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31 Maggio 2006

Fine di una stagione

Autore: Massimo Franco
Fonte: Corriere della Sera

L’affermazione a Milano, in Veneto e in Sicilia permette di perpetuare l’illusione di un quasi pareggio, simile a quello del 9 e 10 aprile. Ma si tratta di un appiglio scivoloso, per il centrodestra.

Rischia di travisare una realtà nella quale non è l’opposizione ad assediare il governo; sono l’Unione e l’astensionismo a circondare la ex maggioranza in gran parte del Paese.


La miscela improbabile di leghismo e sicilianità, tenuti insieme dal berlusconismo, rappresenta al massimo l’ennesima acrobazia tattica del Cavaliere; ma difficilmente può dare corpo ad una nuova strategia.

E al di là dell’imperativo di non dividersi e di non riaprire dispute sulla leadership, cresce la consapevolezza di «un Polo da rifare».


È rivelatore che lo strilli in prima pagina perfino Il Giornale. Lascia capire che non si tratta dell’intollerabile provocazione di qualche alleato «grillo parlante»: nelle viscere di Forza Italia è stata registrata e sancita la fine di una stagione.

E si avverte la necessità di aprirne un’altra dai contorni che non possono ridursi né a quelli di Silvio Berlusconi, né di Gianfranco Fini e di Pier Ferdinando Casini; e nemmeno di Umberto Bossi, costretto suo malgrado a osservare una Lega acefala.

La transizione da una monarchia declinante a una diaspora silenziosa racconta la parabola non solo di un equilibrio di potere, ma di un’identità.


Probabilmente, l’era berlusconiana stava già tramontando prima delle politiche; e solo alcuni errori marchiani commessi dall’Unione in coda alla campagna elettorale hanno risuscitato la suggestione di una rivincita impossibile, trasformandola in sfida all’ultimo voto.

Con le amministrative di domenica e lunedì scorsi, si è dissolta anche l’illusione di un ex premier formidabile cacciatore di voti: un Berlusconi capace di portare consensi con la sua sola presenza nel deserto organizzativo e politico della coalizione.

A differenza del 2001, è affiorata l’«onda corta» del berlusconismo; e ha rivelato i limiti di un intero schieramento.


Le critiche alleate alla «strategia della spallata» contro il governo di Romano Prodi evocano un malessere di lunga data; e così l’accusa di avere «sbagliato candidati a Napoli e Torino».

Ma, per quanto fondate, hanno tutta l’aria di spiegazioni parziali, che tentano di scaricare soprattutto sul leader responsabilità generali e condivise.

E appaiono così «facili», da suonare giustificatorie fino all’alibi; e dunque alla rimozione della sconfitta.

La sensazione è che nessuno, nel centrodestra, abbia chiaro il percorso da seguire: tranne, forse, Berlusconi, che però sembra essersi infilato in un vicolo cieco. E per l’immediato futuro, la strada appare obbligata quanto avventurosa.


Lo dimostra il modo in cui ieri Berlusconi si è vantato per la conferma di FI come «primo partito italiano»; e ha liquidato «il fortissimo calo dei votanti» come un fenomeno quasi fisiologico, che colpisce «le forze moderate della Cdl».

Significa che è deciso a continuare così. Almeno fino al referendum del 25 giugno sul federalismo, non potrà non replicare ed esasperare il canovaccio della sua Italia contrapposta a quella di sinistra.

Solo dopo, se anche la sfida referendaria sarà persa, si assisterà alla metamorfosi di una coalizione che ha plasmato se stessa ma anche l’opposizione: magari verso il mitico «partito unico dei moderati».


Certo, sentir dire sottovoce che il sindaco Letizia Moratti dovrebbe adottare a Milano «il modello Veltroni», dà la misura dello sbandamento.

Riflette come minimo una subalternità. D’altronde, cresce la consapevolezza di un sentiero meno breve di quanto indichi il «quasi pareggio» del 10 aprile; e il dubbio che il leader della Cdl riesca a percorrerlo con l’aura vincente del passato.

È un’incognita per tutto il sistema. Solo una crisi della Cdl permetterà di misurare la coesione dell’Unione, smentita dalle esternazioni di alcuni ministri.

A compattarla è il muro contro muro di Berlusconi. Senza di lui, non esisterebbe più il centrodestra; ma paradossalmente, forse neppure l’Unione.