Comincerà lunedì 26 febbraio alla
Camera – non in commissione com’era stato ventilato – la discussione
parlamentare sul decreto di rifinanziamento della missione italiana in
Afghanistan. La notizia è giunta ieri, dopo la riunione dei capigruppo, e non
ha turbato troppo le intenzioni del ministro della Difesa, Arturo Parisi.
Per il titolare di via XX settembre che gli impegni
dell’Italia sul piano internazionale non possano essere messi in discussione ogni
quindici giorni è un principio “elementare”, oltreché il leit motiv dei più
recenti colloqui. Lo ha ribadito nell’ultimo vertice di maggioranza a Santi Apostoli,
la settimana scorsa, preludio dei contatti con i segretari di partito con i quali
sta cercando di superare le resistenze di quei deputati – di Rifondazione,
Pdci, Verdi e qualche ds – che a Montecitorio vorrebbero riscrivere il decreto
eliminando l’aggettivo “militare”.
“In gioco coerenza e linearità dell’Italia”,
insiste Parisi. I suoi più stretti collaboratori dicono che un professore
laureato con una tesi in dottrina dello stato, non riuscirebbe a digerire
“stravolgimenti al decreto”. Una posizione che ha anche altre paternità finora
strategicamente smorzate da Parisi: dall’Afghanistan il ministro continua a
ricevere segnalazioni dalla provincia di Farah, da tempo teatro di scontri
provocati da infiltrazioni talebane, dalla vicina provincia di Hellmand e anche
da Herat, al centro di crescenti tensioni, come dimostra l’attentato suicida del 30 gennaio contro un
convoglio dell’esercito afghano vicino all’aeroporto presidiato da soldati
italiani e spagnoli. Avere notizie militari dall’area è quasi impossibile.
La Difesa ha vietato ai vertici di parlare della missione e
i giornalisti non sono autorizzati a seguire il contingente che a Herat schiera
un ampio dispositivo di forze speciali e tre elicotteri da trasporto Ch-
di reazione italo-spagnola. Secondo indiscrezioni, uomini e mezzi sarebbero
stati impiegati in combattimento ma il loro numero non è sufficiente per
controllare un territorio tanto vasto.
Aggiustamenti o stravolgimenti? Sul piano
formale le truppe italiane hanno le stesse regole d’ingaggio degli altri
contingenti della Nato, cioè quelle che consentono di condurre attacchi
preventivi contro le milizie talebane. Ecco perché, secondo l’entourage di
Parisi, in Aula saranno da lui tollerate – e naturalmente dal presidente del
Consiglio, Romano Prodi, e il ministro degli Esteri, Massimo D’Alema – soltanto
proposte di miglioramento o, come le chiamano in via XX settembre, “di
aggiustamento”. Ecco perché se il decreto subisse parziali modifiche non
sarebbe una sorpresa. Si parla dell’inserimento della conferenza di pace
internazionale nel testo, idea rimasta finora soltanto un comune auspicio.
C’è una diga da difendere. Trecento royal
marines britannici del 42° Commando e truppe afghane hanno disperso i 700 uomini
di al Qaida penetrati dal Pakistan per attaccare la diga di Kajaki, che offre elettricità
a quasi due milioni di persone.
Nelle ultime settimane la zona di Kajaki è stata teatro di
scontri fra i talebani e le truppe britanniche impegnate anche a Gereshk e Musa
Qala, dove sono stati uccisi una cinquantina di ribelli. Il governatore di
Helmand, Asadullah Wafal, aveva denunciato l’ingresso di miliziani pachistani, uzbeki
e ceceni.
I contributi degli altri paesi europei. La Germania,
che schiera tremila militari nel nord dell’Afghanistan, ha deciso di inviare cinquecento
aviatori e sei bombardieri Tornado “ricognitori”, cioè senza compiti di
bombardamento. Ottanta carri armati tedeschi Leopard 2 entreranno però in azione
contro i talebani nella provincia di Kandahar: mezzi surplus della Bundeswehr
acquistati dalle forze armate canadesi per garantire maggiore protezione ai
2.500 soldati nel sud. La Repubblica ceca allestirà un ospedale da campo a
Kabul, la Grecia fornirà elicotteri, la Spagna alcuni velivoli. La Francia
offre tre nuovi cacciabombardieri Rafal, la Polonia fornirà 900 soldati e la
Slovacchia porterà da
200 fanti il suo contingente. La Norvegia invierà 150 membri delle forze
speciali a Kabul.