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30 Settembre 2005

Fassino sbaglia a respingere la privatizzazione della Rai

Autore: Natale D'Amico, Franco Monaco
Fonte: il Riformista

Ci ha un po’ sorpreso la chiusura di Fassino all’ipotesi di una vera privatizzazione della RAI. Una privatizzazione non al modo della legge Gasparri, per intenderci. Ci ha sorpreso perché, sul finire della scorsa legislatura, nella quale l’Ulivo aveva la maggioranza, da D’Alema, Violante e Visco (purtroppo solo a  tempo scaduto) erano venute invece parole di apertura,.

Considerata la centralità del tema per lo sviluppo  economico, culturale e democratico del paese, nonché la circostanza che l’Unione, in queste settimane, è impegnata nell’avvio dell’elaborazione del suo programma, vorremmo abbozzare qualche spunto.


Intanto, il contesto e il quadro generale. Una riforma del sistema radio-tv deve proporsi tre finalità:
a) assicurare un sevizio pubblico di qualità con “l’obiettivo di soddisfare le esigenze democratiche, sociali e culturali della società e di garantire il pluralismo, inclusa la libertà culturale e linguistica” (è formula dettata dalla Commissione Europea nel novembre 2001);
b) dare corpo a un sistema competitivo e pluralistico;
c) approntare, di conseguenza, le condizioni perché sul mercato si costituiscano operatori italiani di comunicazione multimediale all’altezza della convergenza tra più settori tecnologici e capaci di stringere alleanze internazionali come richiesto dalla globalizzazione dei mercati.


Sulla strada che conduce all’ambizioso traguardo sopra tracciato, dobbiamo rimuovere un macigno: quello di una RAI che, avendo le mani legate, rappresenta più  un ingombro che una risorsa.

Una RAI così fa comodo ai suoi concorrenti e ai partiti, irriducibili nell’esercitare un controllo improprio ed asfissiante su di essa. Convergono cioè trasversalmente gli interessi delle principali forze politiche, quelli di Mediaset, nonché l’inerzia e la burocratizzazione della RAI stessa.


A trattenere la RAI, che invece potrebbe rappresentare una straordinaria risorsa, è la sua doppia  missione: di servizio pubblico e di servizio commerciale spesso tra loro in contrasto al limite della schizofrenia.


Come liberare la RAI, le sue energie, le sue potenzialità? Si richiedono due precondizioni. La prima: quella di una nitida separazione societaria (non solo contabile) tra una RAI di proprietà pubblica, dedita in via esclusiva al servizio pubblico, finanziata dal solo canone e dunque non più ossessionata o quantomeno distratta dall’imperativo degli ascolti e della concorrenza, e una RAI privata, impegnata sul fronte commerciale, finanziata dalla pubblicità, che operi sul mercato alla stessa stregua dei suoi competitori, ma finalmente su basi paritarie.

La seconda, coessenziale precondizione è quella di una disciplina antitrust del mercato pubblicitario oggi soffocato dalle posizioni dominanti del duopolio tv RAI-Mediaset e dall’esorbitante concentrazione delle risorse pubblicitarie sulle tv a discapito della stampa. 

Un disciplina cioè che assicuri l’ingresso di nuovi soggetti e che faccia cadere, per la RAI privata, il cappio del tetto pubblicitario oggi concepito come contropartita del canone.

A valle di tale separazione societaria e dell’accennata disciplina antitrust si può far cadere il vincolo del controllo del 51 % sull’intera RAI da parte dello Stato e provvedere al collocamento in borsa dell’azienda che sta sul mercato. 

Lo Stato, dunque, sarebbe al più azionista di minoranza (in prospettiva) nelle attività della RAI come tv commerciale e sarebbe invece azionista totalitario nella società RAI dedita al servizio pubblico.


Si tratterebbe di una soluzione semplice ma rivoluzionaria. Ispirata al seguente motto: più apertura al mercato e  più pluralismo; una RAI più di qualità e, insieme, più dinamica e competitiva.

Non sfuggirà la circostanza che, per questa via, si darebbe un contributo decisivo a sciogliere il nodo del conflitto di interessi. E’ chiaro, infatti, che l’attuale duopolio asimmetrico e la attuale RAI hanno rappresentato e rappresentano la stampella più robusta a sostegno di Mediaset e della sua posizione dominante.

Non è un caso che i referenti politici del partito-azienda, sedicenti liberali, siano stati e siano i più strenui avversari di una vera privatizzazione della RAI. Noi quel problema non l’abbiamo.

Dobbiamo però vincere le caparbie resistenze del “partito RAI”, il più conservatore e   trasversale a tutti i partiti, compresi quelli dell’Unione.