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17 Marzo 2005

Gioco d’anticipo

Autore: Boris Biancheri
Fonte: La Stampa

E’ legittimo chiedersi cosa abbia indotto il presidente del Consiglio ad annunciare che il ritiro del nostro contingente militare in Iraq «potrebbe cominciare a settembre», dando così per la prima volta un’indicazione di calendario che finora era sempre stata evitata, avendo preferito dire che le truppe italiane sarebbero restate fin tanto che se ne fosse ravvisata la necessità o che il governo iracheno ne richiedesse la presenza. Bush ha telefonato a Berlusconi e il presidente del Consiglio gli ha spiegato che il suo era solo un auspicio.

Non sembra infatti che le condizioni generali dell’Iraq, per lo meno nelle province dove la confessione sunnita è maggioritaria, siano migliorate nelle ultime settimane al punto da far pensare a una stabilizzazione in tempi brevi. Neppure si può dire che le elezioni del 30 gennaio, pur così significative nell’avvio di un processo democratico in Iraq e in tutto il Medio Oriente, diano per ora chiare indicazioni su quale sarà il futuro politico e costituzionale del Paese. I curdi infatti continuano a insistere su talune loro richieste prioritarie, quali quelle di mantenere proprie autonome forze di sicurezza, o di rimpatriare a Kirkuk i rifugiati di origine curda che l’avevano abbandonata (facendone così di nuovo una provincia a maggioranza curda), o di limitare nella costituzione il riferimento alla religione come fonte normativa. Gli sciiti a tutt’oggi le respingono, come respingono ogni tentativo di accentuare il carattere federale del futuro Stato, pur sapendo che senza l’appoggio della componente curda il Parlamento uscito dalle recenti elezioni non potrà nominare il nuovo primo ministro. Il cruciverba iracheno è dunque lontano dall’essere sciolto.

Cosa ha spinto allora il presidente Berlusconi ad usare di fronte a milioni di telespettatori un linguaggio possibilista e a introdurre la novità di una data?
L’interpretazione corrente a sinistra è che si sia trattato di una mossa calibrata sulla prossima scadenza elettorale di aprile. A dire il vero, ne dubito. Credo infatti che Berlusconi conosca troppo bene gli umori popolari per pensare che siano influenzati significativamente da una simile novità nel contesto di un’elezione regionale. Può darsi invece che, ricordando il caso Sgrena, il governo abbia voluto mettersi al riparo da nuove non prevedibili emergenze, da nuovi rapimenti, nuove minacce, nuovi atti terroristici che a loro volta comporterebbero nuove manifestazioni di massa, nuovi appelli e nuove pressioni di ogni genere affinché si decida finalmente il ritiro. Che si sia, in altre parole, preferito scegliere una data anziché rischiare di farsela imporre.

Si tratterebbe in questo caso di una profezia che si autorealizza. O, per stare ai termini della teoria matematica dei giochi, di una mossa comunque vincente: perché se in autunno la situazione irachena si fosse stabilizzata, il ritiro del contingente avverrebbe per compiuta missione; se fosse peggiorata, il ritiro sarebbe comunque inevitabile.