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7 Giugno 2005

Fassino e Ferrara tra cori e fischi così va in scena l’embrione-show

Autore: Filippo Ceccarelli
Fonte: la Repubblica

IN FONDO si poteva anche far pagare il biglietto, ieri pomeriggio, per il gran teatro bio-politico pre-referendario messo in scena da Piero Fassino e Giuliano Ferrara al residence di Ripetta davanti a una platea inusitatamente passionale e compostamente ruggibonda, per lo più costituita da militanti diessini della zona centro e attivisti del Movimento per la Vita. Ma niente cori da stadio, per una volta, né insulti. Eppure Fassino ha esordito dando all’avversario del “laico integralista”.

Ferrara ha incassato con stile, giusto un’alzata di sopracciglia; quindi perfino educatamente, quand’era il suo turno, gli ha replicato: “Laico gesuita” (per via degli studi dai reverendi padri, che Fassino ha subito rivendicato “con orgoglio”). E via, per quasi due ore, senza un minuto di noia, lungo un percorso scenico e argomentativo che mai come in questo caso si è potuto giovare del gioco dei contrari. Fassino secco e ispirato, Ferrara grasso e scettico, l’uno rassicurante, l’altro affascinante, e insomma: Torino e Roma, il gelo e l’afa, Apollo e Dioniso, la notte e il giorno, il sì e l’astensione. Sullo sfondo, il conflitto del passato e del futuro: l’aborto. E non c’erano contendenti più giusti e civili, meno aggressivi e incattiviti di loro due, perché certi temi rifuggono dai ludii gladiatori.

Stakanovista di notoria efficacia, sui nodi dell’odierna contesa referendaria il segretario Ds ha mostrato competenza tecnica assoluta: dalla Convenzione di Oviedo al ministro della giustizia tedesco, passando per il pluricitato San Tommaso, si è soffermato con estrema cognizione di causa sui protocolli della ricerca scientifica o le conseguenze della diagnosi pre-impianto. Tutto mirabilmente orientato in una logica di concretezza, buonsenso, fiducia nei progressi della scienza, ma anche umanità: “Se fare un figlio è un atto d’amore, non c’è nessuno che fa la fecondazione assistita perché vuole scegliere il colore degli occhi del bambino”.


Il direttore del Foglio non s’è lasciato impressionare. Maestro di sarcasmi, amante delle evocazioni e dei paradossi, ha convocato dalla sua il poeta Kavafis, Goethe, Philip Dick, l’antico slogan con cui il movimento delle donne caldamente invitava a guardarsi “a vista/ dal maschio femminista”. Ha indugiato su un certo monaco domenicano che gli ha fatto vedere i “salmi deprecatori”, in pratica le maledizioni consentite da Santa Romana Chiesa. Fino all'”a solo” risolutivo contro il mito del figlio sano e perfetto a tutti i costi: “Io ho il diabete, io ho la fibrillazione cardiaca, io ho l’obesità, io sono uno che nel 1952 l’avrebbero cancellato!”.

Applausi. Non c’era oltretutto l’arbitro, o il moderatore che dir si voglia. Incastonati l’uno a fianco all’altro entro una specie di siparietto rinascimentale, tra colonnine di marmo e con un bel mazzo di fiori alle spalle, i due mattatori hanno fatto tutto talmente bene da soli che dietro all’indubbio spettacolo, alla fine, là dove per forza di cose questo andava sfumando nel più prevedibile ed estenuato embrion-show, ecco, a sorpresa è ricomparsa addirittura la politica.

Quella vera: in diretta, carne e ossa, problemi autentici o comunque sentiti come tali, interruzioni del pubblico, rispostacce da mestieranti del comizio (“Voce!” gridavano a Ferrara, “Orecchio!” rispondeva lui come Emilio Lussu), e poi sudori, pallori, arrossamenti, punzecchiature, cavalleria, colpi bassi, eppure mai troppo bassi, demagogia e raziocinio quanto è giusto se ne sprechino nel duello fra due personaggi che si conoscono da più di trent’anni.

E comunque: quanto è cambiata la politica, veniva da esclamare pensando al Pci di Torino, dove entrambi si ritrovarono nei primi anni Settanta. Rapporto complesso, il loro, una specie di amichevole rivalità fatta di lieta sintonia e rancoroso contegno, su cui hanno scritto Pino Nicotri in “L’arcitaliano Ferrara Giuliano” (Kaos, 2004) e lo stesso Fassino nella sua autobiografia “Per passione” (Rizzoli, 2003). Così, per dire la vertigine del mutamento, ieri i 61 licenziamenti Fiat, il terrorismo, la marcia dei quarantamila e oggi l’infertilità, l’iperstimolazione ovarica, la “diade” madre-figlio, la salute individuale e la malattia.

E dopo tutto è stata un’ottima scuola per tutti e due, quel Pci. Un luogo, se non altro, che ha permesso esiti così diversi da risultare, a distanza di tanto tempo, addirittura complementari. Ecco dunque Fassino che prende diligentemente appunti, mentre Ferrara tira fuori un pezzo spiegazzato di giornale; ecco Fassino che, l’indice sopra la testa, zittisce a una signora urlante: “Mi lasci parlare!”, mentre Ferrara, quasi godendo per gli ululati che lo sommergono: “Abbiate pazienza, state bboni!”.

Chi ha vinto, infine? In prima fila c’era, fremente ma assai compito, Marco Pannella. Giurato non imparzialissimo perché schierato: “Atleticamente ha dominato Piero perché più incalzante e preparato. Certo, Giuliano è come un vecchio pugile che ha mestiere e così ogni tanto piazzava qualche botta”. La più bella, naturalmente, è surreale e gli è venuta quando Piero, con un fervore che suonava un po’ troppo automatico, ha proclamato: “Io domenica vado a votare e voto quattro Sì”. E allora Giuliano, immobile e incredulo: “Ma va?”. Un bel pari, insomma. Buono spettacolo, buona politica e buona notte a Porta a porta.