2222
15 Novembre 2005

Federalisti immaginari

Autore: Massimo Giannini
Fonte: la Repubblica
Giulio Tremonti è costretto a incassare un brutto colpo dalla Consulta. Non
è la prima volta che una sentenza della Corte si abbatte come un macigno sul
bilancio dello Stato. Ai bei tempi della Prima Repubblica, quando non c´era
ancora il “vincolo esterno” dell´Europa a imporre un po´ di sano rigore
finanziario, le manovre del pentapartito venivano smontate quasi ogni anno dai
giudici costituzionali, costretti a ridurle un colabrodo dall´imperizia o dalla
furbizia del legislatore, soprattutto sul fronte della spesa previdenziale. Di
per sé, quindi, non è uno scandalo che la stessa sorte tocchi adesso all´ultima
Finanziaria del governo Berlusconi. Il fatto nuovo, e gravido di qualche
conseguenza, è che la pronuncia emessa ieri non va a toccare solo la Legge di
bilancio di un anno fa, ma anche la posta più “preziosa” dal punto di vista del
gettito, e più controversa dal punto di vista politico, di tutta la manovra di
quest´anno: i tagli agli enti locali. Una posta che vale all´incirca 3,5
miliardi di euro.

La Consulta, alla luce della riforma del Titolo V approvata nella scorsa
legislatura, ha fissato due principi rilevanti. Da un lato ha stabilito quello
che lo Stato centrale non può fare: imporre alle regioni, ai comuni e alle
province, vincoli sulle singole voci di spesa. Per questo, ha giudicato
incostituzionali, perché in contrasto con gli articoli 117 e 119 della Carta
riformata nel 2000, due norme della Finanziaria 2005, con le quali il governo
aveva obbligato gli enti locali a tagli di spesa sulle consulenze esterne, sulle
missioni all´estero, sulle spese di rappresentanza e di pubbliche relazioni
nell´ordine del 15%, e su beni e servizi (auto blu, carburanti, carta, mense e
così via) nell´ordine del 10%. Dall´altro lato, ha chiarito ciò che lo Stato
centrale può fare: imporre «principi fondamentali di coordinamento della finanza
pubblica». Per questo, sono legittimi i tetti di spesa di carattere generale, ai
quali gli enti locali si possono attenere, ma conservando una propria
discrezionalità quanto alla distribuzione dei tagli nei diversi settori
dell´amministrazione.

La sentenza è rilevante sul piano tecnico-finanziario. Apre una falla di
entità ancora non quantificabile sui conti dell´anno passato. Ma un ammanco
rischia di crearsi anche sui conti del 2006. Stando alla motivazione dei
giudici, non dovrebbero correre rischi i due tetti complessivi che il governo ha
imposto per l´anno prossimo, cioè il 3,8% sulla spesa delle regioni e il 6,7% su
quella di comuni e province. Ma nella Finanziaria all´esame della Camera ci sono
almeno altre tre norme che hanno le stesse caratteristiche di quelle giudicate
illegittime dalla Corte nella manovra 2005. Si tratta dell´articolo 1 del
disegno di legge, che al comma 6 fissa agli enti locali una spesa annua 2006 per
studi ed incarichi di consulenza esterna non superiore al 50% di quella
sostenuta nel 2004. Lo stesso articolo fissa un tetto analogo al comma 7, sulle
spese per convegni, mostre, relazioni pubbliche, pubblicità e rappresentanza, e
al comma 9 sulle spese sostenute per acquisto e manutenzione delle auto blu. è
evidente, adesso, che queste norme non stanno più in piedi. Con buona pace dei
rappresentanti della Cdl, che ora saranno costretti a rimettere mano al testo,
per non incappare nell´ennesimo strappo costituzionale. Quello della Consulta
non sarà un colpo di spugna che cancella l´intera Finanziaria. Probabilmente ha
ragione Tremonti a dire che i saldi contabili complessivi non vengono intaccati,
e che sarà rafforzato il Patto di stabilità interno. Ma resta il fatto che,
nell´aspro contenzioso che vede schierati da un mese e mezzo il governo da una
parte, i governatori e i sindaci dall´altra, questi ultimi hanno messo a segno
un punto a loro favore.

La sentenza è ancora più importante sul piano politico ­ istituzionale.
Quando i giudici arrivano ad invalidare le norme varate dal governo perché
costituiscono «un´inammissibile ingerenza nell´autonomia degli enti locali»,
svelano la palese contraddizione che ha caratterizzato l´intera legislatura del
Polo. Da una parte la retorica padana delle piccole patrie, dall´altra la fame
di risorse del solito Leviatano. Da una parte il feticcio della devolution,
dall´altra l´icona di Colbert.
Quest´ultima Finanziaria, da questo punto di vista, è un vero capolavoro di
funambolismo. La maggioranza, cui si deve una riforma costituzionale che sfascia
l´unità repubblicana, evita l´impopolarità di intestare i tagli al Welfare
all´Amministrazione centrale, e scarica la responsabilità di “tosare la pecora”
alle amministrazioni locali. Ma ora, anche grazie alla Consulta, il trucco è
svelato una volta di più. E questo sì, è un colpo al cuore alla politica del
centrodestra. Ne mette a nudo la propaganda formale, ma ne tradisce
l´inefficacia sostanziale.

Ora si discuterà a lungo se, come dicono Prodi e l´opposizione, bisognerà
riscrivere la manovra. Oppure se, come obiettano il Tesoro e la maggioranza, la
manovra resta valida e si potrà inserire tutt´al più una norma interpretativa.
Ma il punto vero non è questo. A pochi mesi dal voto, dalla Casa delle Libertà
viene giù un altro mattone. Tremonti, giustamente, ripete che non si può andare
avanti con la spesa fatta in periferia e la «presa» fatta dal centro, che così
si rompe il «circuito democratico», che ora più che mai «serve il federalismo
fiscale». Tutto vero. Ma hanno governato per cinque anni. E con la maggioranza
più schiacciante di tutti i tempi. Nel 2001 il federalismo fiscale era il loro
vessillo elettorale, il loro credo laico. Se era così fondamentale, perché non
hanno realizzato quello, invece di avvelenare l´Italia di leggi contro la
giustizia e contro il buon senso?