abbreviare drasticamente i termini della prescrizione del reato. A ragione. Se fosse approvata definitivamente dal Parlamento, la ex Cirielli si abbatterebbe come un maglio, con effetti dirompenti, su una giustizia penale già ampiamente disastrata.


E’ vero che la giustizia in Italia è di una lentezza esasperante, e che occorre trovare modi e strumenti per rimediare a tale situazione. Non ha senso condannare o assolvere un imputato sette, otto, nove anni dopo la commissione del reato. Già Beccaria insegnava, agli albori del diritto penale moderno, che per risultare efficace la pena non deve essere, d”altronde, necessariamente dura, ma deve essere applicata celermente e con inflessibilità. Il contrario di quanto oggi accade.


Approvare la Cirielli accorciando i termini della prescrizione senza incidere sui meccanismi del processo penale costituisce tuttavia il massimo della aberrazione. La inevitabile durata del processo determinerebbe pressoché inevitabilmente l”estinzione del reato, e di conseguenza l’impunità dell”imputato. Il processo penale rischierebbe di trasformarsi in una farsa, o quantomeno in un inutile rito dall’epilogo quasi sempre scontato.

Sarebbe probabilmente la fine della giustizia penale. Ben più, dunque, di una amnistia mascherata, come ha sostenuto qualcuno, perché la amnistia interviene una tantum cancellando il passato criminale. Nel caso di specie avremmo invece una prescrizione destinata a riproporsi all’infinito, o quantomeno fino a quando si riuscisse ad accorciare i tempi del processo.


Poiché pare impossibile che una classe politica, per disastrata che essa possa essere, non si renda conto dell”assurdo, viene il sospetto che alla radice della decisione della attuale maggioranza parlamentare di portare avanti a tutti i costi il disegno di legge ex Cirielli vi sia il dolo. Tanto più che nei mesi passati la riforma ha incontrato preoccupate pubbliche censure dai vertici della magistratura, dai più autorevoli professori di diritto penale nonché dagli avvocati penalisti più sensibili ai problemi della giustizia.


E” d”altronde notorio, non fosse altro perchè è stato dichiarato senza pudore da taluno dei proponenti, che sullo sfondo della disciplina all”ordine del giorno dei lavori della Camera dei Deputati ci sono le difficoltà giudiziarie di taluni imputati eccellenti, già condannati a pene detentive non lievi con sentenze non definitive. Ed è, per qualcuno che conta nel Paese, evidentemente problema non da poco.


Al di là della sua palese assurdità logica, sul terreno specificamente giuridico la legge che la Camera si appresta a discutere appare d”altronde viziata da plurimi profili di non ragionevolezza. Non è ragionevole che si ipotizzi una drastica riduzione dei tempi della prescrizione per ogni tipo di reato, senza avere agito preventivamente con strumenti adeguati per abbreviare la durata dei processi penali.

Non è ragionevole che si ipotizzi tale drastica riduzione senza avere prima verificato, con analisi appropriate, l”incidenza della nuova disciplina sulla sorte dei processi penali in corso e futuri. Non è, soprattutto, ragionevole che fra le disposizioni transitorie si stabilisca espressamente che essa dovrà essere applicata anche ai processi in corso, compresi quelli già definiti con sentenza di primo o di secondo grado.


Non so se vi sia ancora spazio per una sia pure tardivo ripensamento a livello di maggioranza parlamentare. A giudicare dalle vicende legislative in materia di giustizia penale che hanno segnato la quattordicesima legislatura le speranze mi sembrano scarse. Gli auspici sono probabilmente altri. Che il clima politico possa cambiare. Che la legge, ove fosse effettivamente approvata, sia riconosciuta illegittima dalla Corte Costituzionale in forza del principio di ragionevolezza, ispiratore di ogni sistema giuridico liberal democratico.