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9 Gennaio 2006

Fassino: “La mia verità su Ds e Unipol”

Autore: Massimo Giannini
Fonte: la Repubblica

«Sono certamente giorni amari. Forse i più amari della mia vita politica…». Chiuso nel suo ufficio a Via Nazionale, Piero Fassino respinge colpo su colpo le accuse e i sospetti sullo scandalo di Bankopoli. E grida forte il suo «non ci sto». «C´è una campagna di aggressione indecente nei nostri confronti ­ esordisce il segretario dei Ds ­ e a 90 giorni dal voto il tentativo della destra è chiarissimo. Far dimenticare 5 anni di un governo fallimentare. Occultare le responsabilità di una maggioranza coinvolta anche nello scandalo Fiorani. Delegittimare il centrosinistra, infangando il suo principale partito. Non a caso chi guida la campagna è il “Giornale”, di proprietà della famiglia Berlusconi. Lo stesso quotidiano che nel 2004 fece una vergognosa campagna su Telekom Serbia, scrivendo di conti segreti di Fassino, Prodi e Dini presso una banca austriaca. Attendo ancora le scuse. Ora adottano la stessa tecnica: provano a dimostrare che anche noi abbiamo le mani impastate con soldi loschi».

Non saranno soldi loschi, onorevole Fassino, ma qualche relazione pericolosa l´avete tessuta anche voi attraverso Consorte, no?
«Stiamo ai fatti, per favore. Per dimostrare l´indimostrabile hanno fatto ricorso a qualsiasi menzogna, chiamando in causa con riferimenti falsi prima Bersani e Visco, poi Sposetti (che ha la sola colpa di aver risanato in modo trasparente i conti dei Ds), e infine D´Alema con una provocazione indecente sul leasing per la barca. Si scrive ogni giorno che i conti esteri di Consorte in realtà sono la fonte di finanziamento ai Ds, una vera e propria calunnia di cui chiameremo in tribunale a rispondere chi l´ha scritto e continua a scriverlo. Alla fine di questa sequenza vergognosa c´è Fassino. Viene considerato una persona perbene, anche se ha un brutto carattere. E allora bisogna sporcarlo, bisogna tagliargli la faccia….»

Segretario, lei è in piena sindrome da complotto.
«No, io questa parola non la uso e non l´ho usata mai. Ma c´è un´aggressione, questa sì. Ed è un´aggressione violenta, fondata sull´odio: pur di non perdere le elezioni, sono disposti ad uccidere l´avversario politico. Così si travolge non solo un partito, ma una democrazia, si stravolgono le normali regole di convivenza civile. Negli anni ‘50 lo scontro tra Dc e Pci fu durissimo. Ma a De Gasperi e a Togliatti non è mai venuto in mente di scambiarsi la reciproca accusa di essere ladri. Per questo. oggi, io dico “no, noi non ci stiamo”. Non ci stiamo a sentir parlare di Tangentopoli, perché qui di tangenti non ce ne sono, quanto meno non ce ne sono ai Ds. Non ci sono soldi occulti. Noi non abbiamo conti in Svizzera, non li ha il nostro partito, non li ha nessuno di noi».

Quindi secondo lei il suo partito non ha nulla da rimproverarsi? Questo vuol dire?
«Io voglio dire che questo non è un partito marcio. Errori possiamo commetterne, perché siamo uomini in carne ed ossa, e nessuno di noi, tanto meno io, ha l´idea dell´infallibilità. Discutiamo pure degli errori. Ma deve essere chiaro che noi non accettiamo nessuna campagna di delegittimazione morale e politica».

E allora discutiamone, di questi «errori». La sua telefonata con Consorte è stata un errore?
«Proprio quella telefonata (pubblicata in modo illegale, visto che in America, per molto meno, Nixon è arrivato all´impeachment) conferma la assoluta mia buona fede. La notizia di questa conversazione era già venuta fuori in estate. Tanto che Scalfari, in un bell´articolo del 14 agosto, chiese direttamente a me: che cosa si sono detti Fassino e Consorte? Io, il giorno dopo, scrissi una lettera a Repubblica, nella quale riferivo: “A Consorte non ho chiesto niente di più che semplici informazioni sul carattere dell´operazione Bnl”. Cinque mesi dopo, la lettura dell´intercettazione telefonica conferma quanto io sia stato sincero allora: mi sono limitato a chiedere notizie a Consorte, tra l´altro su fatti già avvenuti. Non c´è stata da parte mia una sola parola sulle scelte future dell´Unipol. E´ stata una pura telefonata informativa».

