15 Agosto 2005
Fassino: “Telefonate senza segreti. Troppi pregiudizi contro Unipol”
Fonte: la Repubblica
CARO direttore, ringrazio Edmondo Berselli ed Eugenio Scalfari per le espressioni di amicizia che hanno voluto indirizzarmi e – in giorni in cui molti sciacalli latrano sguaiatamente – anche per il tono con cui hanno posto interrogativi con cui voglio interloquire. Parto a mia volta da una domanda: quel che accade nel sistema bancario italiano è rilevante per le prospettive economiche e finanziarie del Paese?
La mia risposta – e credo anche quella di Scalfari e di Berselli – è evidentemente sì. Abbiamo tutti salutato come un evento importante l’accordo Unicredito-Hbv, così come in questi anni ogni processo del settore bancario – dalla fusione San Paolo-Imi alla creazione di Capitalia e all’integrazione in Intesa di Cariplo, Comit e altri istituti bancari – è stato oggetto di giusta attenzione da parte di chi avesse responsabilità politiche e istituzionali.
Non dovrebbe, dunque, suscitare alcuna sorpresa che di fronte a processi di riorganizzazione che hanno investito la Bnl – la sesta banca di questo paese – il segretario del principale partito italiano senta la responsabilità di avere le informazioni necessarie a farsi una opinione. Se poi di quel processo è protagonista un’impresa cooperativa come Unipol, ai cui destini e successi è del tutto ovvio che il segretario dei Ds sia attento, a maggior ragione non ci si dovrebbe davvero scandalizzare.
“Ma che cosa si sono detti?” chiede Scalfari. A Consorte non ho chiesto niente di più che informazioni sui caratteri dell’operazione Bnl e con lui ho scambiato reciproche opinioni sulla sua evoluzione. Nessuna particolare richiesta a me da parte di Consorte; né mie ingerenze sulle scelte di Unipol.
E questa correttezza è dimostrata dal fatto che – al di là dei contatti informativi con Consorte – non c’è mai stato alcun mio contatto, né diretto né indiretto, con i tanti protagonisti delle cronache di queste settimane. Non si troveranno mai mie telefonate a Caltagirone, Fiorani, Gnutti, Ricucci, Statuto, Coppola, né al Governatore Fazio. Gli unici altri contatti li ho avuti – su loro richiesta – con Luigi Abete e Diego Della Valle che hanno ritenuto di informarmi delle loro opinioni in proposito. Dunque, l’accusa di commistione impropria è del tutto infondata e strumentale né vi è stata alcuna interferenza nelle scelte di Unipol e nelle vicende Bnl.
Per questo ho respinto con indignazione richiami alla questione morale. Per noi Ds vale quotidianamente la lezione di Enrico Berlinguer. Il fiume della politica deve scorrere nell’alveo dell’etica. E credo che il mio comportamento non si sia discostato da questo principio.
Perché allora questo polverone?
La verità è che a molti dà fastidio che Unipol possa divenire un soggetto importante del settore bancario italiano. In Italia si considera del tutto normale che possa investire nelle banche (e nei giornali) chi produce auto, chi produce scarpe e borse di successo, chi costruisce e vende immobili, chi fornisce servizi telefonici. Ma non si accetta che di una banca possa essere principale azionista Unipol cioè una compagnia di assicurazione la cui attività è assai più affine al settore bancario di quanto non lo sia produrre auto, scarpe, gomme o case. Peraltro si contesta a Unipol questa possibilità quando l’integrazione tra credito e assicurazione è in tutta Europa una costante della riorganizzazione del settore finanziario.
Giovanni Consorte
La verità è che verso Unipol vi è un pregiudizio perché è un’impresa cooperativa, espressione della più ampia storia della sinistra. E in nome di questo pregiudizio si guarda al movimento cooperativo con sufficienza, ignorando che le imprese della Lega delle cooperative fatturano 100 mila miliardi di vecchie lire all’anno, occupano 400 mila addetti (erano 200 mila dieci anni fa), sono leaders in molti settori produttivi e commerciali, sono aziende ben gestite che fanno utili e capitalizzazione e contribuiscono così alla crescita del Paese.
Una prova di questo mio dire? Si guardi ai giornali di queste settimane e si constati come Unipol – i suoi bilanci, i suoi fatturati, le sue attività, il suo assetto societario – sia anatomizzata da testa a piedi, vivisezionando ogni più piccolo dettaglio, sollevando dubbi e interrogativi spesso assolutamente irrilevanti. Mi si dirà: “è compito di un’informazione libera far conoscere”. Giusto, rispondo io, a patto che una tale attenzione, così rigorosa e minuziosa, la si applichi ogni giorno anche a ogni società che compia acquisizioni, aumenti il proprio capitale, annunci nuovi investimenti. Il che non mi pare avvenga con lo stesso “accanimento” che si applica oggi a Unipol.
