ROMA — Volevano colpire Pietro Ichino. Così come sono stati uccisi Ezio Tarantelli, Massimo D’Antona, Marco Biagi. Economisti e giuslavoristi, uomini-cerniera tra società e sindacato.
Perché?
«Perché — risponde il segretario generale della Cgil Guglielmo Epifani — nella loro follia, e di questo si tratta, si individua in questo ruolo- cerniera il punto di raccordo che dà sbocco ai problemi che ci sono, che dà soluzione alle questioni. È questo il senso che può legare vicende che si sono svolte, in tempi diversi, con persone diverse e anche in contesti politici diversi».
Sono, comunque, tutti uomini delle regole.
«Delle regole ma anche dei contenuti. A cominciare da Tarantelli, dal modo con il quale intendeva combattere l’inflazione, senza toccare i salari: è evidente che ci sono regole e contenuti».
Nel caso di Ichino, non ritiene che, come fu per Biagi, i toni utilizzati per confutarne le tesi siano stati eccessivi? Che abbiano concorso a farne un bersaglio?
«Posso assicurare che la Cgil, soprattutto negli ultimi tempi, ha sempre usato un tono, quando anche di critica, assolutamente rispettoso. Tanto è vero che abbiamo partecipato a tante iniziative comuni. Non abbiamo mai alimentato la polemica. E d’altra parte io stesso ho criticato in occasione della manifestazione dell’ottobre scorso, quella per i precari, l’uso di slogan inaccettabili da parte di alcune frange, ammonendo che il contrasto amico-nemico può portare a pericolose degenerazioni. Dissi che bisogna fare molta attenzione alle parole d’ordine perché possono alimentare una cultura che può portare poi ad esiti negativi».
Il ministro del Lavoro Cesare Damiano lamentò di aver avuto una scarsa solidarietà.
«Non ce l’aveva certo con il sindacato».
È sicuro?
«Basta chiederlo a lui».
Con Ichino forse è stato diverso…
«Niente affatto. Con Ichino abbiamo avuto e abbiamo molti motivi di dissenso ma anche lui converrà con il fatto che il pubblico impiego si riforma con la forza riformatrice dei sindacati. Per il resto mi pare evidente che ha la mia solidarietà e quella di tutto il gruppo dirigente della Cgil».
Tra gli arrestati ci sono persone che vengono dalla Cgil.
«Questo ci inquieta e ci colpisce».
Ma come mai il sindacato non riesce a fare davvero pulizia al suo interno?
«Colpisce il numero delle persone coinvolte e delle zone interessate. E c’è, di nuovo, la presenza di delegati di fabbrica, che non avevamo avuto nelle vicende relative alla colonna scoperta in Toscana negli anni scorsi. Ma soprattutto colpisce la presenza dei giovani. Questo deve davvero indurci a una riflessione. Poco conta che una parte di questi giovani fosse più legata a un centro sociale. È un fenomeno che andrà analizzato e studiato con la massima attenzione».
Anche questo, in qualche modo, è frutto di una dialettica sindacale interna aggressiva?
«Non direi perché dalle notizie che abbiamo, una parte di questi, pur essendo iscritti, non svolgevano ruoli sindacali significativi. Quindi la maggior parte erano iscritti o facevano il delegato ma senza assumere mai posizioni di visibilità. Quindi non si capisce se il ruolo sindacale fosse una copertura o se era altro. E questo rende tutto più difficile, naturalmente. Perché quando hai davanti a te una persona che riesci a collocare, è più facile anche individuare il brodo di coltura».
Quindi voi non avevate percepito nulla?
«Non certo di queste dimensioni. Anche perché non abbiamo mai abbassato la guardia, abbiamo sempre denunciato l’uso di parole d’ordine sbagliate, abbiamo sulla nostra pelle il fatto che per tante volte ci siamo illusi che questo fenomeno fosse stato sradicato e invece lo abbiamo rivisto rispuntare».
E a questo punto cosa fate?
«Il sindacato fa le cose che ha sempre fatto: abbiamo sospeso subito queste persone, faremo le riunioni dei nostri organismi — a Padova è prevista quella della Fiom — faremo manifestazioni unitarie con Cisl e Uil contro il terrorismo in diverse città. E cercheremo di capire meglio i profili e le storie delle persone coinvolte. Abbiamo riconfermato alla magistratura e alle forze dell’ordine non solo il nostro massimo sostegno ma anche la nostra gratitudine. Stavolta si è riusciti a prevenire e questo è un grande risultato. Speriamo che ciò permetta di debellare definitivamente un fenomeno che, in queste forme endemiche, riguarda ormai solo l’Italia».
Chi sono i cattivi maestri?
«È complicato dirlo. Tra gli arrestati c’è una generazione che viene da lontano, dagli anni che abbiamo alle spalle. La novità, come detto, è che si cerca di coinvolgere dei giovanissimi. Certo, è cattivo maestro tutto quello che spinge all’illegalità, al non rispetto delle regole, alla violenza, che non fa i conti con l’uso del linguaggio».
Il fatto che ci siano dei giovani non vi pone anche il problema del distacco da loro per salvaguardare chi già lavora?
«Abbiamo cercato con forza di organizzare i giovani già alle scuole medie superiori, non solo quelli che si sono affacciati al mondo del lavoro, magari in forma precaria. Però è difficile fare di ogni erba un fascio: stiamo parlando di poche persone, che io spero non rappresentino una modalità diffusa. E quindi di un fenomeno che può essere estirpato. Vale per la violenza di Catania, quella che ha portato ad uccidere un poliziotto, vale anche per quella politica».
Sabato alle manifestazioni di Vicenza ci saranno le bandiere della Cgil?
«Bandiere è una parola grossa. Parteciperà la Cgil del Veneto, ci saranno delegazioni e chi parteciperà sarà impegnato come sempre a manifestare in assoluta tranquillità ed è quello che chiedo con grande forza ai movimenti».
Non ritiene però che qualche volta la Cgil abbia dato anche involontariamente copertura a frange che non la meritavano?
«Mai. Non si può eliminare da una società la conflittualità perché è il sale anche della democrazia: il punto è che questa conflittualità vada esercitata nelle sedi e con le giuste modalità, rispettando sempre il principio di legalità. Questo è sempre stato il punto di vista della Cgil».
Questo vale anche per la sinistra interna…
«Vale per tutti. Da sempre».