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17 Novembre 2005

Elia: “E’ squilibrata e senza contrappesi”

Autore: Aldo Varano
Fonte: l'Unità
Leopoldo Elia, presidente emerito della Consulta, è uno dei
maggiori costituzionalisti italiani. In questi anni ha lanciato
ripetuti allarmi contro la riforma costituzionale voluta e imposta
dalla CdL. Quando gli dico di Bossi che è venuto a Roma per
festeggiare, mi interrompe: «Io credo che come italiani dovremmo essere
tristi. Il paragone tra questo testo e la Costituzione del ’47 è a
tutto svantaggio del testo attuale».

Perché?
«Quel testo ha squilibri, viola il principio di garanzia, è privo di freni
e contrappesi tra le istituzioni. Non trova riscontro in nessuna
Costituzione, non dico di democrazia parlamentare, ma nemmeno di democrazia tout court, Usa compresi».

Squilibrata e priva di contrappesi. Ma risponde a una qualche logica?
«Sì, a una logica molto pericolosa. Io non dico che la riforma non
funzioni. Dico che non è coerente con i principi del costituzionalismo democratico
dei paesi più democratici del mondo. Ripeto: una logica molto
pericolosa».

Un giudizio molto netto.
«Le costituzioni che si ispirano a Locke, Montesquieu e ai grandi
teorici della liberaldemocrazia si basano sul principio della
limitazione del potere. Noi invece accentriamo tutto il potere nella
figura del primo ministro affidandogli un ventaglio di possibili
interventi che non ha riscontro da nessuna parte. Il Premier avrà
poteri tanto vasti ed ampi da diventare intoccabile per cinque anni.
Una volta insediatosi potrà esercitare un potere senza freni e senza
limiti. Ci sarà poi un presidente della Repubblica eletto a maggioranza
assoluta dalle Camere e una Corte costituzionale nominata da questo
presidente di maggioranza. Insomma, un potere senza limiti che nel suo
esercizio potrà divenire anche tirannico».

Quindi, dalla limitazione del potere a garanzia di cittadini, gruppi
sociali e collettività alla blindatura del premier?

«Assolutamente sì. In Usa o in Svizzera si affida a un uomo solo per un
certo periodo un potere di cui non è responsabile di fronte alle
Camere. Ma quando si sceglie questa via al Premier viene tolto, invece
di darglielo, il potere di sciogliere le Camere. Se non fosse così non
si riuscirebbe a capire perché un presidente Usa, che pure è tanto
potente, può non riuscire a fare approvare la sua riforma della sanità,
com’è accaduto a Clinton».

La CdL insiste: siamo nel pieno della tradizione europea del
westminster.
«Purtroppo, è un falso clamoroso. Confondere il westminster, la
forma inglese o tedesca di governo, con quello che propongono significa
abusare della credulità dei nostri concittadini. Alcuni giuristi, con
una certa faciloneria, hanno detto che il Premier inglese può
sciogliere le Camere quando vuole. Ma si sono dimenticati di aggiungere
che se il Premier inglese non ha più la maggioranza nel suo partito
deve farsi le valigie e non può sciogliere le Camere. Come accadde alla
Tatcher».

A proposito del dibattito parallelo sull’Italia che si spacca o meno con la devolution, qual è la sua opinione?
«Ho un punto di vista confortato da quello dei maggiori
sostenitori del regionalismo in Italia, come il professore D’Atena, che
è il direttore dell’Istituto di studi Severo Giannini sulle autonomie
locali: non è vero che con questa riforma si sia disinnescato il
pericolo di possibili dissoluzioni dell’unità e del nostro ordinamento».

Il principio dell’interesse nazionale sbandierato da An e Udc è insufficiente?
«Quando si afferma contemporaneamente che la sanità e il diritto
all’istruzione rientrano per intero nella competenza esclusiva dello
Stato e insieme che l’organizzazione scolastica e sanitaria rientrano
per intero nella competenza esclusiva delle Regioni tutto dipenderà
dalla interpretazione che si darà a questa esclusività. Con una
maggioranza condizionata dalla Lega si darà una interpretazione debole
dell’esclusività dello Stato e fortissima di quella delle Regioni. In
questo caso, il Governo non impugnerà le leggi di fronte alla Corte
Costituzionale. Se invece prevarrà una coalizione senza condizionamenti
della Lega, le Regioni che tenteranno di sgarrare potranno essere
fermate».

Nella migliore delle ipotesi un conflitto lacerante tra Stato e
Regioni?
«Non c’è dubbio. E nella peggiore: leggi regionali senza
l’opposizione del Governo e quindi una differenziazione sempre più
forte tra le condizioni di vita nelle diverse regioni italiane».

Differenze crescenti possono innescare processi di rottura?
«È un rischio forte. Se non si realizza il principio di una
uguaglianza vera all’interno di una stessa nazione, c’è il rischio di
sommovimenti e rotture. E proprio quando l’Italia ha bisogno del
massimo di coesione per reggere l’urto della globalizzazione. Per
fortuna il referendum è ancora un cardine della Costituzione italiana.
E’ indispensabile e necessarissimo per non uscire fuori dall’Europa e dalla sue tradizioni democratiche».