Ed è conferma di questo pregiudizio anche l’equiparazione che si rappresenta ogni giorno tra Antonveneta e Unipol-Bnl, quando sono chiarissime le differenze tra le due vicende, a partire dal fatto che se il progetto Unipol sarà approvato da Consob e Bankitalia, Unipol acquisirà Bnl in primo luogo grazie alle risorse proprie e a quelle delle molte imprese cooperative impegnate nel progetto. Soldi veri e puliti.
“Sì, probabilmente hai ragione – mi dirà a questo punto Scalfari – ma Unipol frequenta cattive compagnie”. Non eludo neanche questa questione. Intanto un punto. Grazie alle intercettazioni telefoniche sappiamo tutto di quel che ha detto Consorte. Ma Consorte aveva e ha dei competitori, dei cui atti invece non conosciamo nulla. Con chi hanno avuto contatti, ad esempio, Abete e Della Valle, molto attivi nel contrastare il progetto Unipol? Sarebbe interessante conoscere anche queste conversazioni, se non altro per non subire una asimmetria informativa, da cui discende poi una asimmetria di giudizio e di valutazione sulle opzioni in campo. Vorrei essere chiaro: non sto affatto contestando il dovere della magistratura di ricorrere a intercettazioni se le ritiene necessarie per la tutela della legge; sto però sottolineando – e non mi pare problema marginale – che un’attività di indagine a competizione aperta può determinare un obiettivo vantaggio per una parte e una grave penalizzazione per un’altra. Credo che si dovrebbe quantomeno riflettere su come evitare che indagini a tutela del diritto e della legge possano essere utilizzate per fini di parte.
Quanto alle “cattive compagnie” ho già avuto modo di dire.
Proprio perché non conosco Gnutti non mi permetto di giudicarlo; ma personalmente non apprezzo i raiders e la loro spregiudicatezza. Confesso che la mia formazione torinese e fordista continua a farmi credere che impresa significhi prima di tutto investire nella produzione di beni e merci, creare lavoro manuale e intellettuale, scommettere ogni giorno su tecnologia e innovazione, valorizzare creatività e capitale umano. E, tuttavia, so anche benissimo che nell’economia moderna la finanza non è meno strategica di quanto lo sia la produzione. Basterebbe pensare a quanto sia importante il convertendo delle banche per il salvataggio della Fiat.
E, dunque, l’attività finanziaria e chi la compie ha una sua evidente legittimità. Naturalmente anche per Gnutti – come per Consorte, come per chiunque altro – devono valere regole fondamentali: rispetto delle leggi, delle regole e dei principi di correttezza e trasparenza. A chi non lo fa si applichino i rigori della legge.
Aggiungo che difendere il diritto di Unipol ad avere le stesse opportunità di ogni altra impresa, non significa evidentemente condividerne ogni singolo atto e resto convinto che quando un’impresa cooperativa stringe alleanze o intese, debba sempre assicurarsi rispetto di regole e correttezza di comportamenti da parte dei suoi partner.
E, tuttavia, una questione in più a questo punto la pongo io: ma se il panorama finanziario italiano è caratterizzato dall’attività di raiders, non è tempo di interrogarsi sui caratteri del capitalismo nel nostro paese? Ci sono e dove i capitali per sostenere una nuova fase di sviluppo? Come li si mobilita? Chi li organizza? Insomma, ci sono e dove le “buone compagnie”? Non sono interrogativi così peregrini, se un finanziere come Carlo De Benedetti proprio nelle scorse settimane ha sentito l’esigenza di rilanciare il progetto di un fondo di investimento a favore delle imprese.
Se oggi sono gli immobiliaristi a tenere la scena è solo per un destino perverso, o non è il risultato anche di una politica economica, industriale, fiscale che non è stata in grado di promuovere, sostenere e incentivare la formazione di un più dinamico capitalismo d’impresa? E allora vogliamo provare a fare le cose necessarie? Ad esempio: a separare proprietà delle banche da proprietà dei fondi d’investimento; a sostenere i fondi pensione; ad aprire il mercato a forme di venture capital; ad adottare una fiscalità che incentivi chi vuole investire e penalizzi chi vuole speculare; ad abolire lo scandalo degli scudi fiscali a vantaggio di capitali di oscura formazione.
E se è così, perché guardare con sospetto, diffidenza e pregiudizio al progetto Unipol-Bnl che punta non già a una speculazione, ma alla creazione di un polo finanziario-bancario-assicurativo che creerà valore, lavoro, investimenti e può contribuire a dinamizzare e rafforzare il sistema produttivo del nostro Paese?
Ho scritto con la consueta sincerità sapendo che, come ai miei interlocutori, quello che mi sta a cuore è il mio Paese e il suo futuro. E anche per questo – dopo avere in questi giorni spiegato ripetutamente e in più sedi le mie ragioni – io e il mio partito vorremmo adesso tornare a occuparci dell’Italia e dei suoi problemi.