30 Maggio 2005
Ghigliottina per l’Eliseo
Autore: Bernardo Valli
Fonte: la Repubblica
IL RISULTATO di un referendum è brusco. Brutale. Suona come un verdetto. La maggioranza dei «No» uscita dalle urne ieri sera, attesa, quasi scontata, ma robusta (54,4 ), è stata accolta, sul momento, come una inesorabile condanna dell´Europa. Era la prima condanna, nella storia unitaria, uscita dalle trippe di un grande paese fondatore, e ha suscitato una comprensibile, forte emozione. La passione che aveva acceso il dibattito nelle settimane scorse si è riversata nelle reazioni all´annuncio del risultato. Un risultato con una precisa impronta popolare. La Francia si è mobilitata, l´affluenza ha toccato quasi un record (più del 70 ).
Non si puo´ certo negare la consistenza del rifiuto. Ma neppure l´intensità dello stupore di fronte a quel rifiuto di massa. E´ stato come se l´Europa in costruzione si scoprisse all´improvviso senza una delle sue principali colonne portanti: la Francia. Quindi si sentisse barcollante. Non pochi hanno denunciato una sensazione di vuoto. La valanga di No è stata paragonata a una mannaia che ha decapitato l´Europa. C´è chi ha parlato di una mutilazione. Altri di una diserzione. Altri ancora di un baratro. Elenco queste eccessive manifestazioni di sgomento perché rivelano che l´Europa appena maltrattata, appena punita, sta molto più a cuore di quanto il verdetto del referendum lascia pensare. Le trippe hanno reagito nei due sensi.
E adesso Anzitutto, superata la sorpresa e vinta l´emozione, va detto che i francesi non hanno respinto l´Europa ma bocciato il Trattato costituzionale che le avrebbe dato una dimensione politica più precisa. Jacques Chirac non ha perso tempo. Si è affrettato a ricordare, comparendo alla televisione, che la Francia resta fedele all´Europa, nella sua qualità di paese fondatore. Questa appartenenza non è minimamente in discussione.
Sebbene il suo ruolo non venga favorito dal risultato del referendum. Nel frattempo, nell´attesa di ridiscutere la Costituzione, l´Unione funzionerà secondo il trattato di Nizza, attualmente in vigore. Non sarà facile per Chirac assecondare nei futuri negoziati gli elettori di sinistra che hanno giudicato la nuova Costituzione troppo liberista sul piano economico e troppo avara su quello sociale; e al contempo gli elettori di estrema destra che al contrario l´hanno bocciata perché troppo invadente e irrispettosa nei confronti dello Stato nazionale.
Insieme, i due rifiuti hanno vibrato uno schiaffo che lascerà l´impronta. Non è escluso che la manifestazione di sfiducia metta in agitazione i mercati e pesi sull´euro nelle prossime ore o giorni. Essa getta soprattutto lo scompiglio nella società politica europea. Che fare La crisi covava da tempo nell´Unione. I francesi l´hanno fatto scoppiare. I motivi che li hanno spinti sono in gran parte discutibili, ma sono gli stessi che si trovano negli altri paesi occidentali.
La causa principale dell´euroscetticismo esploso ieri nelle urne risiede nella mondializzazione. In sostanza nei limiti da porre all´abbattimento delle frontiere. Il «modello europeo» non è più ritenuto capace di mantenere un equilibrio tra liberalismo economico e solidarietà sociale. Le direttive impartite dall´Unione appaiono deliranti, perché considerate di ispirazione anglosassone, e quindi impregnate di troppo liberismo, e prive di equità.
Capaci soltanto di arricchire i ricchi e di impoverire i poveri. La demagogia populista ha un vasto terreno di manovra. Durante la campagna del referendum francese ha moltiplicato i No .
Quei No hanno investito in pieno Jacques Chirac e il suo governo. Il presidente esce politicamente massacrato da questa prova che ha voluto, nella speranza di ottenere una maggioranza di Sì, e di rinverdire cosi la sua immagine in patria e in Europa.
Nell´indire il referendum egli guardava all´appuntamento decisivo del 2007, quando si terranno le elezioni presidenziali. Il risultato è stato deludente: ha provocato una doppia crisi: in Patria e in Europa. Ieri sera ha annunciato un cambio nella politica del governo, e implicitamente quella del primo ministro Raffarin, da tempo sul piede di partenza, e destinato nei prossimi giorni ad essere sacrificato sull´altare del referendum.
Ma l´uscita di scena di Raffarin era scontata e non sarà sufficiente. Già ieri sera, neppure un´ora dopo il risultato del referendum, comparendo sui teleschermi lasciati liberi da Chirac, Nicolas Sarkozy ha aperto il fuoco. Ha definito gravissima la crisi aperta dai No alla Costituzione europea e ha indicato come responsabile la politica del governo. Sgradito pretendente alla successione di Chirac, Sarkozy ha fretta, e nella sua qualità di responsabile del partito di maggioranza ha a sua disposizione molti strumenti per boicottare domani il nuovo primo ministro, e rendere sempre più difficile la vita del presidente della Repubblica. Quest´ultimo non ha alcuna intenzione di dimettersi. Non è nel suo stile.
Nella Quinta Repubblica il solo capo dello Stato che perse un referendum (sulla riforma delle regioni e del Senato nel´69) fu de Gaulle. Il quale si dimise. Mitterrand ne indisse uno, nel ‘92, per approvare il trattato di Maastricht, e annunciò che non si sarebbe dimesso nel caso avessero prevalso i No. I Sì ebbero una maggioranza risicata. E il problema non si pose.
I prossimi due anni si annunciano difficili per Chirac. Anche perché il risultato di ieri sera ha affondato la sua speranza di riproporsi nel 2007 per un terzo mandato. Il partito socialista, principale partito della sinistra, esce a pezzi dalla prova. Questo è il solo obiettivo raggiunto da Chirac. L´opposizione è in frantumi. Non ha più candidati validi, accettabili dall´insieme del partito, da presentare alle prossime presidenziali.
Dopo avere vinto tutte le elezioni amministrative negli ultimi anni, e di avere buone possibilità di conquistare la massima carica dello Stato, il partito socialista si è spaccato in due: da un lato Laurent Fabius, capo fila del No; dall´altro François Hollande, capo fila del Sì. Non sarà facile rinconciliarli. Essi figurano tra le rovine provocate dal referendum su una Costituzione, che pochi hanno letto. Conta 448 articoli e quasi cinquecento pagine.