Proprio questo è il problema. Perché il partito si informa su come va un affare di una società quotata in Borsa?
«Perché tutto quello che succede oggi dimostra che quelle vicende non avevano solo un rilievo bancario, ma avevano anche politico, come dimostrano i veleni di questi giorni. Quindi, allora, era del tutto ovvio che il segretario del principale partito si informasse su cosa succedeva. E poi c´è un altro aspetto: io ho chiesto informazioni a Consorte, ma non si troverà mai una mia telefonata a Fazio, a Fiorani, a Caltagirone, a Ricucci. Il che conferma che non c´è stata nessuna forma di interferenza da parte mia. Perché in questo caso sì, il mio comportamento sarebbe censurabile. Ma questo non è accaduto».

D´accordo. Però c´è stato, da parte sua, un eccesso di «partecipazione». Perché dire «abbiamo comprato una banca»?
«Chiariamo anche questo, una volta per tutte. Io ho sempre rivendicato, per il movimento cooperativo, non privilegi ma uguali diritti e uguali opportunità rispetto a qualsiasi altra impresa. Ezio Mauro, in un articolo di tre giorni fa, ha scritto: “Vogliamo essere sicuri che i Ds non pensino che il movimento cooperativo debba essere il figlio di un dio maggiore, protetto e benedetto da una grande forza politica”. Io sono perfettamente d´accordo. E infatti ho sempre chiesto che il movimento cooperativo non venga considerato figlio di un dio minore. E non l´ho fatto per un interesse personale dei Ds, come si vuol fare credere. L´ho fatto perché parto dall´idea che il movimento cooperativo è un pezzo molto importante dell´economia italiana. Sulle prime 100 aziende per fatturato, 30 sono imprese cooperative. La stessa Unipol è diventata, diretta da Consorte e non da altri, la terza assicurazione del Paese».

Nessuno mette in discussione il diritto a competere delle coop.
«Lo dice lei. Si vada a rileggere le parole del presidente della Confindustria Montezemolo, che ad agosto ha dichiarato “cosa c´entrano le coop con le banche? Si occupino dei supermercati…”. Bene, questa frase è la dimostrazione di un fastidio. Le imprese cooperative vengono considerate come “intrusi”. E io a questo non ci sto. Per questo rivendico il mio diritto ad aver fatto il “tifo”. In un mondo di furbi, io preferisco essere tifoso che cinico. E comunque, se tutto questo pandemonio contro i Ds deriva dal fatto che ho tifato, allora per tagliarla corta dico: bene, ammetto la mia “responsabilità”. Ho tifato. E se questo è stato fonte di equivoco me ne rammarico. Ma adesso, per favore, la piantiamo lì?».

Non prima di aver speso una parola su Consorte. Perché non riuscite a prendere fino in fondo le distanze da questo manager?
«Su questo certo occorre fare una riflessione. Sono emersi fatti sui quali non possiamo chiudere gli occhi: conti esteri, con depositi illeciti che poi sono stati condonati con lo scudo fiscale di Tremonti, consulenze equivoche, alleanze discutibili, commistione tra interessi privati e interessi societari. Non spetta a me pronunciarmi sul profilo giudiziario di questi comportamenti, ma alla magistratura. Mi auguro che Consorte dimostri l´assoluta liceità di tutto questo. Ma una cosa la voglio dire con chiarezza: non c´è dubbio che questi sono comportamenti del tutto estranei ai nostri valori e alla nostra storia. Tanto più per chi opera in un´organizzazione come il movimento cooperativo, che nasce e vive per affermare finalità solidaristiche. Nessuna società vive senza etica. Per noi questa è una regola irrinunciabile. E quando viene violata il nostro giudizio non può che essere severo e netto, e la presa di distanza assoluta».

Permette, segretario? Finalmente una parola chiara. Ma adesso, come ha detto Prodi, il problema è riscrivere le regole per evitare che certi errori si ripetano.
«Infatti, di questo dobbiamo discutere, e chiederci per quale ragione si sia allentata la capacità da parte di tutti, e anche nelle nostre file, di far prevalere quei principi etici e quel rigore che sono essenziali perché una società possa vivere. Questa questione chiama in campo temi molto più complessi. Per esempio, un primo tema è: qual è oggi il rapporto che siamo capaci di stabilire tra il solidarismo, che ispira la nascita e la vita di un´impresa cooperativa, e un mercato con cui ormai anche la cooperazione deve fare i conti? Qui c´è stato e c´è un deficit di riflessione di tutta la sinistra».

Poi c´è il tema del collateralismo, caro a Rutelli.
«Guardi, il collateralismo è finito da anni. Più attuale, invece, è secondo me il tema della governance. Le vicende di questi mesi hanno fatto emergere un puzzle di incroci, patti, contropatti, concertazioni. Tutto questo non l´ha inventato solo Consorte. E allora mi chiedo: non è forse questa una patologia che rischia di intaccare il capitalismo italiano? Non c´è qualcosa di sbagliato nel fatto che ormai spesso basta comperare il 2% di una società per controllarla? Che i patti di sindacato sono sempre di più dei circoli chiusi impenetrabili? Vogliamo affrontare il nodo del rapporto tra banche e imprese? Vogliamo risolvere seriamente il rapporto tra privatizzazioni e liberalizzazioni, visto che in questi anni, come dimostrano i casi di Enel e Telecom, abbiamo creato monopoli o oligopoli di tipo privatistico non dissimili da quelli pubblici, con un intreccio con il potere politico e istituzionale analogo. Se questi sono i nodi, qui c´è una responsabilità di tutti: di chi governa e di chi è all´opposizione, di chi è impresa e di chi è politica».

Per la politica c´è una responsabilità in più. E in questo voi avete palesato qualche difficoltà a gestire il rapporto con l´establishment.
«Sono assolutamente convinto, e non da oggi, che i comportamenti di chi ha una responsabilità pubblica non possono essere determinati solo dal rispetto della legge, ma anche da principi deontologici e da valori morali. Servono strumenti per sostenere tutto questo? Benissimo, diamoceli. Per esempio, propongo per la prossima legislatura il varo di un codice etico del parlamentare. E alla direzione del mio partito, mercoledì prossimo, proporrò la nomina di un´autorità di garanzia di 5 personalità neutrali, a cui sottoporre ogni anno il nostro bilancio e ogni nostra attività finanziaria. Spero che anche gli altri partiti facciano altrettanto».

C´è un altro sospetto, che aleggia intorno alla Quercia. Fassino e D´Alema, ormai, hanno due linee diverse. Nega anche questo?
«Certo che lo nego. È un´altra delle tante cattiverie e dei tanti tentativi di dividerci e di seminare zizzania tra noi. Al di là della differenza di carattere, che per altro di entrambi non è il migliore, il rapporto tra me e D´Alema è solido e saldo, perché c´è una condivisione politica e una storia personale comune. Ripeto quello che dissi concludendo la conferenza programmatica di Firenze: noi non ci divideremo e non ci faremo dividere».

Eppure, da Pansa ai girotondi c´è chi chiede a lei e a D´Alema di fare un passo indietro.
«Veniamo da quattro anni di successi elettorali. E adesso abbiamo la possibilità di mandare a casa Berlusconi: una cosa impensabile nel 2001. Tra tre mesi si vota: adesso a ognuno di noi è richiesto di stare in campo per vincere. E, in ogni caso, chi mi conosce sa che in 35 anni di responsabilità politiche non sono mai stato incollato alle sedie su cui ero seduto».

Insomma, Fassino al contrattacco. Ma basterà a calmare le acque, in vista della direzione dell´11 gennaio?
«Non sono arroccato in nessun bunker. In direzione discuteremo in modo libero e aperto, come sempre accade nel nostro partito, e sono sicuro che con il contributo di tutti invieremo un messaggio forte al Paese. E anche adesso voglio rivolgermi ai nostri alleati e alla nostra gente. Ai nostri alleati dico: ho apprezzato la misura con cui molti si sono espressi in queste settimane. E li ringrazio. Ma a loro vorrei ricordare che questo è anche un interesse comune, perché chi in questo momento attacca i Ds vuole mettere in crisi l´intera alleanza. E infine voglio dire alla nostra gente: colgo tutta l´ansia di cui è pervasa. Ma voglio dire ai nostri elettori e agli italiani: siate sicuri, noi siamo gente perbene».

Non tutti ne sembrano convinti, se siamo arrivati al punto di rievocare Berlinguer e la «questione morale».
«La lezione morale e politica di Berlinguer vive in noi ogni giorno. Per i comportamenti che abbiamo, per l´idea della politica che abbiamo, per come la viviamo tutti i giorni, per come cerchiamo tutti i giorni di servire il nostro paese. L´obiettivo di dar vita a un grande partito riformista e democratico in Italia non è, neanche per un istante, uno smarrimento della nostra identità, dei nostri valori, del nostro rigore, della nostra tensione morale. Io posso guardare negli occhi qualsiasi italiano. E noi tutti possiamo continuare a combattere a testa alta, perché chi vuole travolgerci non passi. E perché tra 90 giorni si raggiunga quell´esito elettorale per cui abbiamo lavorato con passione e fatica in questi lunghi 5 anni».